Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25381 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. I, 09/10/2019, (ud. 11/06/2019, dep. 09/10/2019), n.25381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10316/2014 proposto da:

Provincia di Vicenza, in persona del Commissario straordinario pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Parioli 180 presso

lo studio dell’avvocato Mario Sanino e rappresentata e difesa dagli

avvocati Paolo Balzani e Paola Mistrorigo, in forza di procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Schio, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, via Cosseria 5 presso lo studio dell’avvocato

Paolo Migliaccio e rappresentato e difeso dall’avvocato Nicola

Zampieri in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente, qualificato controricorrente ricorrente incidentale –

e contro

B.D., B.I., B.M., elettivamente

domiciliati in Roma, via Crescenzio N. 62 presso lo studio

dell’avvocato Daniele Sterrantino e rappresentati e difesi dagli

avvocati Daniela Andriolo e Laura Poletto, in forza di procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti ricorrenti incidentali –

e contro

Comune di Schio, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, via Cosseria 5, presso lo studio dell’avvocato

Paolo Migliaccio e rappresentato e difeso dall’avvocato Nicola

Zampieri in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2557/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 9/6/2011 D., I. e B.M. hanno convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Venezia il Comune di Schio e la Provincia di Vicenza, chiedendo l’accertamento dell’indennità definitiva di espropriazione relativamente alla quota di 5/8 di alcuni loro terreni oggetto di espropriazione, siti nel Comune di (OMISSIS) ((OMISSIS) per B.D.; mappali (OMISSIS) per D., I. e B.M.), determinata in modo ritenuto erroneo e incongruo dalla Commissione Provinciale di Vicenza.

Si sono costituiti in giudizio entrambi gli Enti pubblici convenuti, chiedendo il rigetto delle domande degli attori; la Provincia di Vicenza ha anche chiesto di essere manlevata dal coevocato Comune di Schio.

Dopo la trattazione scritta e l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 23/10/2013 la Corte di appello di Venezia ha determinato la giusta indennità di esproprio spettante agli attori in complessivi Euro 1.372.430,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a decorrere dal decreto di esproprio, ordinando ad entrambi i convenuti, Provincia di Vicenza e Comune di Schio, il deposito di tale somma presso la Cassa Depositi e Prestiti, condannando altresì i convenuti alla rifusione delle spese sostenute dagli attori.

2. Con atto notificato il 16/4/2014 ha proposto ricorso per cassazione la Provincia di Vicenza svolgendo cinque motivi.

Con atto notificato il successivo 23/4/2014 ha proposto autonomamente ricorso per cassazione in via principale il Comune di Schio, svolgendo sette motivi.

Con atto notificato il 29/5/2014 hanno proposto controricorso e ricorso incidentale, D., I. e B.M., chiedendo il rigetto di entrambe le avversarie impugnazioni e instando, a loro volta, con il supporto di quattro motivi, per la cassazione della sentenza impugnata.

Con controricorso notificato il 9/7/2014 il Comune di Schio ha resistito al ricorso incidentale dei signori B..

Tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi quattro motivi di ricorso principale proposti dalla Provincia di Vicenza sono interconnessi e possono quindi esser trattati congiuntamente.

1.1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la Provincia ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge e omesso esame di fatto decisivo in relazione alla propria legittimazione passiva ad causam e sostanziale.

Il procedimento di esproprio era scaturito da dichiarazione di pubblica utilità da parte del Comune di Schio, consistita nella approvazione del Piano particolareggiato industriale del 1996 e nella Delib. Giunta comunale del Comune di Schio 9 settembre 2002, n. 306 entrambe datate anteriormente all’entrata in vigore del Testo unico di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, con la conseguente inapplicabilità delle relative disposizioni, alla luce di quanto disposto dai relativi artt. 57 e 59.

La Provincia aveva svolto in via delegata dalla Regione le funzioni amministrative in materia di espropriazione per pubblica utilità ai sensi della L.R. 2 aprile 1991, n. 11, ma non era debitore dell’indennità di espropriazione e neppure legittimata passivamente a contraddire in ordine alla determinazione dell’indennità, come da essa dedotto dalla costituzione in giudizio sino alla precisazione delle conclusioni.

La sentenza impugnata aveva erroneamente riportato le conclusioni precisate dalla Provincia con riferimento a quelle contenute nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, che implicavano la rinuncia alla domanda riconvenzionale di cui al n. 3 delle conclusioni originarie e che invece contenevano la richiesta esplicita di accertamento del difetto di legittimazione passiva ad causam e sostanziale della Provincia e la richiesta di accertamento del Comune di Schio quale unico soggetto debitore.

Le eccezioni di difetto di legittimazione passiva e di titolarità sostanziale proposte dalla Provincia non erano state minimamente esaminate, pur avendo la Corte di appello ritenuto di condannare anche la Provincia al pagamento dell’indennità.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, nn. 3 e 4, e degli artt. 189 e 190 c.p.c.

La ricorrente si duole del fatto che la sentenza ha preso in considerazione le conclusioni iniziali della sua comparsa costitutiva e non quelle della memoria di trattazione ex art. 183, comma 6, n. 1, oggetto di richiamo all’udienza di precisazione delle conclusioni, con la conseguenza della nullità della pronuncia per difetto totale di motivazione in ordine all’istanza di accertamento della carenza di legittimazione sostanziale e ad causam della Provincia.

Il tutto quando era assodato che l’espropriazione era stata disposta in favore del Comune di Schio e che era stato appunto il Comune ad acquisire i beni immobili in questione.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 e della costante interpretazione giurisprudenziale per aver affermato la legittimazione passiva della Provincia, pur se questa non aveva mai acquisito o rivenduto le aree espropriate, nè aveva avuto alcun ruolo nella realizzazione delle opere pubbliche.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 57 e della L. n. 865 del 1971, dal momento che la dichiarazione di pubblica utilità per la zona industriale di Schio è antecedente al 30/6/2003 (Delib. Giunta comunale 9 settembre 2002, n. 306 e piano particolareggiato inserito in PRG con Delib. n. 83 del 1996).

Di qui la conseguente inapplicabilità del Testo unico delle espropriazioni di cui al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.

1.5. La Provincia ricorrente si duole del fatto che la Corte veneziana abbia riportato erroneamente nell’epigrafe della sentenza impugnata le conclusioni originarie della sua comparsa di costituzione e risposta del 22/12/2011 e non quelle, modificate, di cui alla memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 del 22/12/2011, fatte oggetto di precisazione in data 17/4/2013 e comunque riportate nella sua comparsa conclusionale del 11/6/2013.

L’errore denunciato sussiste, anche se, di per sè, non ha prodotto particolari conseguenze.

Le principali differenze fra i due capitolati di richieste sono costituite: a) dalla domanda riconvenzionale di cui al punto 3) delle conclusioni originarie, comunque non esaminata dalla Corte lagunare; b) dall’introduzione di una espressa richiesta (al punto 1) di dichiarare e accertare il difetto di legittimazione ad causam e di legittimazione passiva della Provincia, che introduce però un tema di indagine del tutto equivalente sotto il profilo sostanziale alla richiesta di cui al punto 2), comunque mantenuta in entrambi gli assetti, ossia quella di dichiarare il Comune di Schio unico debitore degli attori, con istanza di manleva; in ogni caso, tuttavia, l’accertamento delle condizioni dell’azione e con esse della legittimazione passiva ad causam competeva comunque anche d’ufficio al giudice adito, quale pre-requisito per una sua pronuncia nel merito.

1.6. Nè si può dire che la Corte di Venezia non abbia pronunciato sul punto, alla luce dell’affermazione, seppur quanto mai succinta, contenuta a pagina 16 (“ferma la legittimazione passiva della Provincia di Vicenza quale Ente espropriante”).

Da questa enunciazione si può arguire che la Corte abbia ritenuto la legittimazione passiva ad causam e la titolarità passiva del rapporto in capo alla Provincia per aver essa provveduto ad emettere il decreto di esproprio.

1.7. La violazione normativa segnalata sussiste.

Effettivamente la Provincia di Vicenza aveva agito quale mera autorità emittente il decreto di esproprio in forza della delega di funzioni amministrative in tema di espropriazioni per pubblica utilità contenuta nella L.R. Veneto 2 aprile 1981, n. 11 senza essere il soggetto competente alla realizzazione dell’opera pubblica e il soggetto beneficiario dell’esproprio, come previsto invece nella struttura simmetrica che connota il regime del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 327 del 2001.

1.8. La disciplina di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 non è applicabile alla fattispecie a giudizio alla luce della normativa transitoria contenuta nel testo unico in materia di espropriazione.

Il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, comma 3, prevede che l’opposizione alla stima debba essere proposta con atto di citazione notificato all’autorità espropriante, al promotore dell’espropriazione e, se del caso, al beneficiario dell’espropriazione, se attore è il proprietario del bene, ovvero notificato all’autorità espropriante e al proprietario del bene, se attore è il promotore dell’espropriazione; analoga disposizione è contenuta nel D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 29, comma 4, che ha sostituito dal 2011 la disposizione originaria del Testo Unico delle espropriazioni.

Tuttavia, la disciplina transitoria di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 57 in tema di “ambito di applicazione della normativa sui procedimenti in corso” esclude inequivocabilmente che le disposizioni del Testo unico si applichino ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, ipotesi nella quale continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale data (30/6/2003 ex art. 59 T.U.).

Nella fattispecie è del tutto pacifico che la dichiarazione di pubblica utilità è avvenuta anteriormente al 30/6/2003, quantomeno con la Delib. Giunta comunale di Schio 9 settembre 2002, se non già con il piano particolareggiato inserito nel piano regolatore generale con Delib. n. 83 del 1996.

1.9. La tesi dei controricorrenti, secondo la quale la disciplina transitoria si riferirebbe alle sole disposizioni concernenti il procedimento espropriativo e non a quella processuali e tantomeno a quelle relative alla determinazione dell’indennità, non possiede apprezzabile fondamento.

La littera legis è inequivocabile nel riferirsi alla persistente validità di “tutte le normative” anteriormente vigenti; l’art. 58 Testo unico, nel disporre le abrogazioni consequenziali, ha cura di far salvo quanto previsto dall’art. 57, comma 1, così salvaguardando disposizioni anche processuali e in tema di indennità.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, a norma del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 57 le disposizioni del testo unico entrano in vigore a decorrere dal 30/6/2003. Le stesse, pertanto, trovano applicazione solo per le espropriazioni in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia successiva all’entrata in vigore della nuova disciplina come risulta dal precedente art. 55 (secondo il quale le disposizioni del Testo unico non si applicano ai progetti per i quali alla data di entrata in vigore dello stesso decreto sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza, caso in cui o continuano ad applicarsi tutte le norme vigenti a tale data).

Deriva da quanto precede, pertanto, che nell’eventualità la dichiarazione di pubblica utilità sia anteriore al 30/6/2003 la fattispecie è disciplinata dalla precedente normativa, contenuta nella L. n. 865 del 1971 (Sez. 1, 11/01/2017, n. 509; Sez. 1, 09/03/2012, n. 3749); tale regola vale anche per le nuove disposizioni di natura processuale, come l’art. 54, comma 2, ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso D.P.R. n. 327 (30/6/2003, ex art. 59 di detto testo normativo), sia già intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza” caso in cui continuano ad applicarsi tutte le norme vigenti alla data citata (Sez.1, 13/02/2012, n. 2036).

Ancor più specificamente è stato recentemente ribadito che qualora, nell’ambito di un procedimento espropriativo, la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta anteriormente al 30/6/2003 – data di entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001 deve essere esclusa, ai sensi dell’art. 57 della richiamata normativa, la legittimazione passiva dell’ente espropriante nei giudizi di opposizione alla stima (Sez.1, 11/05/2018, n. 11546).

1.10. Nè può condividersi la linea difensiva d’impostazione “processuale” adottata dai controricorrenti B., basata sul fatto che la Provincia di Vicenza si sarebbe costituita tardivamente in primo grado oltre i termini di cui all’art. 166 c.p.c. e avrebbe formulato la predetta eccezione solo con la memoria di trattazione del 15/3/2012 ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1.

La legittimazione passiva ad causam costituisce condizione dell’azione ed è pertanto rilevabile d’ufficio a prescindere dalle eccezioni di parte.

La legitimatio ad causam si ricollega infatti al principio dettato dall’art. 81 c.p.c., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e, trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza inutiliter data, comporta la verifica, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (col solo limite della formazione del giudicato interno), in via preliminare al merito, della coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta (Sez.6, 06/12/2018, n. 31574; Sez. 3, 31/01/2018, n. 2342; Sez. 1, 27/03/2017, n. 7776).

Di conseguenza, qualora, nell’ambito di un procedimento espropriativo, la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta anteriormente al 30/6/2003 – data di entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001 – deve essere esclusa, ai sensi dell’art. 57 della richiamata normativa, la legittimazione passiva dell’ente espropriante nei giudizi di opposizione alla stima (Sez. 1, n. 11546 del 11/05/2018, Rv. 648927 – 01).

Infatti questa Corte, con riferimento al sistema precedente al Testo Unico ha avuto cura di precisare che in tema di espropriazione per pubblica utilità, l’unico soggetto passivamente legittimato nel giudizio di opposizione, promosso dall’espropriato avverso la stima dell’indennità, va individuato con esclusivo riferimento al decreto di espropriazione ed in base al soggetto o ente in favore del quale risulti adottato; ne discende che nemmeno l’autorità che ha emesso il provvedimento ablativo, alla quale la L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51 prevede la notifica dell’atto introduttivo a fini di mera conoscenza dell’opposizione, è ammessa a partecipare al relativo giudizio. (Sez. 1, n. 7906 del 18/05/2012, Rv. 622602 – 01).

1.11. Non è quindi corretta la tesi svolta dai controricorrenti secondo la quale la Provincia sarebbe comunque legittimata a partecipare al giudizio, nè in forza della L. 23 giugno 1865, n. 2359, art. 51 che riguarda il Prefetto, quale autorità emittente il decreto, e comunque prevede una notificazione per mera conoscenza della lite, nè in forza della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 in cui l’espressione “espropriante” non vale ad identificare l’autorità che ha emesso il decreto ma il beneficiario dell’espropriazione.

Il fatto che la legge attribuisca a determinate autorità il potere di emettere sia il decreto di occupazione temporanea, che quello di esproprio, non comporta che le stesse siano legittimate passivamente in quanto anche se sono assegnatarie in via esclusiva di tale competenza funzionale, non sono identificabili con l’espropriante e non è possibile riferirne l’attività all’amministrazione di appartenenza in base al rapporto di immedesimazione organica (Sez.un. 23/11/2007, n. 24397; Sez. 1, n. 12554 del 22/05/2013, Rv. 626765 – 01; Sez. 1, n. 26573 del 17/12/2007, Rv. 600943 – 01).

1.12. Non ha fondamento neppure il rilievo dei controricorrenti secondo cui nello stesso decreto era stata indicata la soggezione dell’opposizione alla procedura di cui all’art. 54 Testo Unico (docomma 11 del fascicolo di primo grado B.), perchè siffatto errore informativo non ha ovviamente la capacità di immutare la disciplina sostanziale e processuale applicabile in forza di legge e può assumere rilievo ai soli fini della regolazione delle spese di lite.

1.13. Il difetto di legittimazione a contraddire della Provincia porta con sè, a fortiori, anche il difetto di titolarità passiva sostanziale in ordine all’obbligazione di pagamento dell’indennità dedotta in giudizio.

Nè si può validamente sostenere, come fanno i controricorrenti, che la relativa eccezione sarebbe stata sollevata tardivamente dalla Provincia con la comparsa costitutiva depositata solo il 22/12/2011, rispetto alla data di comparizione fissata per il 12/12/2011 e differita ex officio al 18/1/2012, con provvedimento asseritamente emesso ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., commi 4 e 5 (e quindi ininfluente agli effetti dello slittamento del termine di costituzione): l’entità del differimento di oltre un mese, anche in difetto di espressa indicazione di riferimento normativo all’art. 168 bis, comma 5 appare incompatibile con un mero “slittamento” per la mancata previsione di udienza della Corte di appello nel giorno designato.

1.14. In ogni caso l’eccezione ben poteva essere sollevata successivamente dalla Provincia, il che è avvenuto comunque entro la soglia di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1.

Infatti, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicchè spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto; le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti; la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è quindi rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa (Sez. U, n. 2951 del 16/02/2016, Rv. 638371 – 01; postea: Sez. 3, n. 11744 del 15/05/2018, Rv. 648612 – 02).

2. I predetti motivi debbono quindi essere accolti, nei sensi di cui in motivazione, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in parte qua.

2.1. La Corte può pertanto decidere sul merito e dichiarare il difetto di legittimazione passiva della Provincia di Vicenza.

2.2. Sussistono peraltro giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese processuali dell’intero giudizio, avuto riguardo all’erroneo e fuorviante richiamo al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 contenuto nel decreto di espropriazione (docomma 11 fascicolo di primo grado B.), che contiene la seguente informazione “Gli interessati possono proporre opposizione alla stima innanzi alla Corte di appello competente per territorio con atto di citazione nei termine e modi di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 e successive modifiche e integrazioni”).

Tale erronea indicazione ha contribuito all’eziologia della lite e occorre pur sempre rammentare che la regola della soccombenza è ispirata al sottostante e fondamentale principio di causalità (ex multis: Sez. un. 26/9/2018, n. 23143; Sez.2, 8/10/2018 n. 24678; Sez.3, 21/12/2017 n. 30658; Sez.6, 31/1/2017 n. 2570).

2.3. Resta conseguentemente assorbito il quinto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, con cui la Provincia ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1224 e 1282 c.c., L. n. 865 del 1971, artt. 16 e 19 per aver la Corte di appello assegnato automaticamente la rivalutazione monetaria sull’indennità di esproprio, che attiene a debito di valuta e non di valore.

3. I controricorrenti hanno rivolto una serie di eccezioni preliminari nei confronti del ricorso proposto dal Comune di Schio.

3.1. il predetto ricorso è stato proposto in via principale con atto notificato il 23/4/2014, e quindi successivamente alla notifica del ricorso della Provincia di Vicenza, effettuata il 16/4/2014; deve pertanto essere qualificato come incidentale.

Infatti, il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale (Sez. 1, n. 25662 del 04/12/2014, Rv. 633719 – 01; Sez. 3, n. 26723 del 13/12/2011, Rv. 620671 – 01).

3.2. I controricorrenti B. hanno eccepito preliminarmente: a) la nullità della procura spesa dal Comune di Schio in quanto generica e non speciale; b) la inesistenza della notifica eseguita nei loro confronti con la consegna di una sola copia del ricorso per tutti e tre gli intimati; c) l’inammissibilità di domande nuove e tardive introdotte dal Comune di Schio, relativamente alla determinazione di una indennità inferiore a quella indicata dalla Commissione Provinciale; d) l’improcedibilità del ricorso per la mancata allegazione della consulenza tecnica del geom. L. su cui il ricorso si basa ex art. 369 c.p.c., n. 4.

3.3. In primo luogo, i controricorrenti B. sostengono la nullità della procura rilasciata dal Comune di Schio, in quanto non dotata del necessario carattere di “specialità”, in assenza del riferimento a un particolare giudizio di legittimità e comunque priva della necessaria indicazione del soggetto che ha rilasciato la procura e degli estremi della sentenza da impugnare.

3.4. L’eccezione è infondata.

La procura in favore dell’avv. Nicola Zampieri è stesa a margine del ricorso ex art. 360 c.p.c. e viene quindi ad integrarsi con il predetto ricorso che contiene tutti i necessari elementi di identificazione della sentenza impugnata.

Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, sotto il profilo della sussistenza della procura speciale in capo al difensore iscritto nell’apposito albo, è essenziale che la procura sia conferita in epoca anteriore alla notificazione del ricorso, che investa il difensore espressamente del potere di proporre quest’ultimo e che sia rilasciata in epoca successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione; ove sia apposta a margine del ricorso, tali requisiti possono desumersi, rispettivamente, quanto al primo, dall’essere stata la procura trascritta nella copia notificata del ricorso, e, quanto agli altri due, dalla menzione della sentenza gravata risultante dall’atto a margine del quale essa è apposta, restando, invece, irrilevante che la procura sia stata conferita in data anteriore a quella della redazione del ricorso e che non sia stata indicata la data del suo rilascio, non essendo tale requisito previsto a pena di nullità (Sez. 2, n. 7014 del 17/03/2017, Rv. 643376 – 01).

Inoltre questa Corte ha ripetutamente affermato (Sez. 6 – 3, n. 1205 del 22/01/2015, Rv. 634038-01; Sez. 6 – 2, n. 18468 del 01/09/2014, Rv. 632042 – 01) che il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è, per sua natura, speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso od alla sentenza contro la quale si rivolge, poichè il carattere di specialità è deducibile dal fatto che la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa si riferisce; ed ancora, che la procura rilasciata a margine del ricorso per cassazione con riferimento esplicito “alla presente procedura in ogni sua fase, stato e grado” è provvista del requisito della specialità, nel senso richiesto dall’art. 365 c.p.c., dovendosi presumere, fino a prova contraria che è onere della controparte fornire, che al momento della sottoscrizione della procura il ricorso fosse già stato esteso sullo stesso foglio (Sez.3, 07/12/2017, n. 29312).

Tale integrazione è acquisita alla giurisprudenza della Corte anche con riferimento a vizi ben più gravi, come la mancata indicazione del nominativo del difensore officiato con il mandato, ritenuta comunque desumibile dal contesto dell’atto, come allorchè sia apposta in margine od in calce all’atto introduttivo del giudizio (Sez. 3, n. 20061 del 19/07/2008, Rv. 604906 – 01; Sez. 2, n. 4495 del 10/04/2000, Rv. 535490 – 01; Sez. L, n. 17629 del 28/07/2010, Rv. 614259 – 01; Sez.un. 7862 del 11/06/2001). La predetta integrazione per relationem vale ovviamente anche per l’identificazione del soggetto firmatario da identificarsi in forza di quanto indicato in epigrafe di ricorso nel Sindaco di Schio, Dott. D.V.L..

3.5. I controricorrenti inoltre affermano la nullità della notificazione del ricorso perchè effettuata con la consegna di unica copia dell’atto per tutti e tre i signori B..

3.6. L’eccezione è infondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte la notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace sia nel processo ordinario che in quello tributario, in virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che non solo in ordine alle notificazioni endo-processuali, regolate dall’art. 170 c.p.c., ma anche per quelle disciplinate dall’art. 330 c.p.c., comma 1, il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell’atto di impugnazione ma ne è il destinatario, analogamente a quanto si verifica in ordine alla notificazione della sentenza a fini della decorrenza del termine d’impugnazione ex art. 285 c.p.c., in quanto investito dell’inderogabile obbligo di fornire, anche in virtù dello sviluppo degli strumenti tecnici di riproduzione degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni relative allo svolgimento e all’esito del processo (Sez. U, n. 29290 del 15/12/2008, Rv. 606009 – 01; Sez. 5, n. 18034 del 06/08/2009, Rv. 609288 – 01; Sez. 3, n. 6051 del 12/03/2010, Rv. 612080 01).

Inoltre il ricorso è stato notificato anche tramite posta elettronica certificata all’indirizzo di entrambi i difensori dei controricorrenti.

3.7. I controricorrenti B. hanno eccepito anche l’inammissibilità delle domande nuove proposte dal Comune di Schio, con ciò riferendosi alla richiesta del Comune rivolte alla determinazione del giusto valore da riconoscere ai terreni espropriati anche in misura inferiore alla stima della Commissione Provinciale di Vicenza, già denunciata come inammissibile dinanzi alla Corte lagunare per essere stata proposta dal Comune solo con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1.

3.8. Effettivamente la giurisprudenza di questa Corte afferma che l’oggetto del giudizio di opposizione alla stima è la congruità e conformità dell’indennità di espropriazione ai criteri di legge; dal coordinamento di tale principio con quello della domanda deriva che l’opposizione proposta dal solo espropriato può condurre a determinare un’indennità maggiore, e non inferiore, rispetto a quella calcolata in sede amministrativa, in difetto di una domanda tempestivamente formulata dall’espropriante; nel caso in cui l’accertamento conduca ad un tale risultato, il giudice deve limitarsi a respingere la domanda, altrimenti incorrendo nel vizio di ultrapetizione, salvo che l’espropriante, convenuto in opposizione, abbia ritualmente proposto a tal fine domanda riconvenzionale (Sez.1, 28/05/2012, n. 8442; Sez. 1, 07/12/2011, n. 26357; Sez.1, 23/06/2008, n. 17022; Sez. 1, 20/05/2005, n. 10688).

Il tema, peraltro, è privo di concreta attualità perchè la sentenza impugnata non ha ridotto in pregiudizio degli espropriati l’indennità determinata in sede amministrativa e comunque, come si vedrà, il ricorso incidentale del Comune di Schio non merita accoglimento in punto riduzione dell’indennità, tantomeno al di sotto della misura determinata in sede amministrativa.

3.9. I controricorrenti B. hanno inoltre eccepito l’improcedibilità del ricorso del Comune ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 4, per la mancata produzione della relazione di consulenza tecnica d’ufficio del geom. L.M..

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, (Sez. 1, n. 5478 del 07/03/2018 Rv. 647747 – 01) in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso.

In tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 7 di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (Sez. L, n. 195 del 11/01/2016, Rv. 638424 – 01).

Ciò in conformità delle indicazioni contenute nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 22726 del 03/11/2011 (Rv. 619317 – 01) secondo la quale in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi.

L’eccezione verrà valutata, caso per caso, in sede di esame dei singoli motivi svolti dal Comune che nella predetta relazione di consulenza tecnica d’ufficio trovino fondamento.

4. Con il primo motivo di ricorso del Comune di Schio, presentato in via principale – ma da considerarsi incidentale perchè preceduto da quella Provincia di Vicenza, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, – il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32, 37 e 57 in conseguenza dell’erronea applicazione del Testo Unico espropriazioni in luogo della L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 42 e del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis.

4.1. Secondo il ricorrente ai sensi dell’art. 57 Testo Unico la relativa normativa non era applicabile alla fattispecie a giudizio dal momento che la dichiarazione di pubblica utilità per la zona industriale di Schio era antecedente al 30/6/2003 (piano particolareggiato inserito in PRG con Delib. n. 83 del 1996 e Delib. giunta comunale del 9 febbraio 2002).

Non era quindi applicabile l’art. 32 Testo Unico che attribuisce rilievo al valore dei beni espropriati al momento di adozione del decreto di esproprio, ma occorreva applicare il D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis del che conferisce invece rilievo al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio (1996 o tuttalpiù 2002, non già 2006).

Per completezza, aggiunge il ricorrente, anche la L. n. 2359 del 1865, art. 42 esclude dal calcolo dell’indennità l’incremento di valore ricollegabile eziologicamente all’opera di pubblica utilità a cui l’espropriazione è preordinata.

4.2. Effettivamente la Corte di appello ha ritenuto di applicare l’art. 32 T.U. ignorando, senza alcuna motivazione, l’argomento speso dal Comune di Schio – e, come sopra ricordato, perfettamente corretto- che imponeva di aver riguardo quantomeno alla delibera della Giunta Comunale del 9/9/2002 recante la dichiarazione di pubblica utilità delle opere per individuare la legge sostanziale applicabile.

4.3. I controricorrenti replicano, invocando la norma transitoria relativa all’ambito di applicazione delle modifiche al Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità, contenuta nella L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 90, recante appunto “Norma transitoria relativa all’ambito di applicazione delle modifiche al testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità.”

Tale norma transitoria ha disposto che le disposizioni di cui all’art. 37, commi 1 e 2 (contestualmente modificate ad opera del precedente comma 89) e quelle di cui al Testo unico di cui al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 45, comma 2, lett. a), si applichino a tutti i procedimenti espropriativi in corso, salvo che la determinazione dell’indennità di espropriazione sia stata condivisa, ovvero accettata, o sia comunque divenuta irrevocabile.

Tuttavia secondo la compatta giurisprudenza di questa Corte (Sez.un. 1/12/2010 n. 24303; Sez. 1, 21/6/2010 n. 14939; Sez.Un. 23/8/2008 n. 5265; Sez.1 8/5/2008 n. 11480; nonchè, da ultimo, Sez. 1, n. 20177 del 18/08/2017-Rv. 645211 – 01), le modifiche al Testo unico apportate dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, commi 89 e 90, si applicano soltanto ai “procedimenti espropriativi in corso” (salvo che la determinazione dell’indennità di espropriazione sia stata, condivisa, ovvero accettata, o sia comunque divenuta irrevocabile) e non anche ai giudizi in corso.

Il concetto di “procedimenti espropriativi in corso” per la sua specifica ed univoca valenza tecnico – giuridica, richiama unicamente l’afferente iter amministrativo teso all’ablazione del bene: di conseguenza, tale concetto non legittima nessun riferimento alla pendenza di una controversia avente ad oggetto il pagamento di indennità discendenti da quel procedimento ormai concluso.

Inoltre, secondo questa Corte (Sez. 6 – 1, n. 6798 del 19/03/2013,Rv. 626086 – 01; Sez. U, n. 5265 del 28/02/2008, Rv. 603721 – 01) nella determinazione dell’indennità di espropriazione, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359 (sentenza n. 348 del 2007), i criteri previsti dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, in quanto introdotti come modifica dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, commi 1 e 2, si applicano soltanto alle procedure espropriative soggette al predetto Testo Unico – cioè quelle in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta dopo la sua entrata in vigore (30 giugno 2003), secondo le previsioni dell’art. 57, come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 – mentre nelle procedure soggette al regime pregresso rivive la L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e va, quindi, fatto riferimento al valore di mercato, atteso che la norma intertemporale di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90, prevede la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità espropriativa solo per i procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi.

4.4. Operata tale premessa, il Comune di Schio rapporta il momento rilevante per la determinazione del valore del bene ai fini dell’indennità di esproprio a quello di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, e non già alla data del decreto di esproprio.

Il Comune invoca a tal fine il disposto del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 3, introdotto dalla Legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359, secondo il quale per la valutazione della edificabilità delle aree, si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio.

4.5. Effettivamente la norma di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90, invocata dai controricorrenti non possiede rilievo ai fini in questione, visto che si riferisce ai primi due commi dell’art. 37 e non all’art. 32 Testo unico, il cui comma 1 dispone che l’indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio, valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista.

Il richiamo del criterio di cui all’art. 32 è invece contenuto nell’art. 37, comma 3, che esula dal contenuto della predetta norma transitoria (“Ai soli fini dell’applicabilità delle disposizioni della presente sezione, si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione, esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione.”)

4.6. Diversamente da quanto argomentato dai controricorrenti B., il ridetto D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 3 è andato esente dalla pronuncia di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 348 del 24/10/2007 della Consulta, che ha colpito solo i primi due commi dello stesso articolo.

Il predetto art. 5 bis si riferisce alle possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio; di conseguenza, alla luce di tale parametro, il valore di mercato del bene al momento del provvedimento ablativo, deve riferirsi alle possibilità legali edificatorie sussistenti al momento dell’apposizione del vincolo, pur sempre esclusa, anche alla stregua del principio generale di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 42 la rilevanza degli aumenti di valore del fondo determinati dalla stessa esecuzione dell’opera di pubblica utilità.

4.7. Tuttavia il predetto D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 3 era stato già in precedenza sottoposto allo scrutinio della Consulta.

La Corte Costituzionale, con la pronuncia del 16/12/1993 n. 442, ha esaminato la questione di legittimità costituzionale – in riferimento all’art. 42 Cost., comma 3 e art. 97 Cost. – dell’art. 5 bis, comma 3 sul rilievo che la valutazione delle possibilità legali e di fatto di edificazione esistenti al momento della apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, e non già al momento del decreto di esproprio, comporterebbe che l’indennizzo possa non essere adeguato (ex art. 42 Cost., comma 3) perchè è possibile che nell’intervallo di tempo tra tali due momenti un’area a destinazione agricola acquisisca una destinazione edificatoria che invece non viene presa in considerazione; inoltre era stato segnalato che sarebbe di fatto premiata la lentezza e l’inefficienza dell’amministrazione (art. 97 Cost.), la quale, in tal modo, avrebbe tutto da guadagnare nel divaricare al massimo nel tempo i due momenti dell’imposizione del vincolo e dell’espropriazione.

La Consulta ha ripudiato una interpretazione strettamente letterale del dato legislativo, secondo la quale, pur dovendo la quantificazione dell’indennizzo farsi in base a valori attuali, tuttavia la ricognizione della qualità dell’area (se edificatoria o agricola) andrebbe, sempre ed in ogni caso retrodatata all’epoca dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, senza che possa mai rilevare un’attitudine edificatoria successivamente acquisita de facto (per modifica della situazione dei luoghi) ovvero in ipotesi anche de jure (per modifica degli strumenti urbanistici), alla cui stregua si verrebbe ad introdurre, nella determinazione dell’indennizzo, un inammissibile elemento di aleatorietà.

La Corte Costituzionale ha puntualizzato la necessità che la discrezionalità del legislatore nel fissare il criterio di quantificazione dell’indennizzo espropriativo, in termini più o meno restrittivi, sia comunque ancorata alle effettive caratteristiche del bene espropriato, in quanto un criterio astratto (e tale sarebbe quello che – senza alcun correttivo – tenesse conto delle pregresse, e non più attuali, caratteristiche dell’area) sarebbe di per sè in contrasto con il precetto dell’art. 43 Cost., comma 3, il quale esige che tendenzialmente l’indennizzo espropriativo sia quantificato tenendo conto delle caratteristiche dell’area espropriata nel momento in cui il proprietario ne viene privato; ha quindi aggiunto che la lettura offerta dal giudice rimettente non era l’unica consentita dal testo legislativo; è possibile infatti intendere quest’ultima nel senso che il legislatore ha meramente voluto consacrare in norma il principio, ormai consolidatosi da tempo nella giurisprudenza dopo iniziali incertezze, secondo cui nella stima dell’area espropriata non si deve tener conto del vincolo espropriativo, cioè si deve totalmente prescindere da esso. E questa indifferenza del vincolo consente una ricognizione della qualità (edificatoria, o meno) dell’area espropriata pienamente aderente alle possibilità “legali e effettive” di edificazione sussistenti al momento del verificarsi della vicenda ablativa, con la conseguenza che, così interpretata la norma, risulta infondata la censura mossa dalla Corte rimettente con riferimento all’art. 42 Cost., comma 3, non sussistendo la lamentata retrodatazione della qualificazione dell’area espropriata.

Siffatta interpretazione adeguatrice – resasi necessaria in conformità del principio secondo cui in presenza di più letture possibili della norma censurata è da privilegiare quella che le attribuisce un significato non in contrasto con la Costituzione – non trova ostacoli nel disposto della L. n. 2359 del 1865, artt. 42 e 43 secondo cui sono esclusi dal computo dell’indennizzo gli incrementi di valore derivanti alla dichiarazione di pubblica utilità nonchè le costruzioni, le piantagioni e le migliorie eseguite allo scopo di conseguire un’indennità maggiore. Tali norme non implicano che la valutazione dell’edificabilità, o meno, dell’area espropriata debba farsi al momento dell’apposizione del vincolo; ma consentono (semmai) di escludere unicamente gli incrementi connessi all’esecuzione dell’opera di pubblica utilità o derivanti dalla previsione dell’esecuzione stessa.

A tali indicazioni si è conformata la giurisprudenza di questa Corte (Sez.1, n. 3146 del 14/02/2006 – Rv. 586949 – 01; Sez. 1, n. 8121 del 03/04/2009, Rv. 607741 – 01), secondo cui fini della determinazione dell’indennità di esproprio, la ricognizione della qualità edificatoria o meno dell’area va operata con riferimento alla data del decreto di esproprio, dovendosi interpretare la formula “al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio”, di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis nel senso della irrilevanza del vincolo espropriativo ai fini della stima del bene, e non nel senso della necessità di retrodatare la qualificazione della natura del terreno all’epoca dell’imposizione di detto vincolo, giacchè, altrimenti, nell’ipotesi di mutamento di destinazione dell’area, sopravvenuta nelle more dell’espropriazione, l’indennizzo verrebbe ad essere inficiato di astrattezza, in contrasto con la previsione dell’art. 42 Cost., comma 3.

4.8. Il Comune di Schio osserva che il valore determinato dal C.t.u. e recepito dalla Corte di appello determinava un indebito arricchimento dei B. perchè utilizzava come parametro di riferimento il valore delle aree già urbanizzate, ossia comprensivo dei costi di urbanizzazione, integralmente sostenute dal Comune di Schio per realizzare la zona industriale.

Le predette opere di urbanizzazione erano state fatte costruire integralmente dal Comune in seguito al decreto di occupazione di urgenza del 2003, ben diversamente da quanto erroneamente affermato nella c.t.u. a pagina 27, che ne collocava l’esecuzione fra il 1984 e il 2001 sulla base del docomma 16 del Comune del tutto irrilevante e silente al proposito.

4.9. Il profilo di censura non è fondato.

La Corte veneziana, a pagina 11 della sentenza manoscritta in esame, afferma che era da ritenere corretta l’esclusione degli oneri di urbanizzazione dal computo del valore, poichè tali oneri vanno considerati solo nell’ambito della stima analitica e non in seno a quella operata con metodo sintetico, che di per sè tiene già conto delle caratteristiche dell’immobile, nel prezzo che viene a comporsi nel gioco reciproco di domanda ed offerta, che sconta necessariamente gli oneri connessi allo sfruttamento del suolo; la Corte territoriale ha quindi aggiunto che sul piano meramente fattuale le opere di urbanizzazione invocate dal Comune erano “affatto irrilevanti” al fine di determinare il valore dell’area perchè erano state eseguite, come accertato dal Consulente d’ufficio, tra il 1984 e il 2001 ossia prima della vicenda ablativa in oggetto.

Secondo il Comune ricorrente, le opere di urbanizzazione rilevanti erano state eseguite a spese integrali del Comune per realizzare la zona industriale in seguito al decreto di occupazione di urgenza n. 11987 del 23/4/2003: tale affermazione è in flagrante contrasto con quanto accertato in fatto dalla Corte territoriale, che colloca tali opere in epoca precedente, prima del 2001 e comunque prima dell’occupazione di urgenza, e non è supportata dal richiamo in positivo di alcuna evidenza probatoria.

Il Comune sostiene che il C.t.u. si sarebbe basato ai fini dell’affermazione (contenuta a pagina 27 della relazione) recepita dalla Corte su di un documento, quello n. 16 del Comune, che non contiene invece alcuna informazione al proposito, come documentalmente dimostrato dalla sua inserzione nello stesso testo del ricorso.

4.10. La censura peraltro non è proposta in modo specifico e autosufficiente, in difetto di completa trascrizione del contenuto della relazione peritale sulla base della quale la Corte di appello ha collocato la data di esecuzione delle opere in questione (pag. 11, penultimo capoverso), senza formulare alcun riferimento al contenuto del predetto documento n. 16, contro il quale si concentra l’argomentazione demolitiva del Comune di Schio.

Riportando solo un brevissimo passaggio decontestualizzato della relazione del Consulente che lega l’esecuzione delle opere al predetto documento (“Il fatto che le opere di urbanizzazione siano state realizzate dal Comune di Schio nel periodo dal 1984 al 2001 (rif. docomma 16 Comune)”), e senza allegare la relazione di consulenza, il ricorrente incidentale non mette in condizione questa Corte di valutare la fondatezza del proprio assunto critico; carenza questa tanto più grave, ove si consideri che il Comune si riferisce in modo emblematicamente generico a dette opere, senza indicarne contenuto, oggetto, collocazione, data specifica di esecuzione, valore.

In altri termini, il ricorrente per confutare l’affermazione della Corte di appello avrebbe dovuto dimostrare che in tutta la relazione tecnica del Consulente d’ufficio non vi era quel valido supporto alla datazione del momento di esecuzione delle opere di urbanizzazione, ravvisato dalla Corte territoriale e non limitarsi ad aggredire l’efficacia probatoria del predetto documento 16.

4.11. La censura inoltre è proposta per violazione di legge e non per omesso esame di fatto decisivo, comunque non sussistente non correttamente individuato.

4.12. Giova inoltre ricordare che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, a cui si è conformata la Corte veneziana, in tema di espropriazione per pubblica utilità di terreni edificabili la questione della detrazione degli oneri di urbanizzazione dal valore del fondo assume rilevanza esclusivamente se la valutazione sia stata effettuata applicando il metodo analitico – ricostruttivo che è volto a determinare il valore di trasformazione dell’area espropriata, mentre non rileva se la stima sia stata effettuata applicando il metodo sintetico – comparativo, che si avvale di indicazioni di mercato concernenti il prezzo pagato per immobili omogenei (Sez. 1, n. 15693 del 14/06/2018, Rv. 649136 – 01).

Infatti, se il valore venale è accertato con metodo sintetico-comparativo, esso deve ritenersi già depurato da tali oneri, in quanto il mercato li sconta preventivamente nella determinazione del valore delle aree edificabili e, pertanto, una loro ulteriore sottrazione si risolverebbe in una non consentita duplicazione (Sez. 1, n. 16750 del 04/07/2013, Rv. 627265 – 01; Sez. 1, n. 9891 del 24/04/2007, Rv. 596251 – 01).

Correttamente quindi la Corte di appello non ha ritenuto di enucleare dal valore dell’area stimato con metodo sintetico-comparativo l’incidenza degli oneri di urbanizzazione; questi, se fossero stati sostenuti dal Comune dopo l’occupazione dell’area, come sostiene, ma non dimostra, il ricorrente incidentale, avrebbero potuto essere esclusi quali incrementi connessi all’esecuzione dell’opera di pubblica utilità o derivanti dalla previsione dell’esecuzione stessa; sul punto però la censura non supera il vaglio della specificità.

5. Con il secondo motivo di ricorso incidentale del Comune di Schio, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32 e della L. n. 1150 del 1942, art. 28 per la mancata considerazione della condizione giuridica urbanistica dell’area e della doverosa cessione di aree per standards e opere di urbanizzazione.

5.1. Anche ritenendo applicabile l’art. 32 Testo Unico, secondo il ricorrente, la decisione sarebbe illegittima poichè l’indennità doveva essere determinata senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla eventuale realizzazione della prevista opera pubblica, sicchè sarebbe stato doveroso tener conto della predetta doverosa cessione di aree ai sensi del citato art. 28 Legge Urbanistica.

Nel presente caso in cui le aree erano state urbanizzate dal Comune dopo la dichiarazione di pubblica utilità e l’occupazione di urgenza, come pacificamente riconosciuto dagli attori, si doveva tener conto del valore dei terreni non urbanizzati.

5.2. La censura mossa presuppone, come la precedente, la prova del fatto che le opere di urbanizzazione fossero state eseguite dal Comune dopo la dichiarazione di pubblica utilità e l’occupazione di urgenza, affidata a una mera allegazione e al generico assunto che gli attori lo avrebbero riconosciuto sin dall’atto di citazione (ricorso, pag. 16), privo di qualsiasi concreto riferimento e conseguentemente di idonea pregnanza.

La genericità della deduzione impedisce a questa Corte di valutare se e che cosa avrebbero ammesso i B. con l’atto introduttivo.

6. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente incidentale Comune di Schio denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32 per la mancata applicazione del metodo analitico, in luogo di quello sintetico-comparativo adottato, poichè non era possibile riferirsi ai prezzi di vendita da parte del Comune per la cessione di aree già urbanizzate.

6.1. La motivazione addotta dalla Corte per preferire il metodo sintetico-comparativo in luogo di quello analitico-ricostruttivo sarebbe incomprensibile. Tale errore nella scelta del metodo era decisivo perchè il valore di un’area urbanizzata non è certo parificabile a quello di un’area ancora da urbanizzare e la valutazione sintetico comparativa deve basarsi su valori di mercato omogenei anche sotto il profilo del grado di urbanizzazione dei beni espropriati.

6.2. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di liquidazione dell’indennità di espropriazione per le aree edificabili, la determinazione del valore del fondo espropriato può seguire, indifferentemente, la via del metodo sintetico-comparativo, volto ad individuare il prezzo di mercato dell’immobile attraverso il confronto con quelli di beni aventi caratteristiche omogenee, quanto quella del metodo analitico-ricostruttivo, fondato sull’accertamento del costo di trasformazione del fondo. Non è possibile stabilire tra i due criteri un rapporto di regola ad eccezione ed è pertanto rimessa al giudice di merito la scelta di un metodo di stima improntato, per quanto possibile, a canoni di effettività (Sez. 1, 19/02/2018, n. 3955; Sez.6, 31/03/2016, n. 6243; Sez.1, 22/03/2013, n. 7288; Sez.1, 18/06/2012, n. 9950).

Non sussiste quindi un metodo di valutazione privilegiato, anche se questa Corte, ancora recentemente, ha riconosciuto che, dovendosi fare riferimento esclusivamente al prezzo di mercato del bene espropriato, sia per i suoli edificabili che per quelli inedificabili, il metodo sintetico-comparativo è quello che meglio di ogni altro risponde alla perseguita finalità di accertamento del “giusto prezzo in una libera contrattazione di compravendita”, poichè si basa sull’effettiva realtà del mercato per immobili di caratteristiche identiche o similari alla data di riferimento, venendone il valore desunto da dati economici concreti, a prescindere dalla sua condizione giuridica (Sez.1, 09/05/2018, n. 11196).

La critica del Comune è affidata, ancora una volta, all’assunto che le aree da valutare erano già urbanizzate (e urbanizzate a sue spese), che peraltro costituisce affermazione in fatto indimostrata e non adeguatamente suffragata.

7. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Comune ricorrente incidentale denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 42 al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32 e alla L. n. 1150 del 1942 per falsa applicazione del metodo sintetico comparativo.

7.1. Secondo il Comune di Schio, tale sistema, comunque, non era stato applicato in maniera corretta perchè il valore dei beni non era stato desunto dal C.t.u. sulla base di prezzi certi e dati storici relativi ad atti di vendita di terreni omogenei sotto il profilo del grado di urbanizzazione.

Pur riconoscendo che l’area dei signori B. non era urbanizzata, il Consulente e la Corte avevano ricavato il valore reale del fondo da elementi (le conoscenze professionali del C.t.u. e le indagini svolte anche presso l’Agenzia delle Entrate), i cui risultati non erano stati affatto riportati, mentre il valore di 160 Euro al metro quadro si riferiva a terreni già urbanizzati.

7.2. La censura, proposta in modo del tutto generico, nei confronti di una valutazione peritale recepita dalla Corte territoriale e non accompagnata dalla trascrizione dei brani della consulenza oggetto di critica, difetta di conseguenza di specificità e autosufficienza.

Per altro verso, la contestazione mossa dal Comune, ancora una volta, si basa sull’assunto autoreferenziale, non condiviso dalla Corte territoriale con valutazione sul punto non specificamente confutata, che le opere di urbanizzazione dei terreni dei B. sarebbero state eseguite dal Comune dopo l’occupazione; al contrario la Corte di appello ha riferito tale valutazione al valore di mercato di area edificabile, urbanizzata in precedenza, in zona artigianale industriale del Comune di Schio, avuto riguardo a varie contrattazioni relative a terreni analoghi.

8. Con il quinto motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 2359 del 1865, artt. 48 e 49, al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 21,26 e 27 e all’art. 1224 c.c.

8.1. La sentenza aveva riconosciuto agli attori anche interessi legali e rivalutazione monetaria benchè essi avessero continuato a coltivare i mappali anche dopo l’occupazione di urgenza e il verbale di immissione in possesso e benchè il Comune avesse depositato nel 2006 la somma di Euro 483.760,00 a favore di B.D. e di Euro 205.050,00 a favore di tutti e tre i signori B. presso la Cassa Depositi e Prestiti.

Gli accessori di legge potevano quindi essere riconosciuti solo sulla somma residua.

Gli interessi dovevano inoltre decorrere dalla data della domanda e non da quella del decreto di esproprio.

La rivalutazione monetaria non era dovuta trattandosi di debito di valuta, nè i signori B. avevano allegato e dimostrato il maggior danno subito ex art. 1224 c.c., comma 2.

8.2. Il motivo è fondato, ancorchè l’assunto del ricorrente circa il fatto che i signori B. avrebbero continuato a coltivare i mappali anche dopo l’occupazione di urgenza e il verbale di immissione in possesso è del tutto generico e apodittico.

8.3. In primo luogo, la Corte di appello di Venezia erroneamente non ha tenuto conto delle somme già depositate dal Comune di Schio presso la Cassa Depositi e Prestiti, quando ha disposto al punto 2) del dispositivo il deposito dell’intera somma determinata al precedente punto 1).

8.4. In secondo luogo, la Corte veneta ha erroneamente considerato il credito relativo all’indennità di espropriazione come un credito di valore, liquidando di conseguenza la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat e gli interessi legali sulla somma progressivamente rivalutata di anno in anno.

Secondo consolidata giurisprudenza, invece, le obbligazioni di pagare l’indennità di espropriazione e di occupazione legittima costituiscono debiti di valuta (non di valore), sicchè, nel caso in cui, in esito ad opposizione alla stima effettuata in sede amministrativa, venga riconosciuto all’espropriato una maggiore somma a titolo di indennità espropriativa, l’espropriante deve corrispondere, solo su detta maggiore somma, gli interessi legali, di natura compensativa, dal giorno dell’espropriazione e fino alla data del deposito della somma medesima (Sez.1, 18/08/2017, n. 20178; Sez. 1, 09/10/2013, n. 22923; Sez. 1, 13/02/2012, n. 2036; Sez. 1, 20/06/2011, n. 13456; Sez. 1, 16/07/2008, n. 19590).

9. Con il sesto motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il Comune ricorrente denuncia violazione degli artt. 112,116 e 115 c.p.c. e artt. 2697,2712 e 2714 c.c. nonchè dei principi fondamentali della difesa e del contraddittorio e del dovere del giudice di giudicare juxta aligata et probata.

9.1. I signori B. in atto di citazione avevano espressamente riconosciuto che i loro terreni non erano urbanizzati per cui l’indennità di esproprio doveva essere commisurata detraendo dal valore di mercato dei terreni urbanizzati il costo degli oneri di urbanizzazione quantificato in Euro 30,00 al m.q., con un valore quindi di Euro 140,00 al m.q.

La Corte ha riconosciuto agli attori un valore superiore a quello da loro stessi indicato.

9.2. La deduzione circa il presunto riconoscimento della non urbanizzazione delle aree espropriate viene effettuata dal ricorrente incidentale in modo inammissibilmente generico che non mette la Corte in condizione di valutare alla luce del ricorso il contenuto della presunta ammissione dei signori B., che parrebbe affidata ad una mera argomentazione, comunque non trascritta e citata perifrasticamente.

Per altro verso, quanto alla violazione del principio dispositivo, i B. avevano chiesto la determinazione delle indennità dovute secondo giustizia.

In ogni caso, nei giudizi per la determinazione dell’indennità di esproprio, il giudice ha il potere-dovere di individuare il criterio legale applicabile alla procedura ablatoria sulla base delle caratteristiche del fondo espropriato, senza essere vincolato dalle prospettazioni delle parti, nè alla quantificazione della somma contenuta nell’atto di citazione, dovendo questa essere liquidata in riferimento a detti criteri, con conseguente accoglimento o rigetto della domanda a seconda che venga accertata come dovuta un’indennità maggiore o minore di quella censurata (Sez. 1, n. 18435 del 01/08/2013, Rv. 627486 – 01; Sez. 1, n. 8361 del 03/04/2007, Rv. 597107 – 01).

10. Con il settimo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37 e 32 quanto al riconoscimento dell’indennità per il deprezzamento dei fondi residui in Euro 31.250,00.

10.1. La Corte di appello aveva mancato di considerare non solo le modifiche urbanistiche apportate dal Comune ma anche il fatto che la divisione del fondo era stata determinata dall’esproprio realizzato dall’ANAS in relazione al quale avevano già percepito Euro 828.327,60 nel 2003.

10.2. La Corte di appello ha ritenuto versarsi in situazione di esproprio di una sola parte di un più vasto complesso con unitaria destinazione economica, con la conseguente alterazione della possibilità di utilizzazione della parte restante, con riferimento ad alcun fondi rimasti in proprietà di estensione m.q. 7124, costituenti un unicum con i terreni espropriati, con essi integranti una unica area funzionale per l’operatività dei fabbricati agricoli e ha conseguentemente accordato l’indennità ulteriore basandosi sulla differenza di valore del bene prima e dopo l’esproprio parziale (sentenza impugnata, pag.14).

10.3. Le censure del ricorrente sono del tutto generiche e appaiono rivolte nei confronti di un motivato accertamento in fatto operato dal Giudice del merito, sulla base di critiche dirette contro la consulenza tecnica d’ufficio, tra l’altro formulate in modo non autosufficiente.

Le considerazioni circa le modifiche urbanistiche concesse dal Comune a titolo di perequazione sono espresse in modo del tutto generico, non essendo dato comprendere di che cosa si tratti e quali atti ed evidenze probatorie sarebbero stati trascurati al riguardo.

Non diversa appare la sorte della censura imperniata sulla rilevanza di una precedente divisione del fondo determinata dall’esproprio realizzato dall’Anas che già avrebbe determinato il pregiudizio ora lamentato: la deduzione invoca vari documenti, chiedendo alla Corte di legittimità un inammissibile diretto confronto con le fonti di prova, neppure illustrate, appare assolutamente generica e non mette questa Corte in condizione di comprendere come e perchè il pregiudizio ristorato dalla sentenza impugnata corrisponderebbe allo stesso pregiudizio asseritamente già indennizzato in precedenza.

11. Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti B. denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 22 bis, comma 5 e art. 50, comma 1, della L. n. 2359 del 1865, art. 68 nonchè insufficiente e illogica motivazione su di un punto decisivo, circa la domanda finalizzata all’indennità di occupazione di urgenza finalizzata all’esproprio.

11.1. Tale indennità mira a compensare lo spossessamento del proprietario nel tempo intercorrente fra lo spossessamento anche virtuale e l’erogazione effettiva dell’indennità di esproprio.

Secondo i ricorrenti incidentali le predette norme dovevano trovare applicazione e non erano soggette alla deroga di cui all’art. 57 T.U. perchè non erano dirette a disciplinare il procedimento di espropriazione.

L’indennità pertanto spettava dal 12/5/2003 (immissione in possesso) al 28/8/2006 (decreto di esproprio).

L’indennità sarebbe stata comunque dovuta anche non ritenendo applicabile alla fattispecie il Testo Unico, in forza della previgente L. n. 2359 del 1865.

Sui predetti importi dovevano essere calcolati gli interessi.

11.2. La censura è fondata.

E’ pur vero infatti che ai sensi dell’art. 57 Testo Unico, norma di portata generale e riferita a tutte le disposizioni in esso contenute, le norme invocate dai ricorrenti non potevano essere applicate ratione temporis, a ciò ostando il fatto che la dichiarazione di pubblica utilità risaliva a data anteriore al 30/6/2003.

Tuttavia il diniego opposto dalla Corte di Venezia alla liquidazione a favore dei ricorrenti dell’indennità di occupazione, da loro richiesta con riferimento al periodo di occupazione temporanea intercorso fra la data di immissione in possesso del 12/5/2003 e il decreto di espropriazione del 28/8/2006, è stato motivato – con riferimento alla normativa previgente al Testo unico – in modo del tutto incongruo, con evidente inversione logico-giuridica basata sul fatto che tali profili di accertamento non erano stati oggetto dell’indagine tecnica da essa disposta con quesito limitato.

In altre parole, la Corte di appello ha giustificato la mancata determinazione dell’indennità di occupazione solo sulla base del fatto di aver essa disposto una consulenza tecnica non estesa a quel tema, con evidente vizio di circolarità e mera apparenza di motivazione.

A tanto non osta, evidentemente, che i ricorrenti non avessero espressamente invocato la L. n. 2359 del 1865, art. 68 poichè l’applicazione della norma giuridica corretta rientra tra i compiti e nei poteri del Giudice del merito.

Non rileva neppure che il Comune avesse depositato le somme versate alla Cassa Depositi e Prestiti anche in parte a titolo di indennità di occupazione, giacchè la corretta eventuale imputazione di tale versamento non incideva sul dovere del Giudice, investito da specifica domanda, di determinare l’indennità di occupazione effettivamente dovuta ed emettere all’esito le conseguenti statuizioni.

12. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti incidentali B. denunciano violazione o falsa applicazione di legge del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, nonchè insufficiente e illogica motivazione su di un punto decisivo, circa la domanda di aumento del 10% dell’indennità di espropriazione.

12.1. Osservano i ricorrenti che la norma invocata dagli attori e ritenuta inapplicabile dalla Corte di appello non regola il procedimento amministrativo di espropriazione, quindi non è soggetta alla deroga di cui all’art. 57 T.U.

Nella fattispecie l’indennità offerta era ben inferiore agli 8/10 di quella definitivamente determinata dalla Corte e ricorrevano quindi i presupposti per l’applicazione dell’aumento in parola.

12.2. Il Comune di Schio risponde non appropriatamente alla censura avversaria riferendosi al comma 9 e non all’art. 37 citato, comma 2 invocato ex adverso.

12.3. Secondo i ricorrenti, la norma in questione, diversamente da quanto sostenuto dal Comune, sarebbe applicabile alla fattispecie ratione temporis, in forza della deroga disposta dalla norma transitoria speciale introdotta dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90, sopra citata e commentata, rispetto alla regola generale di discrimine intertemporale tracciata dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 57 che attribuisce rilievo alla data scriminante del 30/6/2003 della dichiarazione di pubblica utilità delle opere.

L’assunto è infondato, come argomentato nel precedente p. 4.3., ove si è chiarito che la disciplina innovatrice di cui alla L. 24 dicembre 2007, n. 477, art. 2, comma 90, si applica ai soli procedimenti (e non ai giudizi) in corso, comunque soggetti, secondo la disciplina intertemporale generale al regime del Testo unico del 2001.

13. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti B. denunciano violazione o falsa applicazione di legge del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 9, e della L. n. 865 del 1971, art. 17 nonchè insufficiente e illogica motivazione su di un punto decisivo, circa la domanda di riconoscimento dell’indennità VAM in relazione alla effettiva coltivazione dell’area a fini agricoli.

Gli attori avevano fornito tutte le prove necessarie circa la qualità di coltivatori diretti, il tipo di coltura esistente sul fondo, i valori agricoli medi provinciali al momento dell’immissione in possesso e nel 2006.

A tal proposito la replica del Comune di Schio è puntuale e pertinente poichè la norma invocata, contenuta nel Testo Unico del 327/2001, non è applicabile alla fattispecie ratione temporis, per le ragioni più volte esposte; il che assorbe l’ulteriore notazione anche secondo la rigettata tesi dei ricorrenti incidentali il sopra ricordato L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90 si riferisce ai soli due primi commi dell’art. 37.

14. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti B. denunciano violazione o falsa applicazione di legge dell’art. 1224 c.c. nonchè omessa motivazione su di un punto decisivo, circa la decorrenza degli interessi legali, individuata nella data della sentenza e non già come si sarebbe dovuto dal momento del decreto di espropriazione.

La censura è fondata, specie a fronte della cassazione disposta in accoglimento del ricorso del Comune di Schio in ordine all’erroneo metodo di liquidazione adottato dalla Corte alla stregua di debito di valore.

Gli interessi legali, peraltro da applicarsi alle sole somme ulteriori dovute rispetto a quanto già versato alla Cassa Depositi e Prestiti, debbono essere fatte decorrere dal decreto di espropriazione e non già dalla data della sentenza.

Le obbligazioni di pagare l’indennità di espropriazione e di occupazione legittima costituiscono debiti di valuta (non di valore), sicchè, nel caso in cui, in esito ad opposizione alla stima effettuata in sede amministrativa, venga riconosciuto all’espropriato una maggiore somma a titolo di indennità espropriativa, l’espropriante deve corrispondere, solo su detta maggiore somma, gli interessi legali, di natura compensativa, dal giorno dell’espropriazione e fino alla data del deposito della somma medesima (Sez.1, 18/08/2017, n. 20178).

15. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione ai motivi accolti (primi quattro motivi del ricorso principale della Provincia di Vicenza; quinto motivo del ricorso incidentale del Comune di Schio; primo e quarto motivo del ricorso incidentale dei signori B.), assorbito il quinto motivo del ricorso della Provincia e respinti tutti gli altri motivi dei ricorsi principale e incidentali.

Consegue ut supra la decisione nel merito quanto alla dichiarazione di difetto di legittimazione passiva della Provincia di Vicenza, e il rinvio alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità nei rapporti fra Comune di Schio e i signori B..

Quanto alle spese relative al rapporto processuale fra gli attori B. e la convenuta Provincia, come sopra esposto, sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione, avuto riguardo all’erroneo e fuorviante richiamo al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 contenuto nel decreto di espropriazione.

PQM

LA CORTE

accoglie i primi quattro motivi del ricorso principale della Provincia di Vicenza, il quinto motivo del ricorso qualificato incidentale del Comune di Schio, il primo e quarto motivo del ricorso incidentale di D., I. e B.M., assorbito il quinto motivo del ricorso principale della Provincia di Vicenza e respinti tutti gli altri motivi dei ricorsi principale e incidentali;

decidendo nel merito nei rapporti tra la Provincia di Vicenza e D., I. e B.M., dichiara il difetto di legittimazione passiva della Provincia di Vicenza, a spese compensate;

rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità nei rapporti fra il Comune di Schio e D., I. e B.M..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 11 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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