Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25380 del 01/12/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 25380 Anno 2014
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 13764-2011 proposto da:
DI

GREGORIO

GUIDO

C.F.

DRGGDU71D12F205E,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. PAULUCCI DE
CALBOLI 9, presso lo studio dell’avvocato NATALE
FUSARO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA
BAUCCIO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
2838

contro

IBM ITALIA S.P.A. C.F. 01442240030, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DEI DUE MACELLI 47 (STUDIO

Data pubblicazione: 01/12/2014

7-

LEGALE RUCELLAI E RAFFAELLI), presso lo studio
dell’avvocato PAOLO TODARO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ANDREA VISCHI, giusta

í

delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 149/2011 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 23/02/2011 R.G.N. 1933/2009
+1;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/10/2014 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito l’Avvocato BAUCCIO LUCA;
udito l’AvvoCATO VISCHI ANDREA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
I

Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per

il rigetto del ricorso.

,
,.

..

Svolgimento del processo
La IBM Italia s.p.a. impugnava la sentenza del Tribunale di
Milano con cui venne dichiarato illegittimo il licenziamento
disciplinare per giusta causa intimato a Guido Di Gregorio in data
11.2.08, con le conseguenze di cui all’art. 18 L. n. 300\70.
Il primo giudice ritenne in parte infondate le contestazioni
.. formulate ed in parte le stesse inidonee a giustificare il

comunicato tempestivamente la propria impossibilità di
riprendere la prestazione lavorativa, rilevava che il De Gregorio,
in ferie sino al 7.1.08 e sottoposto a misura cautelare in carcere
dal 20.12.07, aveva comunicato tramite la sorella la propria
impossibilità di fare rientro al lavoro alla data prevista,
comunicando poi personalmente il suo rientro per i primi di
febbraio; che il dipendente non era tenuto, neanche in base agli
obblighi di correttezza, a comunicare alla datrice di lavoro la
causa dell’impossibilità di riprendere il lavoro, né il tipo di reato
per cui era stato sottoposto a misura cautelare in carcere
(pedopornografia); quanto alla contestazione dell’indebito uso del
personal computer aziendale, rilevava che il licenziamento, in
base al c.c.n.l., era giustificato solo in caso di furto o
danneggiamento; che nel suddetto p.c. non era risultato alcun
materiale pornografico e che nessun danno era stato prodotto
all’immagine aziendale.
La società impugnava altresì la sentenza n.2278/10 del
medesimo Tribunale, con cui venne respinta l’opposizione al
decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto dal Di Gregorio, con cui
le veniva ingiunto il pagamento della somma di €.71.640.000,
oltre accessori di legge, a titolo di indennità sostitutiva della
reintegrazione, richiesta dal lavoratore a seguito della
pubblicazione della prima sentenza che disponeva la sua
reintegra nel posto di lavoro.
Resisteva il Di Gregorio in entrambi i giudizi.

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provvedimento espulsivo; quanto alla contestazione di non aver

Con sentenza depositata il 23 febbraio 2011, la Corte d’appello di
Milano, riuniti i ricorsi, in riforma della sentenza n. 3641\09 del
Tribunale di Milano, respingeva la domanda proposta dai Di
Gregorio; in riforma della sentenza n. 2278 dei medesimo
Tribunale, dichiarava la nullità del d.i. opposto, compensando le
spese di primo grado. Condannava il Di Gregorio a restituire alla
IBM Italia le somme di denaro ricevute in esecuzione della

Condannava il Di Gregorio al pagamento delle spese dei giudizio
di appello.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Di Gregorio,
affidato a cinque motivi. Resiste la società con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia una . omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5
c.p.c.), ed in particolare la omessa individuazione delle fonti e
delle prove relative all’asserito uso indebito o illecito del P.C.
aziendale.
Lamenta che tale circostanza, affermata dalla Corte di merito,
non trova in sentenza alcun elemento argomentativo.
2.-Con il secondo motivo il lavoratore denuncia parimenti una
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5
c.p.c.), ed in particolare una omessa pronuncia in merito
all’inidoneità dell’articolo di giornale del Corriere della Sera del
20.12.07, inerente la notizia del sequestro e delle giustificazioni
del lavoratore, ad integrare la piena cognizione del fatto
contestato; ancora una omessa pronuncia in merito
allirrilevanza dei documenti originali, acquisiti e conosciuti
successivamente al licenziamento, a fornire la prova
dell’illegittimità del provvedimento espulsivo.
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sentenza di primo grado, oltre interessi dal pagamento al saldo,

Lamenta che la sentenza impugnata, nell’individuare un asserito
uso illegale del computer, aveva dato vita ad una decisione
viziata da motivazione illogica e insufficiente. La Corte territoriale,
infatti, aveva affermato che: “i fatti contestati rientrano sia nella
fattispecie prevista dall’art.25 lettera b) del CCNL, dovendo
ritenersi compiuti comunque in connessione con lo svolgimento
dei rapporto di lavoro, sia in quelli passibili di licenziamento ai

utilizzo illegale dello strumento aziendale, sicché comunque essi
integravano giusta causa di recesso in quanto idonei a ledere
irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e
lavoratore”. Doveva ritenersi infatti che l’utilizzo della
strumentazione informatica di proprietà IBM, assegnata al Di
Gregorio per lo svolgimento delle proprie mansioni, invece
utilizzata per fini illeciti, era comportamento di oggettiva gravità,
idoneo a giustificare il licenziamento. In sostanza lamenta il
ricorrente che la sentenza impugnata non avesse operato la
doverosa cesura temporale tra i fatti accertati al momento
dell’adozione del provvedimento espulsivo e quelli solo
successivamente conosciuti (quali ad esempio l’annotazione della
Polizia Postale dell’ottobre 2009, doc.9), fondando ad esempio il
giudizio di illiceità del comportamento contestato su fatti ancora
oggetto di accertamenti in sede penale, di cui la IBM decise di
non attendere gli esiti.
3.-Con il terzo motivo il lavoratore denuncia ancora una omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5
c.p.c.), ed in particolare relativamente all’individuazione del
contenuto dell’obbligo del lavoratore di rendere tempestivamente
edotto dei fatti il datore di lavoro (peraltro nell’impossibilità di
farlo stante l’applicazione della misura costrittiva penale), nonché
omessa individuazione delle fonti del detto obbligo, laddove gli
unici fatti contestati erano il suo arresto ed il sequestro del

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sensi del codice disciplinare IBM, trattandosi in ogni caso di un

computer aziendale in suo uso (circostanze ammesse dal
lavoratore nella lettera di giustificazioni del 30.1.08).
4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 25, lett. b) del c.c.n.l. metalmeccanici (art.
360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Lamenta che la norma contrattuale citata (e lo stesso codice

in caso di furto o di danneggiamento di beni del datore di lavoro,
circostanze non ricorrenti nella specie, avendo la società intimato
il licenziamento sulla base di fatti successivi al recesso stesso.
5.- I motivi, che per la loro connessione possono essere
congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili e per il
resto infondati.
Inammissibile, quanto all’ultima censura, non avendo il ricorrente
prodotto il c.c.n.l. invocato per esteso, ma solo taluni estratti, in
contrasto con l’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c. (cfr. da ultimo
Cass. n. 23972 del 2011).
Deve inoltre rimarcarsi che la giusta causa di licenziamento è
nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del
contratto collettivo; ne deriva che il giudice può ritenere la
sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per
un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme
della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave
inadempimento o tale grave comportamento, secondo un
apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se
congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto
fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore; per altro verso, il
giudice può escludere altresì che il comportamento del lavoratore
costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale
dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze
concrete che lo hanno caratterizzato (Cass. 18 febbraio 2011 n.
4060).

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disciplinare IBM) prevedevano la sanzione del licenziamento solo

Occorre per il resto evidenziare che al Di Gregorio venne
innanzitutto contestata l’assenza ingiustificata per un notevole
lasso di tempo, ed inoltre le non veridiche comunicazioni circa la
causa dellrimpedimento, quindi il protrarsi dell’assenza senza
addurre alcun motivo (così la contestazione riportata nella
sentenza impugnata). Tali fatti, sostanzialmente pacifici, già
sono idonei a configurare una giusta causa di licenziamento ex

Deve inoltre considerarsi che, come risulta dalla sentenza
impugnata, già nella lettera di contestazione, !a società
addebitava al ricorrente il sequestro del p.c. aziendale, che il
dipendente aveva in uso presso la sua abitazione solo per lo
svolgimento di attività esclusivamente connesse al lavoro (come
previsto dai Regolamenti IBM), sequestro operato dall’autorità di
P.S. e mantenuto dall’autorità giudiziaria penale in quanto mezzo
di prova, evidentemente per la commissione, tramite esso (e la
linea adsl personale fornita parimenti dalla IBM al ricorrente
presso la sua abitazione) di reati che, pur non esplicitati nella
lettera di contestazione, erano a conoscenza della società ancor
prima del licenziamento in base ad un articolo di stampa apparso
sul Corriere della Sera il 20.12.07, secondo cui un tecnico
informatico della stessa età del ricorrente e di cui erano riportate
le iniziali, coincidenti con quelle del ricorrente, in quel periodo in
effetti assente, era stato tratto in arresto nell’ambito di una vasta
indagine penale concernente la pedopornografia. La circostanza
che la IBM abbia deciso di contestare solo i gravi fatti di cui era
con certezza a conoscenza, nulla toglie alla loro gravità ex art.
2119 c.c., anche valutate, come ha logicamente fatto la Corte di
merito, !e risposte non veritiere fornite da! dipendente. Non
risulta dunque fondata la censura secondo cui la società avrebbe
fondato il licenziamento su fatti conosciuti solo dopo il recesso.
Considerata inoltre, come rilevato dalla Corte di merito, la
rintracciabilità informatica dei collegamenti e contatti effettuati

7

art. 2119 c.c.

da una postazione informatica comunque riconducibile all’IBM,
con possibile danno all’immagine aziendale, e risultando provate
sia l’assenza ingiustificata, sia l’assenza di giustificazioni o lett
giustificazioni non veritiere, sia l’utilizzo indebito del p.c.
aziendale, circostanza pure contenuta nella lettera di
contestazione (“Le ricordiamo che l’utilizzo del computer portatile
come di tutti gli strumenti aziendali è consentito esclusivamente

nelle ‘norme di sicurezza ed utilizzo degli strumenti informatici
IBM”), la decisione impugnata non risulta inficiata dalle censure
svolte.
5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ancora una
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5
c.p.c.), circa la ritenuta nullità del decreto ingiuntivo, successivo
alla sentenza di reintegra ed avente ad oggetto la richiesta
dell’indennità sostitutiva, senza spiegare perché la procura del
giudizio originario non potesse avere effetto anche per

il

successivo giudizio monitorio.
Il motivo, logicamente subordinato ai precedenti, resta assorbito

dal loro rigetto: ed invero l’accertata insussistenza del diritto del
Di Gregorio alla reintegra, esclude evidentemente il suo diritto
all’indennità sostitutiva della stessa, di cui all’art. 18, comma 5,
della L. n.300\70 vigente all’epoca dei fatti.
6.-Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese di lite seguono la
soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
E.100,00 per esborsi, E.4.000,00 per compensi, oltre spese
generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 otto re 2014
Il Consigliere est.

Il Pr sidente

nel rispetto delle regole e per le finalità di lavoro come indicato

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