Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25379 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. I, 09/10/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 09/10/2019), n.25379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14501/2014 R.G. proposto da:

COMUNE DI RUVO DI PUGLIA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato

e difeso dall’Avv. Silvia Lioce, con domicilio eletto in Roma, via

L. Mantegazza, n. 24, presso il Dott. Marco Gardin;

– ricorrente e controricorrente –

contro

I.M.G., e I.C., rappresentate e difese

dall’Avv. Davide D’Ippolito, con domicilio eletto in Roma, via degli

Scipioni, n. 267, presso lo studio dell’Avv. Daniela Ciardo;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 165/14,

depositata il 17 febbraio 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15 maggio

2019 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I.M.G. e C., già proprietarie di un fondo della superficie di 12.271 mq. sito in (OMISSIS) e riportato in Catasto al foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS), espropriato con decreto del 28 novembre 2003 per la realizzazione di un programma di edilizia residenziale pubblica, convennero in giudizio il Comune di Ruvo di Puglia, proponendo opposizione alla stima delle indennità di espropriazione ed occupazione.

Si costituì il Comune e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. Con sentenza del 17 febbraio 2014, la Corte d’appello di Bari ha accolto la domanda, determinando l’indennità di espropriazione in Euro 1.227.100,00 e quella di occupazione in Euro 394.564,00, oltre interessi legali dal 5 febbraio 2014, ed ordinandone il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti.

Premesso che il fondo espropriato ricadeva nel comparto M del Piano regolatore generale, la Corte ha ritenuto inutilizzabile, a fini comparativi, la valutazione di altri suoli compresi nel medesimo comparto, effettuata da un organo appositamente istituito dal Comune, osservando che la stessa, oltre a fondarsi sulla sovrastima dei prezzi di vendita delle unità immobiliari e su un sovradimensionamento del valore di scambio tra i suoli e le volumetrie, non si era mai tradotta in atti negoziali o in prezzi effettivamente corrisposti. Ha ritenuto altresì inutilizzabile la relazione di un primo c.t.u. nominato nel corso del giudizio, il quale si era avvalso della stima compiuta dall’organo istituito dal Comune, impiegando come elemento di comparazione il valore di un solo fondo, situato in altro comparto avente caratteristiche urbanistiche diverse da quello in questione.

La Corte ha ritenuto invece condivisibile la stima compiuta dal terzo c.t.u. nominato nel corso del giudizio, il quale aveva fatto riferimento ai prezzi di dodici immobili inclusi nel comparto M, pervenendo ad un valore unitario medio di Euro 85,00 al mq. Ha escluso la possibilità di tener conto della valutazione compiuta in altro giudizio, riguardante un immobile compreso in un altro comparto situato al lato opposto della città e non fondata su una c.t.u., ma su precedenti giudiziari che avevano fatto riferimento alla stima dell’organo istituito dal Comune. Ha incrementato il predetto valore del 10%, ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, elevando poi equitativamente ad Euro 100,00 al mq. il valore così ottenuto. Ha infine determinato l’indennità di occupazione in misura pari ad un dodicesimo del valore venale del fondo per ciascuna annualità, come previsto dal cit. D.P.R. n. 327, art. 50, richiamato dall’art. 22-bis.

2. Avverso la predetta sentenza il Comune ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Le I. hanno resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo ed anch’esso illustrato con memoria, al quale il Comune ha resistito a sua volta con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il Comune denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per non aver preso in considerazione le critiche da esso mosse alla relazione del c.t.u., in base alla quale è stato determinato il valore del fondo espropriato. Afferma che, nel procedere alla stima con metodo sintetico-comparativo, il c.t.u. ha provveduto ad adeguare i prezzi alla data del decreto di esproprio mediante l’applicazione dell’indice del costo di costruzione, in tal modo introducendo nella stima un elemento estraneo al criterio adottato, e riferibile al metodo analitico-ricostruttivo. Aggiunge che il c.t.u. è incorso in contraddizione, avendo da un lato affermato che ciascun suolo incluso in un piano urbanistico concorre in misura uguale alla realizzazione dello stesso, ed avendo dall’altro riconosciuto al suolo in questione un maggior valore del 25%, in considerazione della sua estensione. Rileva che, oltre ad avere erroneamente adottato un tasso di cambio pari ad 1 per la conversione da Lire in Euro del prezzo di vendita di un immobile, il consulente ha utilizzato per la stima atti di compravendita successivi alla data dell’esproprio, aumentandone il prezzo, laddove l’andamento del mercato immobiliare era risultato sostanzialmente stabile. Sostiene infine che nel calcolo degl’interessi la Corte distrettuale ha omesso di detrarre quelli maturati sulle somme già depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, il sindacato di legittimità sulla motivazione è infatti circoscritto all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che abbia formato oggetto del dibattito processuale ed appaia idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, nonchè alla verifica del mancato rispetto del “minimo costituzionale” imposto dall’art. 111 Cost., comma 6, configurabile esclusivamente nelle ipotesi (che determinano la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) in cui la motivazione risulti del tutto assente sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure meramente apparente o affetta da manifesta ed irriducibile contraddittorietà, o ancora perplessa od incomprensibile (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., Sez. II, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez. III, 11/04/2017, n. 9253). Tali vizi nella specie non sono stati in alcun modo prospettati, essendosi l’Amministrazione limitata a censurare la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini della determinazione del valore del fondo espropriato, ha fatto propria la stima compiuta dall’ultimo c.t.u. nominato nel corso del giudizio, riproponendo le medesime critiche da essa rivolte all’elaborato di quest’ultimo, e disattese dalla Corte territoriale, senza però riuscire ad individuare elementi di fatto non presi in considerazione dalla sentenza impugnata, nè incongruenze o antinomie di gravità tale da impedire la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione. Le doglianze proposte riflettono, in definitiva, meri vizi di contraddittorietà o insufficienza della motivazione, non deducibili con il ricorso per cassazione, ovvero l’omessa o inadeguata valutazione di elementi istruttori, censurabile in sede di legittimità soltanto nell’ipotesi, nella specie non sussistente, in cui si sia tradotta nella pretermissione di circostanze di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, in modo da potersi ritenere che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (cfr. Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. III, 26/06/2018, n. 16812; Cass., Sez. VI, 28/09/2016, n. 19150).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32 e art. 37, comma 2, come modificato dalla L. 27 dicembre 2007, n. 244, art. 2, commi 89, lett. a) e art. 90, osservando che, nel riconoscere l’incremento del 10% sul valore venale del fondo, la sentenza impugnata non ha considerato che quest’ultima disposizione si applica esclusivamente ai procedimenti espropriativi ancora in corso, e non anche ai giudizi in corso.

2.1. Il motivo è fondato.

L’incremento del dieci per cento dell’indennità di espropriazione, previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, per l’ipotesi in cui l’indennità offerta in via provvisoria risulti inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva, è stato infatti introdotto dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, lett. a), che ha sostituito i primi due commi dell’art. 37, dichiarati costituzionalmente illegittimi (unitamente al D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 1992, n. 359) con sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007: ai sensi dell’art. 2, comma 90, tale disposizione trova applicazione a tutti i procedimenti espropriativi in corso, per tali dovendosi intendere, peraltro, soltanto quelli soggetti alla disciplina introdotta dal D.P.R. n. 327 del 2001, vale a dire (conformemente alla norma transitoria dettata dall’art. 57, come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302) quelli in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta successivamente alla sua entrata in vigore (30 giugno 2003), e che alla data di entrata in vigore della L. n. 244 del 2007 (1 gennaio 2008) non si fossero ancora conclusi (cfr. Cass., Sez. Un., 28/02/2008, n. 5265; Cass., Sez. I, 18/08/2017, n. 20177; Cass., Sez. VI, 19/03/2013, n. 6789). Restano pertanto esclusi dall’ambito applicativo della norma in esame i procedimenti espropriativi come quello in esame, conclusosi con decreto del 28 novembre 2003, indipendentemente dalla circostanza che all’epoca dell’entrata in vigore della nuova disciplina fosse pendente il giudizio di opposizione alla stima, nella specie promosso con atto di citazione notificato il 5 febbraio 2004.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nonchè l’illogicità della motivazione, rilevando che la sentenza impugnata ha elevato equitativamente ad Euro 100,00 al mq. il valore unitario stimato, in assenza dei presupposti di legge. Premesso infatti che il ricorso all’equità integrativa postula l’impossibilità o la notevole difficoltà di determinare con precisione l’equivalente pecuniario del danno, osserva che nella specie non vi era alcun ostacolo alla determinazione del valore venale dell’immobile, il cui incremento non è sorretto da alcuna motivazione.

3.1. Il motivo è fondato.

In tema di risarcimento, questa Corte ha avuto modo di affermare ripetutamente che, qualora sia stata svolta una consulenza tecnica di ufficio per una precisa quantificazione del danno, il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., soltanto quando ritenga e dimostri, con congrua e logica motivazione, che il relativo accertamento peritale sia inidoneo allo scopo, e sussista pertanto il presupposto normativo del ricorso all’equità, costituito dall’impossibilità o dall’estrema difficoltà di una precisa prova in ordine all’ammontare del danno (cfr. Cass., Sez. III, 19/02/2013, n. 4017; 11/02/2002, n. 1885; 27/12/1995, n. 13114). La sussistenza del predetto presupposto, riferibile anche alle obbligazioni da atto lecito, nella specie è rimasta non solo assolutamente indimostrata, ma trova smentita nella stessa motivazione della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto pienamente condivisibile il valore di Euro 85,00 al mq. stimato dal c.t.u., contraddittoriamente aggiungendovi, oltre all’incremento del dieci per cento erroneamente riconosciuto ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, un altro aumento di Euro 6,50 al mq., per non meglio precisati “motivi di ulteriore valutazione equitativa”.

4. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, le controricorrenti denunciano la nullità del procedimento e/o della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento del maggior danno da svalutazione monetaria, da loro proposta nell’atto di citazione e ribadita all’udienza di precisazione delle conclusioni. Per l’accoglimento di tale domanda doveva d’altronde considerarsi sufficiente la prova della qualità di creditrici, potendo il pregiudizio essere riconosciuto presuntivamente in misura non inferiore al tasso d’inflazione, alla stregua degli usuali impieghi del denaro e dell’entità della somma dovuta.

4.1. Il motivo è fondato.

La natura processuale del vizio lamentato consente di procedere all’esame diretto degli atti di causa, dai quali si evince che la domanda di risarcimento del maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, era stata effettivamente proposta nelle conclusioni dell’atto di citazione, e ribadita anche all’udienza di precisazione delle conclusioni: tale domanda non è stata esaminata dalla sentenza impugnata, la quale si è limitata a riconoscere, sugli importi liquidati, gl’interessi legali, con decorrenza per l’indennità di espropriazione dalla data della domanda giudiziale, e per quella di occupazione dalla scadenza delle singole annualità, omettendo di verificare la sussistenza dell’ulteriore pregiudizio lamentato, in relazione al tempo trascorso dall’instaurazione del giudizio (cfr. Cass., Sez. I, 25/02/2015, n. 3794; 7/03/2006, n. 4885) ed alla possibilità di un utile reimpiego delle somme dovute, dimostrabile anche in via presuntiva (cfr. Cass., Sez. VI, 18/10/2017, n. 24598; Cass., Sez. III, 26/02/2015, n. 3954).

5. Il primo motivo del ricorso principale va dichiarato pertanto inammissibile, mentre vanno accolti il secondo ed il terzo motivo, così come il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, nei limiti segnati dalle censure accolte, con il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Bari, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo ed il terzo motivo; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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