Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25375 del 20/09/2021

Cassazione civile sez. I, 20/09/2021, (ud. 17/06/2021, dep. 20/09/2021), n.25375

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25461/2020 proposto da:

A.K., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Giovanbattista Scordamaglia, in forza di

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– resistente –

Procura Repubblica Catanzaro;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2434/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/06/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 A.K., alias A.S.K., cittadino del (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Catanzaro, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito che il padre era una persona molto conosciuta nell’ambito della religione sciita; che nel suo villaggio essi erano in minoranza rispetto ai gruppi (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS); che a suo padre era stata commissionata la costruzione di una inambraga per gli sciiti; che suo padre era stato minacciato più volte durante i lavori e infine assassinato; che la polizia aveva arrestato due persone, una delle quali era stata condannata a morte e l’altra era stata rilasciata; che quest’ultimo aveva aggredito suo fratello, rendendolo disabile e aveva minacciato prima un altro fratello e poi anche lui; che i terroristi del gruppo (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano picchiato sua madre e chiesto di lui; che ciò lo aveva indotto a lasciare il proprio Paese.

Il Tribunale ha respinto il ricorso con ordinanza del 10/7/2018, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto da A.K. è stato rigettato dalla Corte di appello di Catanzaro, a spese compensate, con sentenza del 19/12/2019.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso A.K., con atto notificato il 21/9/2020, dando atto della sospensione dei termini per emergenza pandemica dal 9/3/2020 all’11/5/2020 e svolgendo quattro motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita solo con memoria del 9/11/2020 al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per omessa valutazione di alcuni documenti prodotti (denunce per l’omicidio del padre e l’aggressione del fratello e tesserino (OMISSIS)), violazione e falsa applicazione di norme di diritto e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 con riferimento ai profili di credibilità, al dovere di cooperazione istruttoria e al dovere di ascolto del richiedente asilo.

1.1. La Corte di appello ha ritenuto che non sussistesse il requisito della credibilità soggettiva del richiedente asilo a causa di una insufficiente determinazione delle circostanze del racconto quanto alle persone coinvolte e alle vicende narrate e degli aspetti di forte inverosimiglianza, contraddittorietà e scarsa attendibilità che caratterizzavano la narrazione della vicenda personale.

1.2. Certamente, in linea di principio, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716).

Tuttavia l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Sez.6, 27/06/2018, n. 16925).

La valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perché non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

I primi due commi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 impongono al richiedente un dovere di cooperazione consistente nell’allegare, produrre o dedurre “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare” la domanda di protezione internazionale. In ordine alla documentazione la norma mitiga l’obbligo di produzione, coerentemente con il più incisivo obbligo dell’autorità decidente di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, indicando i documenti “comunque appena disponibili”.

Nel comma 2 viene specificato, tuttavia, che gli elementi rilevanti che il richiedente è tenuto a fornire devono riferirsi alla sua età, condizione sociale, anche dei congiunti, se rilevante ai fini del riconoscimento, identità, cittadinanza, paesi e luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di identità e di viaggio, nonché i motivi della sua domanda di protezione internazionale. Il comma 5 infine stabilisce che anche quando tali circostanze non siano suffragati da prove, la veridicità delle dichiarazioni deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone,; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

L’esame delle lettere c) ed e) sopra indicate evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente purché il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez. 6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez. 6, 10/5/2011, n. 10202).

Le dichiarazioni intrinsecamente inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva contenuti nell’art. 3, non richiedono pertanto un approfondimento istruttorio officioso se la mancanza di veridicità non derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori sulla situazione oggettiva dalla quale scaturisce la situazione di rischio descritta.

1.4. Nella specie la Corte di appello alle pagine 7 e 8 della sentenza impugnata ha dato conto delle ragioni che la inducevano a giudicare non credibile il racconto di A.K., con il corredo di una motivazione che soddisfa lo standard del “minimo costituzionale” e che non può ritenersi meramente apparente come sostiene il ricorrente.

Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 quando essa, benché graficamente esistente, non rende, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145 – 01); in tal caso infatti la motivazione non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020, Rv. 658088 – 01); il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Sez. L, n. 3819 del 14/02/2020, Rv. 656925 – 02).

1.5. Il ricorrente tenta piuttosto una critica, riversata nel merito, delle ragioni della decisione esposte dalla Corte di appello, che inammissibilmente sollecitano la Corte di legittimità alla rivisitazione del materiale istruttorio e al ribaltamento dell’accertamento del fatto compiuto dal Giudice del merito.

Il ricorrente lamenta sub a) la mancata considerazione delle prove documentali da lui fornite, che purtuttavia sono state considerate dal Giudice di merito, che si è riferito anche alla denuncia per l’omicidio del padre per evidenziare contraddizioni nel racconto.

In ogni caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 – 01; Sez. 1, n. 8767 del 15/04/2011, Rv. 617976 – 01; Sez. L, n. 17097 del 21/07/2010, Rv. 614797 01); il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (Sez. 5, n. 29730 del 29/12/2020, Rv. 660157 – 01).

Per il resto, il ricorrente si avventura in una critica di merito alla valutazione del materiale istruttorio operata dalla Corte calabrese, indubbiamente opinabile ma sorretta da una sufficiente base motivazionale.

1.6. E’ infondata infine la doglianza circa la mancata audizione del richiedente asilo in sede di giudizio di appello, neppur accompagnata dalla deduzione di una specifica richiesta in tal senso formulata dal ricorrente in quella sede.

La più recente giurisprudenza di questa Corte, dedicata peraltro ai procedimenti soggetti al giudizio in unico grado dinanzi alle sezioni specializzate in materia di immigrazione ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis ha affermato che nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile. (Sez. 1, n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982-01; Sez. 1, n. 22049 del 13/10/2020 Rv. 659115 – 01; Sez. 1 n. 25312 dell’11/11/2020); quest’ultima pronuncia ha precisato che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza.

Quanto al previgente procedimento con doppio grado di merito, governato dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 e dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 questa Corte ha affermato che nel procedimento, in grado di appello, relativo a una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poiché l’obbligo di sentire le parti, desumibile dal rinvio operato dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 (testo previgente al D.Lgs. n. 150 del 2011), non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice di valutarne la specifica rilevanza, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale, che risulti manifestamente infondata, sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo di causa e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa (Sez. 1, n. 8931 del 14/05/2020, Rv. 657904 – 01).

E ciò in puntuale conformità con gli insegnamenti della Corte di Giustizia Ue, secondo la quale il giudice nazionale chiamato a decidere sul ricorso di un richiedente protezione internazionale, la cui domanda è stata già respinta dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, non è tenuto a procedere all’audizione del richiedente se nel procedimento di primo grado sia stato già sentito dagli organi nazionali competenti. Spetta al giudice adito valutare se sia necessario procedere a un esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto e se sia possibile prescindere dall’audizione basandosi sulle trascrizioni del colloquio personale dinanzi alla Commissione territoriale (Corte giustizia UE, sez. II, 26/07/2017, n. 348 – Moussa Sacko).

Nella specie il ricorrente è stato regolarmente ascoltato dalla Commissione Territoriale; non riferisce se sia stato o meno sentito anche dal Tribunale; soprattutto non sostiene di aver richiesto di essere ascoltato nuovamente dalla Corte di appello, indicando le ragioni a supporto dell’istanza.

1.7. Il motivo deve quindi essere complessivamente rigettato.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 6, 7 e 8 con riferimento allo status di rifugiato e alla mancanza di protezione da parte delle autorità locali a fronte delle aggressioni del gruppo (OMISSIS) e (OMISSIS).

La censura risulta inammissibile un via consequenziale, poiché il primo motivo non è riuscito a infrangere la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente asilo.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3 e art. 14, lett. a) e b) con riferimento al timore di subire trattamenti inumani e degradanti, con riferimento alla protezione sussidiaria e alla violenza estremista nei confronti degli aderenti al culto sciita, tra l’altro valutata dalla Corte di appello a fine 2019 sulla base di fonti non aggiornate (risalenti al più tardi al 2017) mentre l’appellante aveva fornito informazioni molto più recenti del 2018.

Anche questa censura risulta inammissibile in via consequenziale, poiché il primo motivo non è riuscito a infrangere la valutazione di non credibilità del racconto personale del richiedente asilo.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e s.m.i. nonché del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, con riferimento ai seri motivi di carattere umanitario e alla violazione dei diritti umani fondamentali in (OMISSIS), facendo constare l’inserimento sociale del richiedente, titolare di documentato rapporto di lavoro a tempo determinato dal febbraio 2018 come bracciante agricolo.

Ai fini del giudizio di bilanciamento richiesto dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (Sez. Un. 13/11/2019 n. 24959) la necessaria vulnerabilità soggettiva e individuale del richiedente non può essere ravvisata, come ha osservato la Corte territoriale a pagina 22, in difetto di credibilità del racconto personale; il che rende irrilevante la documentata attività lavorativa dal 2018 come bracciante agricolo a tempo determinato, oltretutto in difetto di altri elementi significativi di integrazione sociale rilevante sotto il profilo della tutela della vita privata e familiare ex art. 8 CEDU.

5. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Nulla sulle spese in difetto di rituale costituzione dell’Amministrazione.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

 

 

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