Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25372 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/10/2017, (ud. 25/05/2017, dep.25/10/2017),  n. 25372

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Laura – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6366/2012 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA

195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO LALLI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 37/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/03/2011 R.G.N. 3131/06.

Fatto

RILEVATO

1. che il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda di M.D., dichiarava la nullità del termine apposto al primo dei due contratti stipulati con Poste Italiane s.p.a., avente decorrenza dal 3.5.2002 al 30.6.2002 e la sussistenza inter partes, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato; condannava la società convenuta al ripristino del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data della domanda;

2. che la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello principale della società Poste e in accoglimento dell’appello incidentale della lavoratrice, in parziale riforma della decisione di primo grado, confermata nel resto, ha condannato Poste Italiane s.p.a. al risarcimento del danno in misura pari alla retribuzione globale di fatto che sarebbe maturata dal 4.8.2004, data di messa in mora, al 31.12.2005,oltre accessori;

2.1. che il giudice di appello ha ritenuto, con riferimento al primo dei contratti in controversia, stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, nel quale l’apposizione del termine era stata giustificata dal ricorrere esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002″, che le ragioni giustificative del termine erano del tutto generiche e che tale genericità non era superata neppure dal rinvio per relationem agli accordi collettivi stipulati a seguito di apertura della procedura di mobilità ex lege n. 223 del 1991, accordi dai quali non emergeva il coinvolgimento degli uffici di destinazione del lavoratore nell’ampio processo di riorganizzazione e mobilità nè la sua permanenza nel periodo di durata del contratto;

2.2. che, infatti, tali accordi prevedevano la mobilità territoriale del personale in esubero, essenzialmente in ambito regionale o provinciale, da destinare alle funzioni di “produzione”, ossia prevalentemente al recapito o alla sportelleria, o per evitare il c.d. pendolarismo, mobilità da attuarsi su base volontaria, e prevedevano altresì tempi e termini diversi poi modificati e prorogati (31 ottobre 2002, poi 30 novembre 2002); solo nell’accordo del 23 ottobre 2001 era prevista espressamente la possibilità di continuare a ricorrere all’attivazione di contratti a tempo determinato per sostenere il livello del servizio di recapito durante la fase di realizzazione dei processi di mobilità di cui all’accordo stesso, ancorchè nella prospettiva di ridurne gradualmente l’utilizzo;

2.3. che, le deduzioni espositive della società e le conseguenti richieste istruttorie risultavano, in conseguenza, del tutto inidonee all’assolvimento dell’onere probatorio in merito al luogo, tempo, settore e mansioni che avevano comportato la necessità di addivenire all’assunzione a termine della lavoratrice;

2.4. che l’unico capitolo di prova articolato da Poste, sulla quale ricadeva il relativo onere risultava inammissibile in quanto generico e di contenuto valutativo;

2.5. che alla rilevata illegittimità dell’apposizione del termine conseguiva la conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato;

2.6. che non vi era spazio per la determinazione del risarcimento del danno sulla base della L. n. 183 del 2010, art. 32, da ritenersi applicabile sulla base di un’interpretazione sistematica, ai soli giudizi pendenti in primo grado;

2.7. che in accoglimento del gravame della lavoratrice la decorrenza del diritto al risarcimento del danno commisurato alle retribuzione, doveva essere anticipata al 4 agosto 2004, data di costituzione in mora della società;

2.8. che tale risarcimento andava contenuto, in applicazione del disposto dell’art. 1227 c.c., comma 2, tenuto conto dei principi di correttezza e buona fede che regolano i rapporti obbligatori tra le parti e dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, nei limiti delle retribuzioni maturate nel triennio decorrente dalla cessazione del rapporto, considerato uno spazio temporale sufficiente al fine del reperimento di altra occupazione lavorativa;

2.9. che era infondata la eccezione di aliunde perceptum formulata da Poste non sorretta da puntuale allegazione, essendosi Poste limitata a prospettare come eventuale l’espletamento di attività retribuita alle dipendenze di terzi;

3. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. sulla base di cinque motivi;

4. che la parte intimata ha resistito con controricorso tardivo, illustrato con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1. che, preliminarmente deve essere affermata l’ammissibilità della memoria depositata dalla parte intimata che ha tardivamente notificato il controricorso, per le ragioni esplicitate da Cass. 27/2/2017 n. 4906 alle quali si rinvia;

2. che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 368 del 2001, art. 1, comma 1 e 2, art. 4, comma 2 D.Lgs. cit., dell’art. 12 preleggi, artt. 1362 c.c. e segg., artt. 1325 c.c. e segg., censurando la decisione per avere ritenuto generica la indicazione delle ragioni poste a fondamento dell’assunzione e sostenuto che tali ragioni, come chiarito dal giudice di legittimità, potevano anche risultare indirettamente dal contratto di lavoro e da esso per relationem in altri testi scritti accessibili alle parti;

3. che con il secondo motivo ha dedotto contraddittoria motivazione in ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio censurando la decisione per avere erroneamente valutato e quindi insufficientemente motivato in merito alla ammissibilità e rilevanza delle circostanze articolate da Poste;

4. che con il terzo motivo di ricorso ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, art. 4, comma 2 D.Lgs. cit., art. 2967 c.c., artt. 115,116,244,253 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, censurando la decisione per avere posto a carico di essa Poste l’onere di provare la sussistenza delle ragioni legittimanti l’apposizione del termine in contrasto con la previsione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, che configura tale onere solo per l’ipotesi di proroga;

5. che con il quarto motivo ha dedotto violazione ed erronea applicazione digli artt. 1206,1207,1217,1218,1219,1223,2094 e 2967 c.c., censurando, in sintesi, la decisione per avere, in violazione della disciplina dettata in tema di messa in mora e del principio di corrispettività delle prestazioni, attribuito il diritto alle retribuzioni perdute a partire dalla data della messa in mora anzichè dal momento dell’effettiva ripresa del servizio;

6. che con il quinto motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, nonchè contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, censurando, in sintesi, la mancata applicazione dello ius superveniens rappresentato dall’art. 32 cit.;

7. che il primo motivo di ricorso è da respingere in quanto il giudice di appello ha ampiamente argomentato sulle ragioni per le quali le indicazioni contenute nel contratto individuale in merito alle esigenze giustificative dell’assunzione a termine dovevano ritenersi generiche; ha espressamente esaminato gli Accordi collettivi ivi evocati e, con accertamento di fatto logicamente e congruamente motivato, sulla base di argomentazioni non investite da specifica censura, ha ritenuto tali accordi inidonei a conferire specificità alla causale indicata in contratto;

8. che il rigetto del primo motivo di ricorso, con il quale era censurata l’autonoma ratio decidendi rappresentata dalla illegittimità della clausola di apposizione del termine, comporta il referto anche delle censure sviluppate con il secondo ed il terzo motivo, censure che investivano la affermazione, configurante ulteriore ragione destinata a sorreggere la decisione di appello, relativa al mancato assolvimento da parte di Poste dell’onere sulla stessa gravante di dimostrazione della effettività delle ragioni, indicate in contratto, a giustificazione dell’apposizione del termine;

9. che il sesto motivo di ricorso, con il quale si denunzia la mancata applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 7, in relazione alle conseguenze risarcitorie scaturite dalla illegittima apposizione è fondato, conseguendone il rigetto del quinto motivo;

9.1. che, infatti, in continuità con precedenti arresti di questa Corte deve essere affermata la applicabilità dello ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della norma, ivi preso quelli di legittimità (Cass. 09/08/2013 n. 19098, Cass. 29/02/2012 n. 3056″ Cass. 05/06/2012 n. 90239);

10. che a tanto consegue la cassazione della decisione nella parte in cui ha escluso l’applicabilità del ridetto ius superveniens e il rinvio della cusa ad altro giudice di secondo grado, che si indica nella Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, al quale è demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il motivo relativo all’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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