Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25372 del 12/11/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 25372 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI VIRGILIO ROSA MARIA

SENTENZA

sul ricorso 21899-2007 proposto da:
CONSORZIO CR8
(C.F./P.I.

CONSORZIO RICOSTRUZIONE OTTO

03494490638),

in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 12/11/2013

domiciliato in ROMA, LARGO ANTONIO SARTI 4, presso
l’avvocato CAPPONI BRUNO, che lo rappresenta e
2013
1332

difende unitamente all’avvocato DI FALCO DOMENICO,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

4

contro

1

COMUNE

DI

NAPOLI,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 55, presso
l’avvocato BIANCHI LORENZO, rappresentato e difeso
dagli avvocati PIAZZA GABRIELLO, BARONE EDOARDO,

TARALLO GIUSEPPE, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1724/2007 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 18/09/2013 dal Consigliere
Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato BRUNO CAPPONI
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato PAOLO
PIAZZA, con delega, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha
concluso per il rigetto del ricorso, previa
correzione, ai sensi dell’art. 384, 3 ° e 4 ° comma,
c.p.c. della motivazione della sentenza impugnata
nella parte in cui ha conferito rilievo di
giudicato al c.d. LODO GRASSO; condanna il

./\

2

Consorzio alle spese distraendole in favore dell’avv.
Gabriello Piazza.
Svolgimento del processo
Con sentenza 13/4-28/5/2007, la Corte d’appello di
Napoli ha dichiarato la nullità del lodo reso a

maggioranza, emesso e sottoscritto il 22/10/2004, tra il
Consorzio Ricostruzione Otto in liquidazione ed il
Comune di Napoli, da questi impugnato, ha condannato il
Consorzio al pagamento delle spese del procedimento
arbitrale e del giudizio di impugnazione, negli importi
liquidati, e posto a carico definitivo del Consorzio le
spese della C.T.U., disponendo ai sensi dell’art.89
c.p.c., la cancellazione delle frasi specificamente

indicate.

Il Consorzio Ricostruzione Otto in liquidazione,
concessionario ex titolo VIII della 1. 219/1981 del
Commissario Straordinario del Governo per le opere
relative al comparto di S.Arpino in forza della
convenzione n.3 del 31/7/81 e successivi atti
aggiuntivi, aveva introdotto con atto di accesso
dell’8/2/2003 giudizio arbitrale nei confronti del
Comune di Napoli, per la quantificazione ed il pagamento
degli interessi dovuti, in forza del precedente lodo
n.9/99,

emesso il 29/1/99, divenuto esecutivo ed

azionato in via coattiva, che, aveva, tra l’altro,

condannato l’ente al pagamento degli accessori del
3

credito secondo le decorrenze, che il G.E. aveva
.:

ritenuto inidonee a consentirne la liquidazione.
Il Consorzio, nel termine fissato dagli Arbitri per la
prima memoria, aveva formulato nuove domande, chiedendo
il pagamento del Comune ad oltre 65 milioni di oneri
asseritamente

sostenuti

a

ragione

aggiuntivi,

dell’abnorme protrazione dei tempi dei lavori, delle
disposizioni normative intervenute, dei ritardi e
revoche nell’erogazione dei finanziamenti, dei ritardi
nell’approvazione dei progetti o dei collaudi e degli
atti di vandalismo.
Il Comune aveva eccepito la preclusione da giudicato per
le statuizioni del lodo n.9/99, il difetto di potestas
judicandi degli Arbitri, l’inammissibilità delle nuove

domande e l’infondatezza nel merito delle pretese del
Consorzio.
Gli Arbitri, con il lodo emesso a maggioranza e
sottoscritto il 22/10/04, ritennero la propria
competenza a giudicare, in quanto la controversia non
concerneva l’esecuzione di opere pubbliche comprese in
programmi di ricostruzione di territori colpiti da
calamità naturali; la domanda era stata proposta nel
vigore del comma 4 bis dell’art.32 della 1. 109/94,
introdotto dalla 1.166/2002, che aveva abrogato il

.

divieto di devoluzione ad arbitri delle predette
controversie; l’art.1, comma 2 quater della 1.62/03, che
4

aveva

reintrodotto

il

divieto,

pur

contenendo

l’espressione “continua ad applicarsi” riferita al
disposto di cui all’art.3 del d.l. 180/98 e succ.mod.
non aveva natura interpretativa.
Respinsero l’eccezione di giudicato in relazione ai

quesiti formulati nell’atto introduttivo, rilevando che
la statuizione di condanna degli interessi contenuta nel
lodo 9/99 era generica, e quantificarono gli interessi
in euro 236.866,51 sino al 31/5/04 ed in euro 19,48 pro
die dal 1/6/04, condannando il Comune al pagamento; non
ritennero tardive le domande avanzate nella memoria
28/11/03 e le accolsero parzialmente, condannando il
Comune al pagamento di euro 24.612.761,92, a titolo di
ristoro dei maggiori oneri concessori, euro
13.990.177,82 a titolo di rivalutazione monetaria, ed
euro 22.913.200,14 a titolo di interessi legali sino al
31/5/04, oltre gli interessi successivi, sino al
soddisfo.
La

Corte

del

dell’impugnazione
dell’impugnazione

merito,

dato

principale
incidentale

motivi

atto

dei

del

Comune

e

Consorzio,

ha

del

articolato la decisione secondo i seguenti passaggi:
la portata precettiva delle norme di cui agli artt. l,
comma 2

quater della 1. 62/03 e 3, comma 2 del d.l.

180/98,convertito nella l.

267/98,

aventi valenza
5

sostanziale, hanno determinato la sopravvenuta nullità
delle clausole compromissorie stipulate in precedenza;
va confermato nel caso di applicazione della disciplina
dell’arbitrato anteriore alla riforma di cui al
d.lgs.40/2006,

il principio secondo il quale le

questioni concernenti la deferibilità ad arbitri di una
controversia attengono al merito e non al rito;
va ritenuta l’efficacia di giudicato quoad effectum

al

lodo non impugnato, sottoscritto il 15/10/2004, che,
decidendo di una controversia tra il Consorzio ed il
Comune nascente dall’applicazione della convenzione del
31/7/81, n.3 e successivi atti aggiuntivi, con atto di
accesso notificato, analogamente a quello di cui si
discute, nella vigenza dell’art.32 1.109/94, come
modificato dalla 1.166/02,ha concluso nel ritenere
vigente alla data della notifica dell’atto di accesso la
sola disciplina di cui alla clausola compromissoria ex
art.28 della convenzione tra le parti;
ne consegue la preclusione della questione relativa alla
potestas judicandi degli Arbitri, decisa in ogni caso in

senso conforme nel lodo impugnato, in relazione alle
domande introdotte anteriormente al 10/4/03;
il giudicato non copre peraltro la questione della
potestas judicandi

del Collegio arbitrale sulle

ulteriori domande avanzate in data successiva al
10/4/03, nella vigenza del divieto di arbitrato di cui
6

alla 1. 62/03, che pacificamente, riguarda anche le
controversie nascenti dal titolo VIII della 1.219/81;
gli Arbitri non potevano ritenersi correttamente
investiti della controversia nascente dalle nuove
domande, in forza dell’art.5 c.p.c., non trattandosi nel

caso di una questione di competenza e/o giurisdizione,
ma della valutazione della clausola compromissoria, da
effettuarsi avuto riguardo al momento della decisione.
Pur essendo tale argomento idoneo a far dichiarare la
nullità del lodo, la Corte del merito ha ritenuto di
approfondire anche il profilo di cui all’art.5 c.p.c.,
ed a riguardo ha rilevato che gli Arbitri non avevano
minimamente affrontato la questione della propria
competenza a decidere anche sulle nuove domande, nè
interpretato la clausola compromissoria alla luce dei
canoni ermeneutici ex art.1362 e ss c.c., né vi era
stata accettazione del contraddittorio da parte del
Comune, peraltro insufficiente a conferire validità ad
un atto nullo; che, sul piano processuale, il principio
della

perpetuati° jurisdictionis

riguarda le sole

domande e non il processo, di guisa che, una volta
riconosciuta l’applicabilità dell’art.5 c.p.c. anche al
procedimento arbitrale, deve escludersi che la corretta
investitura degli Arbitri sui quesiti introdotti con
l’atto di accesso valga a perpetuarne la

potestas

k
7

judicandi

su

qualsiasi altro quesito successivamente

proposto.
La Corte del merito ha pertanto concluso per la nullità
del lodo nella parte in cui aveva statuito sulle domande
formulate dal Consorzio con la memoria del 28/11/03.

Quanto ai quesiti formulati con l’atto d’accesso, la
Corte napoletana ha parimenti concluso per la nullità
delle statuizioni del lodo, rilevando che:
ai sensi dell’art.278 c.p.c., il giudice può limitarsi a
pronunciare condanna generica

sull’an

debeatur

senza

rimessione in istruttoria, in presenza di espressa
domanda di parte che chieda la quantificazione in
separato giudizio;
nel caso in cui, in assenza della richiesta di parte, il
giudice limiti la sentenza al solo

an,

la pronuncia è

impugnabile per omessa pronuncia;
se davvero il lodo 9/99 si fosse limitato alla condanna
generica, avrebbe dovuto essere impugnato, ed in difetto
dell’impugnazione, l’esame delle identiche domande era
precluso agli Arbitri;
la condanna al pagamento degli interessi nel lodo

9/99

non era affatto generica, avendo gli Arbitri accertato
il saggio e la decorrenza degli stessi;
in carenza del requisito di liquidità degli interessi,
come ritenuto dal G.E., il Consorzio avrebbe potuto
avvalersi del lodo per richiedere l’emissione di un
8

decreto ingiuntivo o per promuovere un giudizio di
accertamento per la quantificazione, e non già
ricorrendo nuovamente agli Arbitri, carenti di potestas
iudicandi, riguardando la controversia l’interpretazione

del titolo, così esulando dall’ambito di applicazione

della clausola compromissoria.
La Corte d’appello, considerata la complessità delle
questioni trattate ed il rilevante valore della
controversia, ha posto a carico del Consorzio le spese
del procedimento arbitrale, liquidate in complessivi
euro 250.000,00 di cui euro 1000,00 per esborsi, oltre
accessori di legge, e le spese del giudizio di
impugnazione, liquidate in complessivi euro 242.662,12,
di cui euro 22,12 per spese, euro 5970,00 per diritti ed
euro 402.410,00 per onorario, con distrazione a favore
dell’avv.Piazza, antistatario.
La Corte ha infine disposto la cancellazione ex art.89
c.p.c. delle frasi offensive indicate.
Ricorre avverso detta pronuncia il Consorzio, sulla base
di tre motivi.
Si difende con controricorso il Comune.
Ambedue le parti hanno depositato memoria ex art.378
c.p.c.
Motivi della decisione
1.1.- Col primo motivo,

il ricorrente denuncia

violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss.,
9

2909 c.c., 806 e ss., in specie 816 c.p.c. nel testo
applicabile

ratione temporis,

nonché vizio di

insufficienza e contraddittorietà della motivazione, in
relazione alla statuizione di non copertura da giudicato
della questione della potestas judicandi degli arbitri,

in rapporto alle cd. domande nuove, proposte nella
memoria del Consorzio del 28/11/2003, allorquando il
d.l. 15/2003 aveva reintrodotto il divieto di
devoluzione ad arbitri, temporaneamente venuto meno per
effetto della legge del 2002.
Secondo il ricorrente, la vera questione
controversia pone è se la

potestas judicandi

che la
degli

Arbitri, coperta da giudicato, riguardi l’intero
giudizio o solo la materia controversa introdotta prima
dell’entrata in vigore del d.1.15 del 2003, che ha
reintrodotto il divieto di devoluzione in arbitrato
delle controversie derivanti dall’esecuzione di opere
pubbliche post terremoto.
In tesi, la limitazione ai soli quesiti iniziali è
contraria sia alle norme sostanziali di interpretazione
della convenzione arbitrale sia alle norme processuali
regolanti l’oggetto del giudizio arbitrale.
In relazione al primo aspetto, la difesa del Consorzio
deduce che interpretazione della clausola
compromissoria va condotta attraverso gli ordinari
canoni ermeneutici contrattuali, ex art.1362 c.c. e ss.,
10

considerando anche il comportamento osservato nel corso
del procedimento arbitrale, idoneo a configurare
un’accettazione del

thema decidendum più ampio rispetto

ai confini della clausola, proprio alla luce della
natura negoziale dell’arbitrato.

Sul piano processuale, una volta acquisita la competenza
a decidere, il Collegio arbitrale è legittimato a
decidere qualsiasi questione correttamente introdotta
nel giudizio, nel quale non sussistono preclusioni
temporali all’introduzione di domande ed eccezioni,
fatto salvo il solo principio del contraddittorio.
Infine, tenuto conto che il Collegio arbitrale era già
costituito, viene meno la

ratio

giustificatrice del

divieto di arbitrato(vantaggio di spesa nell’escludere
i costi dell’arbitrato ed esclusione di pronuncia in
tempi celeri).
Il motivo si chiude col seguente quesito di diritto:’
Dica la Corte che il giudicato inter partes in ordine
alla corretta costituzione del Collegio arbitrale copre
l’intera materia controversa devoluta alla cognizione
del Collegio, e non soltanto quella introdotta con la
domanda di arbitrato; dica la Corte che la normativa sul
divieto di arbitrato deve essere interpretata nel senso
che essa inibisce la costituzione di collegi arbitrali
ma non -come si deduce anche dalla disciplina
transitoria del decreto-legge n.180/98-la normale
11

cognizione quale si desume dall’art.819 c.p.c.(vecchio
testo) e dalla giurisprudenza in tema di determinazione
dell’oggetto del giudizio arbitrale.”
2.1.- Il primo motivo è fondato, nei limiti e per quanto
di seguito esposto.

Deve a riguardo, in prima battuta, rilevarsi la carenza
del momento di sintesi, omologo del quesito di diritto,
quanto alla censura avanzata ex art.360 n.5 c.p.c.
(peraltro di difficile configurabilità, attesa la natura
delle censure, di mero diritto), trovando applicazione
nel caso l’art.366 bis c.p.c., come introdotto con
decorrenza dal 2 marzo 2006, dal d.lgs. 40/2006,
abrogato dall’art.47 della 1.69/2009, con decorrenza dal
4 luglio 2009, considerato che nella specie la sentenza
impugnata è stata depositata il 28 marzo 2007.
Ciò posto, e avuto riguardo alla chiara formulazione del
quesito di diritto, che postula doglianze ex art. 360
n.3 c.p.c., occorre avere riguardo, in

primis,

alla

statuizione resa dalla Corte d’appello di Napoli, non
impugnata dal Comune di Napoli, e quindi passata in
giudicato, relativa alla preclusione da giudicato della
questione della potestas judicandi arbitrale, in forza
della statuizione affermativa resa dagli Arbitri nel
lodo sottoscritto il 15/10/04 e non impugnato, reso tra
le stesse parti in relazione alla medesima convenzione
del 31/7/81 n.3 con atto di accesso notificato nella

12

vigenza dell’art.32, comma 4 bis

1.109/94, come

introdotto dalla 1.166/2002.
In forza di tale giudicato esterno, la Corte napoletana
ha ritenuto sussistente la

potestas judicandi

degli

Arbitri nel lodo di cui si tratta sulle domande

introdotte anteriormente al 10 aprile 2003, data di
entrata in vigore della 1.62/03, ma che l’ambito
oggettivo del giudicato non copre la questione in
oggetto in relazione alle domande fatte valere
successivamente dal Consorzio con la memoria del
18/11/2003, nella vigenza del divieto di arbitrato ex
art.1, comma 2

quater

introdotto dalla legge di

conversione del d.l. 15/2003, n.62/03.
Ed è questo il punto dal quale occorre partire per
valutare le doglianze del Consorzio nel presente
giudizio.
Nel procedimento arbitrale, secondo la disciplina
applicabile ratione temporis, anteriore alla riforma del
d.lgs.40/2006, visto l’atto di accesso ad arbitrato
dell’8/2/2003, a meno che le parti non abbiano vincolato
nel compromesso o nella clausola compromissoria gli
Arbitri al rispetto delle regole processuali da
adottare,

gli Arbitri sono liberi di regolare

l’articolazione del procedimento nel modo che ritengono
più opportuno, e quindi anche di discostarsi dalle
13

prescrizioni dettate dal codice di rito, con l’unico
limite del rispetto del principio inderogabile del
contraddittorio, posto dall’art. 101 c.p.c., il quale,
adattato al procedimento dinanzi agli Arbitri, deve
essere opportunamente riferito al momento della chiusura

della trattazione, in modo da consentire alle parti non
solo un’adeguata attività difensiva per tutto il corso
del procedimento, pur dopo la chiusura dell’istruttoria,
ma anche la possibilità di esercitare su un piano di
eguaglianza le facoltà processuali loro attribuite, e
quindi da assicurare – senza che ne risulti leso l’altro
principio della libertà delle forme, posto dall’art.
816, secondo e terzo comma – l’osservanza della regola
“audiatur et altera pars”,

secondo il precetto

inderogabile di cui al quarto comma della medesima
disposizione ( così la pronuncia 23670/2006 e conformi
le successive 5274/07, 19949/07, 17099/2013, tra le
tante).
E specificamente, in relazione all’introduzione di nuovi
quesiti nel corso del procedimento arbitrale, la
pronuncia 18918/2004 si è espressa nel senso che, nel
caso in cui gli Arbitri abbiano la facoltà di fissare le
regole del procedimento nel modo ritenuto più opportuno,
gli stessi debbono in ogni caso assegnare alle parti i
termini per presentare documenti e memorie ed esporre le


14

loro repliche onde assicurare il corretto svolgimento
del procedimento con il pieno rispetto del principio
della regolarità del contraddittorio, da ciò conseguendo
la tardività e l’inammissibilità di quesiti formulati
per la prima volta con la comparsa conclusionale, che è

destinata solo a illustrare le ragioni delle pretese e
delle richieste delle parti, senza possibilità alcuna di
ampliare l’oggetto della controversia, poiché ciò
comporterebbe violazione del diritto di difesa della
controparte.
Ciò posto, si deve porre mente alla norma di cui
all’art.3,2 ° comma del d.1.180/98,come convertito con
modificazioni nella 1. 267/98, che, nella parte che qui
rileva, dispone: “Le controversie relative
all’esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi
di ricostruzione di territori colpiti da calamità
naturali non possono essere devolute a collegi
arbitrali. Sono fatti salvi i lodi già emessi e le
controversie per le quali sia stata già notificata la
domanda di arbitrato alla data di entrata in vigore del
presente decreto.”

Anche

c”—Err-) 4

bis dell’art.32 1.109/94, introdotto dalla

1. 166/2002(a prescindere dalla concreta applicabilità
nel caso, di cui si dirà in appresso) fa riferimento
15

alle controversie nel disporre che “Sono abrogate tutte
le disposizioni che in contrasto con i precedenti commi,
prevedono limitazioni ai mezzi di risoluzione delle
controversie nella materia dei lavori pubblici come

definiti dall’articolo 2″.

E l’art.1, comma 2 quater della 1. 62/03 recita:”Alle
controversie derivanti dall’esecuzione di opere
pubbliche inerenti programmi di ricostruzione dei
territori colpiti da calamità naturali, ivi compresi gli
interventi derivanti dall’applicazione della legge 14
maggio 1981, n.219 ,e successive modificazioni, continua
ad applicarsi il disposto di cui all’articolo 3, comma
2, del decreto-legge 11 giugno 1998, n.180 7 convertito,
con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267.”

Nelle disposizioni in oggetto, v’è dunque il riferimento
alle “controversie”, che ben si accorda con la struttura
unitaria del procedimento arbitrale, caratterizzato come
si è visto dalla libertà delle forme, e che non conosce
il principio di preclusione, con l’unico limite del
rispetto del principio del contraddittorio.
E di particolare valenza è l’inciso introdotto dalla
1.267/98, di conversione del d.l. 180/98, che ha
disposto la salvezza dal divieto di arbitrato anche per
le “controversie per le quali sia stata già notificata

t,
16

la domanda di arbitrato”, in tal modo conformandosi alla
natura unitaria del procedimento, sì da porre fuori dal
divieto di arbitrato quei procedimenti già incardinati,
senza alcun riferimento alle domande, introdotte o

introducibili nel corso del procedimento.

Il divieto di arbitrato, nelle norme sopra riferite, in
accordo con la natura propria del giudizio arbitrale,
viene pertanto a colpire il procedimento in sé, e non le
singole domande, non potendosi nel giudizio arbitrale
scindere la potestas judicandi a seconda delle domande,
e quindi, all’interno dello stesso giudizio, configurare
domanda decidibile e non decidibile; né in tal modo si
confonde tra domanda nuova e domanda non più
compromettibile ad Arbitri, come osserva criticamente la
difesa del Comune, atteso che occorre porsi nell’ottica
della controversia arbitrale, nella quale non può
considerarsi atomisticamente il divieto di arbitrabilità
correlato alla singola domanda.

Ciò posto, nel caso di cui si tratta, deve concludersi
nel senso che il giudicato come ritenuto, con
statuizione non censurata, dalla Corte del merito deve
ritenersi tale da far salvo l’intero procedimento
arbitrale, quale controversia unitariamente
considerata, compresi i quesiti posti con la memoria del
17

28/11/2003, sui quali si è formato il contraddittorio(si
dà atto in sentenza della disposizione di C.T.U., del
deposito di successivo memorie e repliche, e della
discussione orale) e che non necessitavano di alcuna
accettazione del contraddittorio, come sostenuto dalla

difesa del Comune.
La specificità del giudizio di cui si tratta,
determinata dalla preclusione da giudicato esterno
statuita dalla Corte napoletana, dà conto dell’esito a
cui si perviene, diverso da quanto ritenuto da questa
Corte nelle pronunce 13464/2010 e 9394/2011, che hanno
concluso nel senso di ritenere che, come precisato dal
d.l. 7 febbraio 2003, n. 15, art. l, comma 2 quater
(convertito con modificazioni nella L. 8 aprile 2003, n.
62), alle controversie derivanti dall’esecuzione di
opere pubbliche nell’ambito di programmi di
ricostruzione

nei

territori

colpiti

da

calamità

naturali, compresi quelli di cui al titolo VIII della l.
n. 219 del 1981, continua ad applicarsi il divieto di
deferimento ad arbitri previsto dal d.l. 11 giugno 1998,
n. 180, art. 3, comma 2 (convertito con modificazioni
dalla 1. 3 agosto 1998, n. 267), dovendosi ritenere che
tale disposizione, avente carattere speciale, non sia
stata abrogata dalla L. 11 febbraio 1994, n. 109, art.
32, comma 4 bis (introdotto dalla 1. l agosto 2002, n.


18

166, art. 7, comma 7, lett. v), e che il citato art. l,
comma 2 quater, contenga una norma interpretativa,
avente efficacia retroattiva.

Si deve pertanto concludere per l’accoglimento del primo

i\

motivo, alla stregua del seguente principio di diritto: 41
Ove sia stata ritenuta dalla Corte d’appello in sede di
impugnazione di lodo, con statuizione non impugnata, la
potestas judícandi

degli Arbitri, in forza della

statuizione affermativa resa in un precedente lodo tra
le stesse parti e relativo al medesimo rapporto, deve
ritenersi la questione preclusa in relazione all’intera
materia devoluta alla cognizione degli Arbitri, e non
già alle sole domande introdotte con l’atto di
arbitrato, anche in relazione alla normativa sul divieto
di arbitrato di cui alla disciplina del d.1.180/9g
convertito con modificazioni nella 1. 267/98″.

1.2.- Con il secondo motivo, il Consorzio denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt.1362, 2909
ss. c.c.,
all’art.360

806 e ss. specie art.816, in relazione
nn.3

e

5

c.p.c.;

insufficienza

e

contraddittorietà della motivazione.
Il ricorrente osserva che la sentenza postula che nel
lodo 9/99 fosse individuata la misura del saggio degli
accessori del credito; la genericità del titolo è dovuta
19

al mancato espresso richiamo a quegli elementi da cui
dipendeva la concreta determinazione del

quantum(ovvero

le date di contabilizzazione dei lavori e le
decurtazioni delle penali); il titolo non andava
interpretato, come del tutto contraddittoriamente

affermato dalla Corte napoletana, ma integrato con
autonome statuizioni quanto al requisito della liquidità
ed il relativo giudizio, inteso alla concreta
quantificazione del credito, non poteva che essere
affidato ad Arbitri.
Il motivo si chiude col seguente quesito:” Dica l’Ecc.ma
Corte Suprema che rientra nell’ambito della medesima
clausola compromissoria in forza della quale è stata
emessa condanna al pagamento di somme a titolo di
interessi con determinazione dei relativi tassi, ma
senza esplicitazione delle relative date di decorrenza,
anche un successivo giudizio finalizzato alla concreta
quantificazione del relativo credito.”
2.1.- Il motivo è fondato.
Nella parte motivazionale decisiva ai fini della
dichiarazione di nullità del lodo quanto ai quesiti
fatti valere nell’atto d’accesso per carenza di potestas
judicandi degli Arbitri,la Corte del merito ha ritenuto

che, stante la carenza di liquidità del titolo, il
Consorzio avrebbe potuto avvalersi dello stesso per
ottenere un decreto ingiuntivo o avrebbe potuto
20

promuovere un normale giudizio di accertamento, sempre
comunque adendo il Giudice ordinario e non gli Arbitri,
trattandosi di interpretare “un titolo equiparabile
quoad effectum al giudicato giurisdizionale”, che quindi

“esulava dall’ambito di applicazione della clausola

compromissoria e non poteva essere rimessa alla
decisione arbitrale.”
Di contro a detta argomentazione, si deve rilevare che
agli Arbitri non è stata richiesta alcuna attività di
interpretazione

del

precedente

lodo

9/99,

ma

l’integrazione dello stesso, proprio al fine di
pervenire ad un titolo portante una condanna non
generica, come già statuito nel precedente lodo, ma
specifica, con credito liquido, azionabile in
executivis.

La causa petendi

di detta richiesta è da individuarsi

nello stesso rapporto da cui aveva tratto origine il
precedente titolo, con la concretizzazione a mezzo
degli elementi necessari per ottenere un titolo
azionabile in sede esecutiva.
Il titolo pertanto traeva origine dal rapporto
contrattuale ed

agli Arbitri non era

richiesta

un’attività meramente interpretativa del precedente
lodo, ma integrativa dello stesso, alla stregua degli
elementi propri del rapporto.
21

Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di
diritto:
” Spetta alla cognizione degli Arbitri il giudizio
finalizzato ad ottenere la concreta quantificazione del
credito, già riconosciuto in forma generica da un

precedente lodo, con indicazione dei tassi di interesse,
ma senza indicazione delle date di decorrenza.”
1.3.- Con il terzo mezzo, il Consorzio denuncia il vizio
di violazione e falsa applicazione degli artt. 88, 89 e
90 c.p.c., del d.m. 127/2004, ex art. 360 nn.3 e 4,
nonché

vizio

di

insufficienza

e

carenza

della

motivazione, ex art.360 n.5 c.p.c.
Parte ricorrente si duole della condanna abnorme nel
quantum, sia per le spese del giudizio arbitrale, che
per quello rescindente, considerato che il Consorzio è
indubitabilmente creditore del Comune di Napoli; la
pronuncia non avrebbe potuto considerare il valore della
controversia con riguardo a quello delle domande di
merito avanzate dalle parti, e la Corte d’appello
avrebbe dovuto almeno indicare per sommi capi, i criteri
k

della propria decisione.
motivo

di

è

ricorso

assorbito

dall’accoglimento del primo e del secondo motivo.
3.1.- Conclusivamente, vanno accolti i motivi primo e
secondo

del

ricorso,

assorbito

il

terzo;

va

conseguentemente cassata la pronuncia impugnata e la
22

causa va rimessa alla Corte d’appello di Napoli, in
diversa composizione, che deciderà la controversia
uniformandosi ai principi di diritto sopra esposti, e
che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

La Corte accoglie per quanto di ragione il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese
alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, in data 18 settembre 2013
Il Pre lce í

P.Q.M.

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