Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25371 del 12/11/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 25371 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: ACIERNO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 1002-2006 proposto da:
GRANDI VALERIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA DI MONTEGIORDANO 36, presso l’avvocato SCORZA
GUIDO, rappresentata e difesa dall’avvocato BRUNO

Data pubblicazione: 12/11/2013

DESI, giusta procura in calce al ricorso;
GerJ VL 52bSo H-ViS1 – ricorrente contro

CAMERA DI COMMERCIO, INDUSTRIA, ARTIGIANATO E
AGRICOLTURA DI BOLOGNA

(C.F.

80013970373),

in

persona del legale rappresentante pro tempore,

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elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAURENTINA
640, presso l’avvocato VALENZA NUNZIO ROBERTO, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
BERTI ARNOALDI VELI GIULIANO, giusta procura in
calce al ricorso notificato;
controricorrente-

avverso la sentenza n. 128/2004 del TRIBUNALE DI
BOLOGNA – SEDE DISTACCATA DI IMOLA, depositata il
11/10/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/07/2013 dal Consigliere Dott. MARIA
ACIERNO;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato NUNZIO
, VALENZA che ha chiesto l’inammissibilità o il

rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola,
confermando la pronuncia del giudice di pace, respingeva
l’appello proposto da Valeria Grandi nei confronti della

Camera di Commercio di Bologna relativo ad un’opposizione
avverso un protesto di un assegno bancario levato a nome
della opponente ma tratto dal conto di un Condominio del
quale la medesima era stata amministratrice. Tale assegno
era stato emesso dall’opponente senza la spendita della
qualità di legale rappresentante del condominio e poiché
il conto era privo di provvista era stato elevato il
protesto a nome dell’amministratrice in proprio.
L’opponente aveva provveduto tempestivamente al pagamento
ma, ritenuta l’illegittimità del protesto, ne aveva
richiesto la cancellazione.
Il Tribunale per quel che ancora interessa ha affermato :
a) La Grandi ha diritto ad esercitare la propria azione
ancorché

abbia

ottenuto

la

riabilitazione

e

la

cancellazione dal registro informatico dei protesti ex
art. 17 comma sesto della 1. 108 del 1996.
b) L’amministratore del condominio è qualificabile come
mandatario con rappresentanza. Ciò determina che gli
effetti della sua attività si producano direttamente

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nella sfera giuridico patrimoniale del mandante ma è
necessario che ne spenda il nome. La mancanza della
spendita del nome determina invece il consolidamento
degli effetti in capo al mandatario.
c) L’emissione dell’assegno è conseguentemente riconducibile

quella

direttamente alla sfera dell’emittente mandatario e non a
dei condomini mandanti, essendo peraltro il

predetto mandatario tenuto a verificare l’esistenza e la
capienza della provvista. Tale mancato controllo è
qualificabile come negligenza inescusabile che giustifica
la levata del protesto a suo nome. Pertanto l’imputazione
del protesto ha anche una spiegazione sostanziale.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione
affidato a due motivi la Grandi. Ha resistito con
controricorso la Camera di Commercio.
Nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 4, primo e secondo comma della 1.
n. 77 del 1955 e dell’art. 1388 cod. civ. per non avere
la sentenza impugnata riconosciuto che la ricorrente
agiva esclusivamente nella qualità di legale
rappresentante del Condominio Codipsa, ossia di un ente
dotato di propria autonomia patrimoniale e
conseguentemente

legittimamente

protestabile.

In

particolare non è stato adeguatamente considerato che il
conto corrente dal quale l’assegno veniva tratto non era

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intestato alla ricorrente protestata ma al Condominio, in
spregio alla normativa che richiede la corretta
identificazione del debitore. Erroneamente la sentenza
impugnata ha applicato la disciplina codicistica della
rappresentanza senza considerare che nella specie la

lesione denunciata riguarda i diritti della persona ed in
particolare il diritto alla protezione dei dati
personali. Le informazioni contenute nel registro dei
protesti possono esporre l’interessato a gravi pregiudizi
ed ad una notevole invasione della sfera privata. Ne
consegue che le informazioni ivi contenute dovrebbero
essere limitate a quelle strettamente necessarie al
perseguimento degli scopi del registro e strettamente
rispettose dei criteri di legge, avendo ad oggetto il
trattamento dei dati personali. In conclusione, secondo
la parte ricorrente, vertendosi in materia di diritti
della personalità non potrebbe farsi applicazione del
principio formalistico della contemplatio domini
contenuto nell’art. 1388 cod. civ.
Nel secondo motivo viene dedotto il vizio di omessa
motivazione della sentenza impugnata in ordine alla
domanda subordinata proposta dalla ricorrente in secondo
grado, ovvero quella relativa alla richiesta
d’integrazione dei dati ai sensi dell’art.7, comma terzo
lettera a) del Codice privacy (d.lgs n. 196 del 2003),

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non risultando dal registro dei protesti l’avvenuto
pagamento nel termine di due mesi dalla levata. Tale
risultato non poteva essere raggiunto con la procedura
prevista dall’art. 4, comma primo della 1. n. 77 del
1955, in quanto relativa al pagamento avvenuto nei dodici

mesi dalla levata del protesto.
Il primo motivo è manifestamente infondato. Secondo
l’orientamento costante della giurisprudenza di questa
Corte, i requisiti per la valida assunzione di una
obbligazione cartolare in nome altrui sono ai sensi
dell’art. 14 del r.d. n. 1736 del 1933 non solo
l’esistenza di una procura o di un potere ex lege ma
anche l’apposizione della sottoscrizione sul titolo con
l’indicazione di tale qualità pur senza l’assunzione di
formule sacramentali e con le sole modalità idonee a
rendere evidenti ai terzi l’avvenuta assunzione
dell’obbligazione in nome altrui(Cass. 13906 del 2005; in
tema di obbligazione cambiaria Cass. 10388 del 2012). In
mancanza di tale specificazione le conseguenze giuridiche
conseguenti all’emissione del titolo sono esclusivamente
a carico di chi risulti averlo sottoscritto (Cass. 10417
del 2010, con riferimento all’illecito amministrativo
relativo all’emissione di assegno bancario o postale
privo di provvista o senza l’autorizzazione del
trattario). In conclusione il protesto deve essere

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elevato nei confronti di chi abbia emesso il titolo
secondo quello che risulta dalla firma di emittenza o di
traenza. Ove si ravvisino esplicitamente nel titolo
indici univocamente attestanti l’esistenza di un rapporto
di rappresentanza, il protesto deve essere elevato nei

confronti del rappresentato. Nell’ipotesi contraria la
responsabilità esclusiva dell’emissione del titolo e
della sua circolazione fuori delle condizioni previste
dalla legge è a carico di chi lo abbia sottoscritto.
Il secondo motivo di ricorso deve essere dichiarato
inammissibile alla luce della recente sentenza delle S.U.
n.17931 del 2013. Nella pronuncia che ha risolto un
contrasto tra sezioni semplici sull’interpretazione del
principio della specificità e vincolatività dei motivi di
ricorso per cassazione è stato affermato nel principio di
diritto in essa contenuto che

:”Il ricorso per

cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e
tassativamente previste dall’art. 360, primo coma, cod.
proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi
riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad
una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla
citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di
formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di
una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui 11
ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte
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dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o
eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia
esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie
di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc.
civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché

il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della
decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi,
invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché
sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente
o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”».
le Sezioni Unite della Corte, pur avendo accolto
l’interpretazione meno formalistica del principio della
specificità dei motivi hanno però affermato che il motivo
che abbia oggetto l’omessa pronuncia, al di là della
formula sacramentale usata debba avere ad oggetto “la
nullità della decisione” nel proprio sviluppo
argomentativo e non come nella specie, l’omessa
motivazione e la violazione della legge sostanziale,
sottesa al rigetto implicito. Nella specie, il motivo
denominato come vizio di omessa motivazione si sviluppa
integralmente come violazione delle norme sostanziali che
regolano, o dovrebbero regolare il diritto
all’integrazione dei dati personali nel registro dei
protesti, così incorrendo nella censura d’inammissibilità
così come descritta nell’ultima parte della massima

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citata che, peraltro, reca numerosi precedenti conformi
(Cass. 11801 del 2013; 7268 del 2012; 7871 del 2012).
Al rigetto del ricorso consegue l’applicazione del
principio della soccombenza in ordine alle spese di lite

P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese di lite del presente procedimento
in favore del contro ricorrente che liquida in E 1000 per
compensi; E 200 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio del 16 luglio
2013.

del presente procedimento.

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