Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25370 del 12/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 12/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 12/12/2016), n.25370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7322-2011 proposto da:

M.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ADIGE 39, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CARANCI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CARMELA CAVUOTO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F.

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 7719/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 04/12/2010 r.g.n. 4473/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza n. 7719/2010 la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da M.G. contro la sentenza del Tribunale di Benevento con cui era stata respinta la sua domanda alla corresponsione dell’assegno di invalidità non confermato dall’Istituto a seguito del decorso del triennio dal precedente riconoscimento e dell’istanza presentata dalla parte L. n. 222 del 1984, ex art. 1, comma 7. A fondamento della pronuncia la Corte sosteneva che il giudizio successivo alla revoca della prestazione non ha contenuto vincolato alla verifica della variazione o meno delle condizioni sanitarie precedenti e che nel giudizio di secondo grado era stato accertato con ctu che il quadro patologico sussistente a carico della appellante non riducesse in modo permanente la sua capacità di lavoro a meno di un terzo.

Avverso detta sentenza M.G. ha proposto ricorso per cassazione affidando le proprie censure a tre motivi. L’INPS è rimasto intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, art. 1, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per aver la Corte giudicato la fattispecie come se si trattasse del primo conferimento dell’assegno, mentre la ricorrente era titolare dell’assegno di invalidità a seguito di sentenza del tribunale di Benevento n. 4475/2003 passata in giudicato; talchè l’accertamento avrebbe dovuto verificare soltanto se permanessero le condizioni di legge attraverso il necessario raffronto tra la situazione di incapacità lavorativa attuale con quella preesistente. La revoca della prestazione poteva disporsi soltanto in presenza di un miglioramento delle condizioni psicofisiche del soggetto; miglioramento che non era stato accertato, mentre al contrario era stato accertato che permanessero le stesse condizioni di salute precedenti, le quali anzi si erano ulteriormente aggravate.

1.1 Il primo motivo di ricorso è fondato.

1.2 Esso pone la questione (giuridica) dell’ambito di valutazione in materia di revoca dell’assegno di invalidità, il cui conferimento sia avvenuto in conseguenza di sentenza passata in giudicato.

1.3 La Corte territoriale da una parte ha affermato che il giudizio successivo alla revoca della prestazione in discorso non avesse contenuto vincolato in relazione alla verifica della variazione o meno delle condizioni sanitarie precedenti. E dall’altra, come se si trattasse di un primo conferimento, ha affermato, sulla scorta di ctu, che il quadro patologico sussistente a carico dell’appellante non riducesse in modo permanente la sua capacità di lavoro a meno di un terzo.

1.4. Così facendo ha però violato la L. n. 222 del 1984, art. 1, che secondo il consolidato orientamento di questa Corte (fin dalle Sez. Unite 383/1999), impone di procedere, per il rispetto dovuto al giudicato, ad un necessario confronto delle condizioni di salute attuali rispetto a quelle precedenti, allo scopo di verificare se si sia verificato un miglioramento idoneo a giustificare la revoca del trattamento previdenziale; che deve essere, invece, confermato nell’ipotesi in cui le condizioni del beneficiario fossero rimaste immutate. Confronto che nel caso in esame è invece mancato, non avendo la Corte territoriale ritenuto necessario il suo espletamento.

1.5 Nella direzione sopraindicata questa Corte si è pronunciata con sentenza n. 23082 del 07/11/2011 (nonchè prima ancora con la sentenza n. 16058 del 13/06/2008): “In materia di invalidità pensionabile, la sentenza che accerta il diritto all’assegno ordinario di invalidità esplica efficacia di giudicato sull’esistenza di tutti i presupposti di legge (requisito contributivo e assicurativo e stato invalidante) e, ove permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti, la situazione già accertata non può essere rimessa in discussione; ne consegue che, ove venga in questione la legittimità della revoca dell’assegno disposta dall’INPS, in relazione alla previsione di cui alla L. 12 giugno 1984, n. 222, “in cui risultino mutate le condizioni che hanno dato luogo al trattamento in atto”, deve esclusivamente procedersi al raffronto tra la situazione esistente all’epoca del precedente accertamento giudiziale e quella ricorrente al momento della revoca per verificare se vi sia stato un effettivo miglioramento nello stato di salute dell’assicurato, o comunque un recupero della sua capacità di guadagno derivante da un proficuo e non usurante riadattamento lavorativo in attività confacenti alle sue personali attitudini”.

2. Il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, art. 1 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto sono stati usati come parametri di valutazione della residua capacità lavorativa le tabelle per la invalidità civili previste dal D.M. 5 febbraio 1992 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) che si riferiscono alla riduzione della capacità lavorativa generica; mentre l’assegno ordinario di invalidità ex L. n. 222 del 1984 richiede la riduzione della capacità di lavoro specifica in occupazione confacenti all’attitudini dell’assicurato.

2.1 Anche tale motivo è fondato in quanto per giurisprudenza pacifica l’accertamento della invalidità pensionabile di cui alla L. n. 222 del 1984 non può essere effettuata con le tabelle ministeriali in materia di invalidità di civile alla stregua della L. 30 marzo 1971, n. 118; avendo la prima ad oggetto la nozione di capacità lavorativa specifica che non coincide con quella di capacità lavorativa generica della seconda. Cfr. Sez. L sentenza n. 22737 del 04/10/2013: In materia di invalidità pensionabile, la L. n. 222 del 1984 ha adottato, come criterio di riferimento ai fini del conseguimento del diritto all’assegno ordinario di invalidità, non la riduzione della generica capacità lavorativa, secondo quanto previsto dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, per i mutilati ed invalidi civili, bensì la riduzione della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato; ne consegue l’inidoneità del parametro relativo all’invalidità civile per valutare l’invalidità pensionabile anche se come mera guida di massima, a meno che nell’ambito di questa diversa valutazione non si dia espressa ragione dell’adeguamento del parametro all’oggetto specifico della diversa invalidità da valutare.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in quando essendo l’oggetto della domanda la revoca dell’assegno ordinario di invalidità ex L. n. 222 del 1984, riconosciuto con sentenza passata in giudicato, mancava la necessaria comparazione tra la diagnosi che diede luogo al riconoscimento dell’assegno originario con quella relativa alle condizioni di salute attuale che si erano pure aggravate; mentre non era sufficiente riportarsi alle conclusioni del ctu in quanto il potere di revoca è legittimo solo in presenza di miglioramento rispetto alle situazione precedente.

3.1. Il terzo motivo rimane assorbito per l’accoglimento del primo.

4. In forza delle precedenti considerazioni, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata. Va quindi disposto il rinvio della causa ad altro giudice, designato in dispositivo, per l’ulteriore esame della controversia. Il giudice del rinvio provvederà altresì, ex art. 385 c.p.c., sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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