Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25367 del 12/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 12/12/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 12/12/2016), n.25367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10446-2014 proposto da:

GA 29 S.R.L. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI TOR VERGATA 12,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIDARO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARZIALE GIDARO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

O.L. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE DI VALLE AURELIA 93, presso lo studio dell’avvocato MARCO

STRACCIA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELO FRANCESCO

MAURIZIO CHIRUMBOLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1525/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 23/12/2013 r.g.n. 1074/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. BALESTRIERI FEDERICO;

udito l’Avvocato LEOPIZZI MARIA ANTONELLA per delega Avvocato

MARZIALE GIDARO;

udito l’Avvocato ORLANDO PIETRO ROMANO per delega Avvocato CHIRUMBOLO

ANGELO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 28.5.2010, O.L., infermiera professionale di sesto livello presso la struttura sanitaria G.A. 29 s.r.l., adiva il Tribunale di Lamezia Terme deducendo che: – con lettera raccomandata del 2.1.2010, la società G.A. 29 le aveva contestato un comportamento di grave insubordinazione verso i superiori per avere preteso un cambio di turno per la notte del 31 dicembre e, non essendovi riuscita, per avere simulato la malattia al fine di sottrarsi al turno predetto; aveva rappresentato al datore di lavoro, sia verbalmente, nel corso di un incontro, sia per iscritto, che la sera del (OMISSIS), a seguito di un attacco di lombosciatalgia si era dovuta recare presso il pronto soccorso del locale nosocomio dove le avevano prescritto terapia farmacologica e tre giorni di riposo; – con lettera raccomandata del 14.1.2010 le veniva intimato il licenziamento disciplinare per giusta causa e senza preavviso, che ella provvedeva ad impugnare tempestivamente; -tale licenziamento era illegittimo sotto diversi profili e segnatamente: 1) per mancanza della giusta causa, posto che la certificazione sanitaria, disattesa dal datore in maniera arbitraria, comprovava che la sera del (OMISSIS) aveva accusato quel malore che le aveva impedito di sostenere il turno di lavoro nella successiva notte del 31 dicembre; 2) per violazione del principio della proporzionalità della misura rispetto alla gravità dei fatti contestati.

Concludeva pertanto per la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, con tutte le conseguenze della tutela reale, occupando la società datrice più di quindici dipendenti.

La G.A. 29 s.r.l. resisteva al ricorso deducendo, tra l’altro, di non avere dato valore alla certificazione medica sia perchè la dipendente aveva precedentemente (e reiteratamente) manifestato, anche con minacce e toni offensivi nei confronti dei superiori e della collega dalla quale pretendeva di essere sostituita nella notte del 31 dicembre, la volontà di non rispettare il turno lavorativo fissato dal datore di lavoro; sia perchè la diagnosi che ivi si leggeva non era supportata da esami strumentali ma era basata su quanto dichiarato dalla lavoratrice; sia infine perchè, subito dopo essere uscita dal Pronto Soccorso, la ricorrente si era recata presso il supermercato a fare la spesa e, nel giorno immediatamente successivo, era stata vista alla guida della autovettura in una zona della città diversa da quella in cui era ubicato lo studio del suo medico curante.

Il Tribunale respingeva il ricorso con sentenza del 24.1.2012, ritenendo che la lavoratrice si era intenzionalmente sottratta al turno lavorativo predisposto con apposito ordine di servizio, simulando una malattia. Avverso tale sentenza la lavoratrice proponeva appello.

Radicatosi il contraddittorio, la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 23 dicembre 2013, annullava il licenziamento ordinando la reintegra della lavoratrice nel suo posto di lavoro, con condanna della società al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a quattro motivi.

Resiste la O. con controricorso.

Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della sentenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Ragioni di priorità logico giuridiche, consigliano di esaminare dapprima il secondo ed il terzo motivo di ricorso.

2. – Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 112 c.p.c., quanto all’omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di procura (in tesi rilasciata dalla O. in primo grado per la presente procedura anche per le fasi – ma non per i gradi – successivi).

Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per non avere la ricorrente depositato la procura in questione.

Deve al riguardo rimarcarsi che quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), Cass. sez. un. 22.5.2012 n. 8077.

3. – Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost. e art. 112 c.p.c., quanto all’omessa pronuncia sull’inammissibilità dell’appello per decorso del termine breve per impugnare, eccezione ritualmente proposta in sede di gravame. Lamenta che, essendo la sentenza impugnata stata pronunciata in udienza, con lettura del dispositivo e della ragioni di fatto e di diritto che ne erano a fondamento (art. 429 c.p.c., così come modificato dal D.L. n. 112 del 2008, art. 53, convertito in L. n. 133 del 2008), il termine breve per impugnare decorreva da tale momento.

Il motivo è infondato posto che: a) non risulta che la sentenza sia stata pronunciata con contestuale esposizioni delle ragioni di fatto e di diritto, prevedendo il novellato art. 429 c.p.c. che il giudice possa fissare il termine per il deposito della motivazione; b) in ogni caso l’art. 326 c.p.c., rimasto immutato dopo la novella del 2008, non modifica la decorrenza dei termini di impugnazione delle sentenze di primo grado.

4. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., artt. 112 e 132 c.p.c. per assoluto difetto di motivazione della sentenza impugnata. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2119, 2104 e 2086 c.c. e art. 29 C.C.N.L. ANASTE, oltre ad insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in ordine alla sussistenza degli addebiti e della giusta causa di recesso.

I motivi, che per la loro connessione possono esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., introduce nell’ordinamento un nuovo e specifico vizio che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881).

La “ratio legis” è chiaramente espressa dai lavori parlamentari, laddove si afferma che la riformulazione della norma in esame è finalizzata ad evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione non strettamente necessitati dai precetti costituzionali. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, quale giudice dello “ius constitutionis” e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello “ius litigatoris”.

In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”. (Cass. sez. un. 17 aprile 2014 n. 8053).

Ne consegue che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, o nella “motivazione apparente”.

Con la riforma del 2012 è dunque scomparso ogni controllo sulla sufficienza della motivazione del provvedimento impugnato, per lasciare il posto a quello relativo alla mera esistenza, “sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza” della stessa.

In altri termini, il vizio in parola, da vizio motivazionale, si è tramutato in vizio di “violazione di legge costituzionalmente rilevante”, censurabile in sede di legittimità, purchè esso “emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata”.

Nella specie la corte di merito ha ampiamente esaminato il fatto storico rilevante, inerente il mancato espletamento del turno del 31.12.09, sia sotto l’aspetto della contestata insubordinazione, sia delle offese rivolte alla collega che non aveva acconsentito al proposto (dalla O.) scambio di turni.

Ha parimenti escluso una simulazione della malattia certificata dal P.S. del locale nosocomio.

Per quanto possa ritenersi non esaustiva o presentare un iter logico non perfettamente lineare, trattasi di vizi non riconducibili a quello di violazione di legge costituzionalmente rilevante nel senso sopra esposto.

5. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore della O., dichiaratosi antecipante. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. A.F. Chirumbolo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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