Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25366 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. un., 11/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 11/11/2020), n.25366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11295-2019 proposto da:

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CATANIA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FEBO BATTAGLIA;

– ricorrente –

contro

I.P.A.B. OASI CRISTO RE, COMUNE DI ACIREALE, COMUNE DI ACI CATENA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 508/2018 del CONSIGLIO DI GIUSTIZIA

AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA – PALERMO, depositata il

25/09/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LUCIO CAPASSO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La IPAB “Oasi Cristo Re”, svolgente attività di assistenza, in regime di ricovero, a favore di soggetti bisognosi, portatori di handicap e talvolta indigenti, ad alcuni dei quali era stato riconosciuto un grado di non autosufficienza non inferiore al 74 per cento, chiese ai Comuni di Aci Catena e Acireale la corresponsione, a titolo di rimborso, delle provvidenze integrative (c.d. rette socio-assistenziali integrative) dovute dagli Enti stessi sulla base di una serie di norme della Regione Siciliana.

I Comuni suddetti risposero negando, a loro avviso, che vi fossero le condizioni per il pagamento di quanto richiesto, sul presupposto che le prestazioni offerte dalla IPAB a favore dei degenti erano da ritenere ordinarie prestazioni sanitarie e non già prestazioni differenziate.

Anche l’ASP di Catania ritenne che non sussistessero le condizioni di legge per il pagamento delle provvidenze richieste.

La IPAB, pertanto, impugnò davanti al TAR di Catania sia le note con le quali i Comuni suindicati avevano opposto un rifiuto alla sua domanda di rimborso delle spese per le prestazioni differenziate (cioè per la copertura delle rette socio-assistenziali integrative) sia la nota dell’ASP di Catania con la quale la stessa aveva confermato che le prestazioni rese dalla IPAB in favore dei propri assistiti non costituivano prestazioni differenziate comportanti maggiori oneri a carico dei Comuni.

Si costituirono in giudizio i Comuni di Aci Catena e Acireale e la ASP di Catania.

Il Comune di Acireale eccepì preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e la carenza di legittimazione attiva in capo alla IPAB ricorrente; il Comune di Aci Catena sostenne l’infondatezza del ricorso; l’ASP eccepì l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso, oltre al difetto di legittimazione attiva della ricorrente ed il proprio difetto di legittimazione passiva, essendo il rapporto sostanziale riferibile ai Comuni, e chiese comunque il rigetto del ricorso.

In corso di giudizio la parte ricorrente propose motivi aggiunti.

Il TAR, ritenuta sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, rigettò il ricorso.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello la IPAB e il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con sentenza del 25 settembre 2018, ha accolto il gravame e, in riforma della decisione di primo grado, ha annullato, per quanto di ragione, i provvedimenti impugnati; ha dichiarato sussistente l’obbligo, per l’Amministrazione sanitaria, di procedere all’accertamento dello stato e grado di non autosufficienza delle persone ricoverate per le quali era stato richiesto il rimborso delle maggiori spese, nonchè l’obbligo dei Comuni di procedere eventualmente alla corresponsione delle provvidenze richieste per le persone riconosciute dalla competente ASP non autosufficienti in grado non inferiore al 74 per cento; ed ha infine compensato le spese di lite.

Ha osservato il giudice amministrativo che erano da ritenere fondati i motivi primo, secondo e terzo dell’atto di appello.

Dopo aver richiamato il contenuto della L.R. Siciliana 6 maggio 1981, n. 87, art. 17,L.R. Siciliana 18 maggio 1996, n. 33, art. 59, comma 1 e dell’art. 16 dell’Allegato F dell’articolo unico del D.P.R.S. 4 giugno 1996, il CGARS ha osservato che le provvidenze economiche ivi regolate – in favore, specificamente, degli ospiti bisognosi di trattamento assistenziale differenziato per una condizione di non autosufficienza non inferiore al 74 per cento – hanno la funzione di coprire i maggiori costi incombenti sugli enti gestori di strutture residenziali adibite al ricovero di anziani che patiscono il tasso di non autosufficienza suindicato.

Era da ritenere errata, pertanto, l’affermazione difensiva delle Amministrazioni resistenti secondo cui le prestazioni erogate ai soggetti ricoverati erano “ordinarie prestazioni assistenziali e sanitarie, in nulla differenti da quelle normalmente erogate a pazienti non affetti da gravi disabilità”. Con l’aumentare del grado di non autosufficienza, ha rilevato il giudice d’appello, qualsiasi operazione di assistenza diventa più gravosa e maggiore deve essere il grado di abilità e professionalità del personale assistente; ciò in quanto “le attività di assistenza ordinariamente elementari assumono una diversa connotazione nel caso in cui il disabile sia affetto da un importante grado di non autosufficienza”. Per cui, in definitiva, anche le operazioni che in condizioni normali possono essere considerate meramente assistenziali diventano para-sanitarie nel momento in cui si rivolgono in favore di soggetti affetti da gravi patologie che necessitano di un grado di attenzione particolare; ed è proprio per questo che la legge ha parlato di “trattamento sanitario differenziato”.

Ciò rilevato, il CGARS ha specificato che le provvidenze economiche oggetto della domanda sono dovute alla IPAB appellante “a condizione che (o nella misura in cui) risulti provato – ovvero venga accertato – lo “stato di non autosufficienza”, in misura non inferiore al 74 per cento, dei ricoverati beneficiari della prestazione”.

Pertanto l’ASP competente aveva l’obbligo di accertare caso per caso la sussistenza dello stato e grado di disabilità del soggetto ricoverato e di comunicare al Comune competente l’esito di tale accertamento; rimanendo confermato che “l’obbligo a carico del Comune di corrispondere il rimborso consegue automaticamente all’accertamento sopra indicato”, “esclusa la legittimità di ogni valutazione in merito alla ritenuta erogabilità o meno dei rimborsi, costituente un effetto direttamente regolato dalla normativa”.

In accoglimento, infine, del terzo motivo di appello, il CGARS ha affermato che l’accertamento in ordine all’adeguatezza degli standard delle strutture sanitarie compete all’Autorità sanitaria e non ai Comuni. Richiamando le disposizioni di legge già citate, la sentenza ha riconosciuto che gli accertamenti sanitari, fra i quali anche quelli relativi al grado di invalidità e di non autosufficienza delle persone ricoverate, spettano all’Autorità sanitaria, e cioè la ASP competente.

3. Contro la sentenza del CGARS propone ricorso l’ASP di Catania con atto affidato ad un unico motivo ed affiancato da memoria.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il Procuratore generale presso questa Corte ha rassegnato conclusioni per iscritto chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico complesso motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), violazione del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, artt. 91 e 110, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Osserva la parte ricorrente che la sentenza impugnata, omettendo l’esame dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle parti resistenti in primo grado, avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo. La decisione non ha riesaminato la questione senza considerare che la sentenza di primo grado aveva ritenuto sussistente la giurisdizione attraverso un percorso logico strettamente connesso con la decisione di merito. La sentenza del TAR, infatti, nell’affermare la propria giurisdizione, aveva anche riconosciuto l’infondatezza del ricorso, perchè la normativa che disciplina la materia “attribuisce all’Autorità sanitaria competente il potere discrezionale di valutare la possibilità stessa dell’integrazione richiesta”. La giurisdizione, pertanto, sarebbe stata ritenuta sussistente proprio perchè la causa avrebbe ad oggetto l’esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione sanitaria.

Sostiene la ASL che le Amministrazioni convenute in giudizio in primo grado, benchè soccombenti in punto di giurisdizione, sono state vittoriose nel merito, per cui mancherebbe, in capo alla parte ricorrente, “una posizione di soccombenza sostanziale che l’avrebbe legittimata ad impugnare la sentenza di primo grado sul punto relativo alla giurisdizione”. Ne consegue, secondo la ASP, che l’eventuale impugnazione della sentenza del TAR in punto di giurisdizione sarebbe stata in contrasto col principio di correttezza e buona fede.

Il CGARS, capovolgendo integralmente i presupposti ed il merito della decisione del TAR, ha ritenuto che i Comuni siano obbligati a corrispondere le relative somme in presenza dell’accertato stato di non autosufficienza dei degenti in una percentuale superiore al 74 per cento. In questo modo, però, la questione di giurisdizione diverrebbe rilevante, secondo la ricostruzione della ricorrente, proprio in conseguenza della decisione di secondo grado; per cui, raccogliendo spunti in tal senso esistenti nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, la soccombenza nel merito conseguente alla diversità della posizione giuridica soggettiva riconosciuta determinerebbe l’interesse a proporre di nuovo la questione di giurisdizione. In altri termini, rileva la ricorrente, il CGARS avrebbe riformato la sentenza del TAR ricostruendo la causa come avente ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale, per la quale la giurisdizione dovrebbe necessariamente spettare al giudice ordinario. La lettura congiunta della L.R. Siciliana n. 87 del 1981, art. 17,L.R. Siciliana n. 33 del 1996, art. 59 e art. 16 dell’Allegato F dell’articolo unico del D.P.R.S. 4 giugno 1996, farebbe sì che gli enti di gestione delle strutture autorizzate “vantano una posizione di diritto soggettivo ad essere rimborsati dei maggiori costi che si presumono sussistenti per il solo fatto che i soggetti ricoverati siano gravati da un tasso di non autosufficienza non inferiore al 74 per cento”.

Osserva la ASP ricorrente che la giurisdizione del giudice amministrativo non potrebbe ritenersi correttamente affermata neppure in base al criterio della causa petendi. La controversia, infatti, verte sulla diversa interpretazione che le parti danno alla normativa di riferimento; cioè si tratterebbe di una “divergente interpretazione delle norme che disciplinano la fase esecutiva di un rapporto convenzionale” esistente tra l’Ente assistenziale, le ASP ed i Comuni interessati, come tale rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario. La controversia, quindi, non avrebbe ad oggetto il rapporto concessorio esistente a monte della convenzione, quanto, piuttosto, il mancato pagamento, da parte dei Comuni, di una somma asseritamente dovuta ai sensi della L.R. n. 33 del 1996. E poichè il petitum sostanziale della domanda giudiziale avrebbe un “contenuto prettamente patrimoniale”, sussisterebbe per tale ragione la giurisdizione del giudice ordinario.

2. Osserva il Collegio che la decisione del ricorso esige alcune precisazioni in ordine allo svolgimento della vicenda processuale.

Un dato di fatto non in discussione è che la parte ricorrente non ha mai eccepito il difetto di giurisdizione, nè in primo grado nè, tantomeno, in appello, come risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso. E’ stato soltanto il Comune di Acireale ad eccepire tale difetto, peraltro solo in primo grado, mentre in appello la medesima parte ha chiesto il rigetto del gravame eccependo sì il difetto di giurisdizione, ma senza proporre appello incidentale. Per cui, in definitiva, è logico che il CGARS non abbia più affrontato la questione, posto che nessuna delle parti aveva proposto appello sul punto.

3. Ciò premesso, il Collegio rileva che la parte ricorrente ha costruito la propria linea difensiva argomentando nel senso che l’interesse a porre la questione sarebbe sorto solo a seguito della decisione di appello; il che giustificherebbe la proposizione della questione in questa sede. Il ricorso ha indicato, a sostegno della tesi, due sentenze di questa Corte secondo le quali non sussiste il giudicato implicito sulla giurisdizione allorchè l’interesse a sollevare la relativa eccezione sia sorto sulla base del percorso decisionale adottato dal giudice d’appello (sentenze 12 marzo 2013, n. 6081, e 10 settembre 2013, n. 20698).

Queste sentenze, però, sono state evocate in maniera impropria, perchè le argomentazioni utilizzate in quelle sedi non si adattano al caso in esame. In entrambe quelle pronunce, infatti, la censura rivolta nei confronti delle pronunce dei giudici amministrativi (Corte dei conti in un caso e Consiglio di Stato nell’altro) aveva ad oggetto un presunto eccesso di potere, per cui questa Corte ha osservato che il giudicato implicito sulla giurisdizione in tali casi non si perfeziona perchè l’interesse a sollevare l’eccezione “sorge secundum eventum litis” (così la sentenza n. 6081 cit.). Tale giurisprudenza, relativa alla censura di eccesso di potere giurisdizionale, è ormai ampiamente consolidata ed è stata ribadita in una pluralità di occasioni, rilevando che l’interesse a coinvolgere le Sezioni Unite può sorgere, in presenza di simile censura, solo in relazione alla sentenza emessa in grado di appello, perchè quel vizio non dà luogo ad un capo autonomo sulla giurisdizione, ma si traduce in una questione di merito (v., fra le altre, le ordinanze 16 gennaio 2019, n. 1034, e 14 settembre 2020, n. 19084).

4. Il caso odierno, però, è diverso.

Non è in discussione, infatti, l’eccesso di potere ma la contestazione, da parte dell’odierna ricorrente, delle argomentazioni diverse utilizzate dal CGARS rispetto a quelle del TAR di Catania. Secondo la ASP di Catania, in sostanza, la motivazione con la quale il giudice di appello ha deciso il ricorso avrebbe determinato “un cambiamento di prospettiva e di lettura delle posizioni giuridiche coinvolte”, tale per cui sarebbe “necessaria e consequenziale la riforma della sentenza impugnata anche sul punto relativo alla giurisdizione”, perchè la ricostruzione operata dal CGARS avrebbe fatto sì che la causa abbia ormai ad oggetto un diritto soggettivo di natura patrimoniale.

Simile ricostruzione, benchè suggestiva, non può essere condivisa.

La giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha da tempo evidenziato, dando continuità all’innovativo principio a suo tempo enunciato nella sentenza 9 ottobre 2008, n. 24883, che la parte la quale, convenuta in giudizio in primo grado, eccepisca in quella sede il difetto di giurisdizione del giudice adito, ove risulti vincitrice nel merito perchè quel giudice pervenga al rigetto della domanda della parte attrice, è comunque soccombente in ordine alla giurisdizione, perchè la pronuncia di merito contiene implicitamente una decisione positiva sull’esistenza della giurisdizione.

La sentenza 20 maggio 2010, n. 12340, ha chiarito che il giudice il quale emette una decisione di merito ha già positivamente vagliato la sua competenza giurisdizionale; il che implica l’esistenza di una “implicita pronuncia sulla giurisdizione, suscettibile di passare in giudicato se non tempestivamente impugnata”. Affinchè tale passaggio in giudicato non si perfezioni occorre, perciò, che la parte risultata vittoriosa nel merito in primo grado proponga appello incidentale su tale capo autonomo della decisione, non essendo sufficiente a tale scopo la mera riproposizione della questione ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

La successiva sentenza 14 maggio 2014, n. 10414, mettendo in luce il fatto che la rilevabilità della questione di giurisdizione è ormai consacrata nel processo amministrativo, per così dire, dalla regola dell’art. 9 c.p.a., ha sottolineato che “nel giudizio civile ordinario la garanzia del generale sindacato sulla giurisdizione si coniuga con la regola processuale del giudicato implicito”; per cui, promossa la causa davanti al giudice ordinario senza contestazioni di parte convenuta, se quel giudice decide la causa nel merito “senza nulla dire sulla sua (implicitamente ritenuta) giurisdizione, si forma una preclusione processuale” che impedisce di tornare ulteriormente a mettere in discussione la questione di giurisdizione.

Ancora più di recente, poi, la sentenza 20 ottobre 2016, n. 21260, ha scolpito con estrema chiarezza concettuale la diversità del capo sulla giurisdizione che accompagna la decisione di merito; diversità dalla quale deriva la possibilità di “una soccombenza sulla questione di giurisdizione autonoma rispetto alla soccombenza sul merito”. Per cui, di fronte ad una sentenza di rigetto della domanda “non è ravvisabile una soccombenza dell’attore anche sulla questione di giurisdizione”, posto che egli ha comunque correttamente individuato il plesso giurisdizionale al quale la domanda va posta; mentre rispetto “al capo sulla giurisdizione che accompagna la statuizione di rigetto nel merito della domanda è configurabile esclusivamente la soccombenza del convenuto”. Il che equivale a dire che in un caso del genere la parte convenuta è tenuta a proporre appello incidentale (condizionato) sul capo relativo alla giurisdizione, se non vuole che tale statuizione diventi irrevocabile.

5. Facendo applicazione di tali principi, i quali costituiscono ormai un patrimonio acquisito nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite, si vede che nel caso in esame il TAR di Catania aveva addirittura esplicitamente affermato l’esistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, pervenendo ad una decisione di rigetto della domanda proposta dalla IPAB originariamente ricorrente. Ciò comporta che le parti convenute in primo grado, benchè vincitrici nel merito, erano tuttavia soccombenti in punto di giurisdizione e quindi tenute, per evitare la formazione del giudicato, a proporre appello incidentale condizionato (v. pure le sentenze 9 novembre 2011, n. 23306, e 5 ottobre 2016, n. 19912). Tale impugnazione, come si è detto, non è stata proposta nè dai Comuni di Aci Catena e Acireale nè dalla ASP oggi ricorrente; la quale, è bene ribadirlo, non si era doluta della giurisdizione nemmeno in primo grado.

Appare evidente, dunque, alla luce di tale ricostruzione, come le argomentazioni di parte ricorrente non siano condivisibili nè dove essa afferma che il CGARS avrebbe omesso l’esame della questione di giurisdizione nè dove sostiene che le Amministrazioni resistenti, in quanto parti vittoriose in primo grado, erano carenti di una posizione di soccombenza che poteva giustificare l’impugnazione della sentenza di primo grado sul punto della giurisdizione. Così come non è ipotizzabile, contrariamente a quanto si sostiene nel ricorso, che il diverso approccio ricostruttivo del giudice di appello possa far risorgere, secundum eventum litis, l’interesse ad impugnare il capo sulla giurisdizione.

In definitiva, poichè è mancato ogni appello in ordine alla giurisdizione, l’odierno ricorso deve ritenersi inammissibile.

6. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

Sussistono tuttavia le condizioni di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

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