Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25363 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/10/2017, (ud. 18/05/2017, dep.25/10/2017),  n. 25363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28639-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI, 2, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO FEMIA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAFFAELE RIGITANO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6600/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/11/2010, G. N. 9635/2007.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 12.10. la Corte di Appello di Napoli ha riformato la sentenza del Tribunale di Napoli che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto intercorso tra C.L. e Poste Italiane s.p.a. nel periodo 7.5.2002 – 30.6.2002 con causale consistente a “esigenze tecniche organizzative e produttive, anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti dall’introduzione e sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17-18 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002”, condannando la società al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dalla domanda giudiziaria al ripristino del rapporto con gli accessori dovuti per legge.

che avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi, chiedendo, inoltre in subordine, l’applicazione dello jus superveniens; ha resistito la C. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che con i motivi del ricorso riguardano: 1)l’omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La Corte avrebbe omesso un fatto controverso e decisivo per il giudizio, di valutare e di motivare sull’ammissibilità e rilevanza del capitolo n.11 in relazione agli squilibri nella distribuzione del personale sul territorio e situazione di momentanea carenza di organico, dovuti ai processi di riorganizzazione che avevano investito la società facendo nascere l’esigenza di assunzioni temporanee senza specificare le ragioni del mancato esercizio dei poteri d’ufficio ex art. 421; 2)l’omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ossia la compresenza di più processi omogenei e concomitanti che l’azienda ha ritenuto di fronteggiare comulativamente con le assunzioni a termine, non trattandosi di esigenze contrapposte o incompatibili; 3) La violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, dell’art. 2697 c.c. degli artt. 115,116,244 e 253c.p.c. e art. 421 c.p.c., comma 2 per avere posto a carico del datore di lavoro l’onere di provare le ragioni che indussero le parti sottese alla adozione dei contratto a termine, laddove invece la legittimità del contratto, sarebbe presunta con onere del lavoratore di provarne la pretestuosità. Inoltre non era stato dato ingresso alla prova comunque chiesta ammissibile rilevante e decisiva. 4) La violazione art. 1419 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1,artt. 115 e 116 c.p.c. la corte avrebbe ritenuto erroneamente che la conseguenza sanzionatoria relativa alla nullità del termine sarebbe la nullità dell’intero contratto, senza applicare l’art. 1419 c.c.; 5) la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1218,1219,1223,2094,2099 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene la ricorrente che le retribuzioni non potevano che decorrere dal momento in cui era stata offerta la prestazione, circostanza nella specie non verificatasi tale non essendo la domanda giudiziaria. Quanto all’aliunde perceptum sostiene la ricorrente che era onere di controparte provare di non aver intrattenuto altri e successivi rapporti di lavoro e di non aver percepito somme a titolo retributivo; con l’ultimo motivo che segue il quinto, Poste spa chiede in subordine l’applicazione della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32,comma 5 e 6 e che in applicazione dello jus superveniens il risarcimento del danno sia contenuto nei limiti previsti dalla citata norma.

Che vanno rigettati i primi quattro motivi di ricorso e che, assorbito il quinto, debba essere accolta la domanda di applicazione dello jus superveniens;

che, infatti, l’apposizione di un termine ai contratti di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, le quali vanno precisate per iscritto, a pena di inefficacia, ben potendo peraltro risultare anche per relationem, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, in modo da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare, nonchè I’ utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto.

Contrariamente a quanto lamentato dalla Poste italiane spa, la Corte di merito ha correttamente applicato il suddetto principio accertando, con motivazione adeguata ed immune da rilievi di ordine logico-giuridico, l’illegittimità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro, avendo affermato che nella fattispecie non risultava essere stato assolto l’obbligo motivazionale di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, posto che la lettura del contratto di assunzione consentiva di rilevare che la causale in esso indicata riproduceva in modo ripetitivo la lettera dell’art. 25 del CCNL, che tuttavia non era più in vigore a far tempo dal 31.12.2001, in base a quanto stabilito dalla norma transitoria di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, nulla dicendo in ordine al nesso causale con le mansioni per il cui espletamento la lavoratrice era stata assunta. Inoltre gli accordi sindacali richiamati non erano di per sè idonei a giustificare la mancata specificazione dei motivi con inerenza alla singola assunzione e, in ogni caso, era mancata la prova sul punto di una specifica causale negoziale. (cfr. in termini fra le tante Cass. 19/03/2016 n. 5451, Cass.27/4/2010 n. 10033).

Che deve essere accolta invece la domanda di applicazione dello jus supeveniens.

Se da un canto è pacifico che la sopravvenuta disciplina di cui alla L. n. 183 del 2011, art. 32, commi 5, 6 e 7 come interpretata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011, si applica anche in sede di legittimità (cfr. Cass. 29/02/ 2012 n. 3056 e moltissime altre successive) dall’altro va rammentato che la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico (cfr. Cass. SSUU. 27/10/2016 n. 22691).

che pertanto rigettati gli altri motivi di ricorso e accolta la richiesta di applicazione dello jus superveniens con riguardo alle conseguenze economiche dell’accertata illegittimità del termine apposto al contratto, assorbito il quinto in relazione alle diverse censure, la sentenza deve essere sul punto cassata e rinviata alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione, che provvederà a liquidare l’indennità risarcitoria prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 comma 5. provvedendo anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie l’ultimo motivo,assorbito il precedente, e rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 18 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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