Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25362 del 12/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 12/12/2016, (ud. 15/09/2016, dep. 12/12/2016), n.25362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13768-2011 proposto da:

G.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CARLO POMA 4, presso lo studio degli avvocati CARLO DE

MARCHIS GOMEZ, ANDREA CIANNAVEI, che la rappresentano difendono,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.C. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

(OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5624/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/05/2010 R.G.N. 3744/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/09/2016 dal Consigliere Dott. NEGRI DELLA TORRE PAOLO;

udito l’Avvocato DE BENEDITTIS ITALO per delega verbale Avvocato DE

MARCHIS CARLO;

udito l’Avvocato CASTALDI ITALO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per l’accoglimento del primo e

del secondo motivo del ricorso, rigetto del terzo motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 5624/2008, depositata il 12 maggio 2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma, che aveva respinto le domande tutte di G.A. volte ad ottenere l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro domestico intercorso con D.C. nel periodo dall’1/1/1982 al 31/12/2001, il pagamento di differenze retributive e del T.F.R., nonchè la condanna della convenuta al risarcimento del danno conseguente all’omesso versamento dei contributi previdenziali (ai sensi della L. n. 1338 del 1962, art. 23 e, in subordine, ai sensi dell’art. 2116 c.c.), la Corte di appello di Roma dichiarava il diritto dell’appellante all’integrità della propria posizione contributiva per il minor periodo 1992 – 2001, osservando come, pacifica essendo la natura subordinata delle prestazioni rese dalla G., anche per le ammissioni rese al riguardo dalla datrice di lavoro, le risultanze delle prove testimoniali consentissero di ritenere la sussistenza del rapporto dedotto in giudizio ai fini del riconoscimento del diritto della lavoratrice all’integrità della propria posizione contributiva, anche se non erano tali da far ritenere comprovata la sussistenza delle circostanze di fatto su cui la stessa aveva fondato la propria domanda di differenze retributive.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la G. con tre motivi; la D. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contradditoria motivazione su un punto fondamentale della controversia, la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia del tutto omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna alla rendita matematica per i contributi prescritti ovvero sulla domanda subordinata di condanna generica di cui all’art. 2116 c.c. e comunque abbia omesso sul punto ogni motivazione.

Con il secondo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente si duole che la Corte, con motivazione del tutto assente, abbia limitato il periodo di lavoro agli anni dal 1992 al 2001, anzichè riconoscerlo dal 1982, così come richiesto con il ricorso, e, in ogni caso, ciò abbia fatto senza prendere in esame la ricevuta predisposta dalla D. avente valore confessorio circa la durata quasi ventennale del rapporto. Con il terzo motivo, deducendo ancora il vizio di cui all’art. 360, n. 5 nonchè violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2120 e 2697 c.c., la ricorrente si duole che la Corte, pur avendo accertato la sussistenza nella specie di un rapporto di lavoro subordinato, anche se con durata minore rispetto a quella richiesta, abbia rigettato la domanda di pagamento del TFR, pur costituendo tale voce – come da conteggio riepilogativo allegato al ricorso – la parte prevalente del complessivo importo rivendicato.

Il ricorso è fondato in relazione a ciascuna delle censure formulate.

Si deve, infatti, osservare: 1) quanto al primo motivo, che effettivamente il giudice di appello ha omesso di esaminare e valutare entrambe le domande di risarcimento del danno previdenziale (in via preliminare, L. n. 1338 del 1962, ex art. 23; in via subordinata, ex art. 2116 c.c.), nonostante che le stesse risultassero espressamente riproposte in sede di gravame (cfr. anche, in sentenza, conclusioni per l’appellante) e nonostante l’esplicito riconoscimento del diritto della G. (se pure con una riduzione temporale) alla integrità della propria posizione contributiva; 2) quanto al secondo, che la riduzione del periodo dell’accertato rapporto di lavoro subordinato (dal 1992 al 2001 invece che dal 1982, così come richiesto con la domanda) non trova supporto in alcuna motivazione e comunque risulta contrastante con la ricevuta predisposta dalla D., in cui si dà atto, in relazione al pagamento della somma di Euro 450,00 “a saldo della liquidazione”, che il rapporto intercorso con la G., “esauritosi nel dicembre 2001”, è “proseguito per 20 anni circa”; 3) quanto al terzo, che il giudice di appello ha escluso il diritto della lavoratrice al pagamento del TFR con motivazione del tutto carente e pur a fronte, per un verso, dell’accertamento della sussistenza di un rapporto di natura subordinata e, per altro verso, di un documento in atti (quale la ricevuta sopra richiamata a proposito del secondo motivo di ricorso) attestante un versamento di somma a titolo di saldo TFR, di cui non risulta peraltro neppure valutata la congruità in riferimento alla durata (sia pure dimezzata) del rapporto: così che la conclusione cui la Corte è giunta, e cioè essere l’esito della prova inidoneo a comprovare il diritto della lavoratrice al pagamento delle somme richieste (per differenze retributive e TFR), risulta altresì, per quest’ultima voce, in contrasto, determinandone la sostanziale inversione, con le regole che presiedono al riparto dell’onere probatorio.

Ne consegue che la sentenza n. 5624/2008 della Corte di appello di Roma deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla medesima Corte di appello in diversa composizione, la quale provvederà a prendere cognizione delle domande tutte proposte e a nuovo esame, con applicazione dei criteri di cui all’art. 2697 c.c., del materiale di prova acquisito al giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa conseguentemente la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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