Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25361 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/10/2017, (ud. 16/05/2017, dep.25/10/2017),  n. 25361

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25921-2015 proposto da:

SICILCASSA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona

dei Commissari Liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che

la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DELL’OROLOGIO, 7 presso lo studio dell’avvocato PAOLA MORESCHINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO PALMIGIANO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1318/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 14/09/2015, R. G. N. 603/2011.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 14.9.2015, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva ammesso al passivo di Sicilcassa s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa il credito vantato da R.C. a titolo di riscatto della posizione individuale vantata nei confronti del disciolto Fondo aziendale di integrazione delle pensioni (FIP), comprensivo di rivalutazione monetaria e interessi;

che avverso tale statuizione ha proposto ricorso Sicilcassa s.p.a. in l.c.a., deducendo tre motivi di censura;

che R.C. ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito omesso di pronunciarsi sul capo dell’appello con cui si chiedeva la riforma della sentenza di primo grado per aver ammesso al passivo il credito in via di privilegio;

che, con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta violazione dell’art. 2099 c.c. e art. 429 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto la natura retributiva del credito fatto valere e conseguentemente accordato il cumulo di rivalutazione monetaria e interessi, nonostante il credito vantato avesse in realtà natura previdenziale;

che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 80, e della L.Fall., art. 55, nonchè di falsa applicazione dell’art. 2751 – bis c.c., per avere la Corte di merito ammesso il credito in linea di privilegio;

che, con riguardo al primo motivo, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui la specificità dei motivi di appello richiesta dall’art. 342 c.p.c. impone all’appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza impugnata, in modo che sia possibile desumere quali siano le argomentazioni fatte valere da chi ha proposto l’impugnazione in contrapposizione a quelle evincibili dalla sentenza impugnata (cfr. per tutte Cass. n. 21816 del 2006), onde lo scrutinio della censura in procedendo di omessa pronuncia su di un capo dell’appello presuppone, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso per cassazione, la specifica indicazione dei motivi sottoposti al giudice del gravame sui quali egli non si sarebbe pronunciato (Cass. n. 14561 del 2012);

che tanto non è dato rilevare nel caso di specie, sostenendo piuttosto parte ricorrente di aver validamente censurato la statuizione di primo grado, nella parte in cui ammetteva il credito al passivo in linea di privilegio, semplicemente perchè ne avrebbe chiesto “l’integrale riforma” (cfr. ricorso per cassazione, pag. 3);

che l’inammissibilità del primo motivo determina a sua volta l’inammissibilità del terzo, trattandosi per l’appunto di questione su cui la Corte di merito non ha pronunciato e della quale non è dato sapere se e come essa sarebbe validamente devoluta in grado di appello;

che, con riguardo al secondo motivo, fermo restando che la Corte di merito non ha affatto attribuito natura retributiva al credito di cui trattasi, ma ha piuttosto preso atto dell’orientamento ormai consolidatosi di questa Corte circa l’applicabilità del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 10, anche ai fondi di previdenza privata c.d. preesistenti, indipendentemente dalla loro natura a ripartizione o a capitalizzazione, individuale o collettiva (cfr. da ult. Cass. S.U. n. 477 del 2015), è giusto il caso di ricordare che l’impossibilità di cumulare rivalutazione monetaria e interessi sui crediti per prestazioni previdenziali maturate nei confronti di fondi di previdenza complementare è già stata esclusa da questa Corte sul rilievo che L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, con il quale è stata sancita la non cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria sulle prestazioni dovute da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, si riferisce esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso gli enti suddetti e non è pertanto applicabile alle prestazioni pensionistiche integrative dovute dai datori di lavoro privati (Cass. n. 18041 del 2015);

che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi sulle spese del giudizio di legittimità come da dispositivo, giusta il criterio della soccombenza;

che, tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono inoltre i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 16 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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