Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25361 del 20/09/2021

Cassazione civile sez. III, 20/09/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 20/09/2021), n.25361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4116-2019 proposto da:

Q.G., rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) e

prof. Michele Tamponi ed elettivamente domiciliato presso lo studio

del secondo in ROMA VIA ATTILIO FRIGGERI 106, pec:

avv.pasqualepizzuti.certmail-cnf.it;

micheletamponi.ordineavvocatiroma.org;

– ricorrente –

contro

D.M., F.A., rappresentati e difesi

dall’avvocato prof. SERGIO PERONGINI, ed elettivamente domiciliati

presso lo studio del medesimo in Salerno, in via Domenico Coda 8

studioperongini.pec.giuffre.it;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1606/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 18/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/03/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. Q.G., conduttore di un fondo rustico sito in (OMISSIS), convenne, con atto di citazione dell’8/1/2002, davanti al Tribunale ordinario di Salerno, Sezione Distaccata di Mercato San Severino, i coniugi d.M. e F.A. lamentando che il proprietario del fondo L.A. aveva venduto il fondo medesimo ad essi convenuti, omettendo di consentirgli l’esercizio del diritto di prelazione in qualità di affittuario.

I convenuti si costituirono in giudizio eccependo l’assenza dei requisiti per il valido esercizio del retratto.

2. Il Tribunale adito declinò la competenza con sentenza del 2013, ravvisando la competenza per materia della Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Salerno, e la causa venne riassunta ed istruita con l’espletamento di una CTU, all’esito della quale, con sentenza n. 652 del 2018, la domanda venne rigettata dal giudice specializzato.

3. La Corte d’Appello di Salerno, Sezione Specializzata Agraria, adita dal Q., con sentenza del 18/10/2018, ha rigettato l’appello ribadendo – quale ragione ostativa al riscatto – l’avviso del primo giudice che, su una parte delle particelle del fondo, il concedente aveva conservato la disponibilità e che vi era altresì un residuo vincolato per attività urbanistica. Inoltre, osservò che il fondo rivendicato dall’affittuario non aveva neppure autonomia funzionale perché era ubicato in una posizione centrale rispetto alla restante parte del fondo medesimo.

4. Avverso la sentenza Q.G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. D.M. e F.A. hanno resistito con controricorso.

5. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c., in vista della quale Q.G. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso – violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – il ricorrente denuncia un errore di percezione in cui sarebbe caduto il giudice di merito nell’escludere che le due particelle n. (OMISSIS), nonostante il puntuale accertamento del CTU, fossero interamente occupate dal meleto.

1.1 Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, esso denuncia un errore di fatto, che avrebbe dovuto denunciarsi con il mezzo della revocazione ordinaria ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4: lo stesso ricorrente parla di errore di percezione di un fatto affermato dal c.t.u.

In ogni caso, se non sussistesse tale ragione di inammissibilità, il motivo si rivelerebbe del tutto inidoneo ad evidenziare la violazione dell’art. 115 c.p.c. sotto il profilo – enunciato in chiusura della breve illustrazione – del divieto del giudice di merito “di fondare la decisione su prove diverse da quelle fornite”: è palese che, avendo la sentenza fondato il suo decisum sulla c.t.u., quello che si contesta è solo che essa sia stata mal valutata. Si aggiunga che, come ulteriore profilo di inammissibilità, il ricorrente, in manifesta violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, si limita a riportare due passi brevissimi della c.t.u., il primo che dice enunciato a pag. 5 di essa ed il secondo a pag. 2 e argomenta l’individuazione del preteso fatto, non percepito nella sua esatta dimensione, dalla sentenza, senza fornire alcuna spiegazione di come l’implicazione che ne desume possa risultare dal raccordo fra le due riproduzioni, di cui, peraltro, si inverte la consecuzione.

Il motivo e’, sotto tale profilo, anche carente del requisito della chiarezza. Inoltre, si omette di precisare i termini in cui il giudice di appello era stato investito della questione, essi non potendosi nemmeno desumere da quanto sommariamente riferito, senza una precisa indicazione della parte dell’atto di appello, nell’esposizione del fatto.

Ove poi si passasse alla lettura della sentenza, assumerebbe rilievo dirimente la circostanza che la motivazione della sentenza impugnata è riferita nel motivo in esame in maniera del tutto monca, sicché la censura risulta anche non correlata alla ratio decidendi perché l’impugnata sentenza (pag. 5, del tutto ignorata da quanto si riproduce) non ha affatto escluso la presenza del meleto sulle particelle n. (OMISSIS) ma ha semplicemente riferito che, sulle stesse particelle, esistevano anche altre coltivazioni, sì da non consentire di riconoscere al fondo destinato a meleto e rivendicato dal ricorrente, una piena autonomia funzionale.

2 Con il secondo motivo di ricorso – violazione della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 19 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente deduce che la sentenza, avendo acclarato la presenza di un filare di vite sul lato ovest, curato dal concedente, avrebbe erroneamente ritenuto inesistenti i presupposti per l’esercizio del retratto, violando le disposizioni indicate in epigrafe secondo le quali l’affitto è esteso a tutte le colture del fondo. Ad avviso del ricorrente gli accordi relativi al filare di vigna non sarebbero rilevanti.

2.1 La censura pretende di criticare la motivazione della sentenza riproducendo letteralmente, a giustificazione della ragione della negazione del diritto al riscatto da parte della sentenza impugnata quella che indica come presenza, rappresentata dal C.T.U., di “”un filare di vite sul lato ovest” (così a pag. 5)”.

In tal modo la censura ignora la motivazione estesa dalla corte territoriale sempre a pg. 5, di cui l’inciso evocato costituisce appunto un “inciso”: la sentenza ha ritenuto ostativa, all’esercizio del diritto di retratto, la parziarietà del fondo nel senso che su di esso, oltre a svolgersi la coltivazione del meleto, c’era anche dell’altro, sicché per una parte residua il fondo non era coltivato dall’affittuario coltivatore diretto.

La norma di cui si denuncia la violazione non appare allora in alcun modo pertinente e ciò non senza doversi rilevare che è totalmente carente qualsiasi attività dimostrativa del come e del perché sarebbe stata violata.

Da quanto osservato consegue l’inammissibilità del motivo, che è rafforzata anche dalla pretesa di evocare l’apprezzamento di una situazione di fatto.

3. Con il terzo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente si duole del fatto che la sentenza abbia escluso il retratto anche in ragione della natura non integralmente agricola del terreno laddove la modifica della destinazione urbanistica del medesimo sarebbe avvenuta in un momento successivo rispetto alla vendita. In particolare, si lamenta che la corte territoriale abbia tenuto conto della situazione accertata dalla relazione del c.t.u. del 21 ottobre 2017 e non di quella esistente all’atto della vendita, cioè al 14 febbraio 2001.

3.1 Il motivo non è conforme alle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 in quanto non riporta i contenuto della relazione del c.t.u. dal quale risulterebbe che egli avrebbe proceduto all’accertamento della situazione dell’immobile con riferimento alla data di deposito della relazione peritale. Tale assunto avrebbe dovuto essere enunciato con l’indicazione specifica della parte della c.t.u. di cui questo risultava, mentre nulla al riguardo si precisa.

4. Con il quarto motivo il ricorso – violazione e falsa applicazione della L. 24 maggio 1965, n. 590, art. 8 e della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 19 – il ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto non provata la divisibilità dell’area, la sua autonomia funzionale, in ragione anche della collocazione della medesima al centro della restante parte del fondo.

4.1 Il motivo è inammissibile perché volto a riproporre questioni di merito, quale la collocazione dell’area in una zona di non facile accesso e posta al centro di un più ampio fondo. Con esso il ricorrente sollecita una rivalutazione della quaertio facti e fra l’altro evoca risultanze della c.t.u. senza rispettare l’art. 366 c.p.c., n. 6 e dunque senza precisare in quali termini la Corte territoriale si sia discostata dalle risultanze della consulenza.

5. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 5000 (oltre Euro 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%, con distrazione in favore dell’avvocato Sergio Perongini, che ne ha fatto richiesta. Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si apprica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

 

 

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