Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25361 del 12/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 12/12/2016, (ud. 14/09/2016, dep. 12/12/2016), n.25361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15860-2011 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, NICOLA VALENTE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

QUINTINO SELLA, 41, presso lo studio dell’avvocato MARGHERITA

VALENTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI GAETANO

PONZONE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

nonchè contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE C.F. (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA,

ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12 (Atto di Costituzione del 24/10/2011);

– resistente com mandato –

nonchè contro

REGIONE PUGLIA, COMUNE DI CONVERSANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2813/2010 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/06/2010 R.G.N. 832/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. D’ANTONIO ENRICA;

udito l’Avvocato RICCI MAURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Bari,in riforma della sentenza del Tribunale, ha riconosciuto il diritto di S.M. all’assegno mensile di invalidità civile a decorrere dal 1 gennaio 2005 ed ha compensato le spese di causa. La Corte ha riferito che il CTU nominato in appello, all’esito di un accurato esame anamnestico ed obiettivo della paziente, aveva concluso rilevando che il complessivo stato morboso invalidante della ricorrente determinava una inabilità dell’80% a far data dal 1 gennaio 2005.

La Corte, quindi, rilevato che dalla documentazione prodotta emergeva anche la prova della sussistenza dei requisiti socioeconomici peraltro mai contestati, ha riconosciuto alla ricorrente l’assegno con la decorrenza indicata dal CTU.

Avverso la sentenza ricorre in cassazione l’Inps formulando tre motivi. Resiste la S.. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito al solo fine della discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’Istituto denuncia violazione della L. n. 118 del 1971, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 116, 414, 421 e 437 c.p.c., ponendo il quesito se il giudice di merito poteva accogliere la domanda di assegno mensile di assistenza sulla base di documentazione volta a provare il requisito reddituale, elemento costitutivo, prodotta tardivamente per la prima volta in appello, successivamente al deposito di quest’ultimo, senza specifica richiesta dell’interessato o esplicito provvedimento autorizzativo del giudice. Ha osservato che in Tribunale la S. si era limitata a produrre il verbale della “commissione e certificazioni mediche” e che nel testo del ricorso era contenuta una dichiarazione dell’interessata D.P.R. n. 445 del 2000, ex art. 46, irrilevante ai fini della prova del requisito reddituale, e che nessun documento aveva prodotto con il ricorso in appello.

Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione rilevando che il giudice d’appello non aveva spiegato su quali elementi di prova aveva fondato il suo giudizio.

Con il terzo motivo denuncia violazione della L. n. 118 del 1971, art. 13, dell’art. 2697 c.c.. Deduce che la Corte d’appello di Bari aveva del tutto omesso l’accertamento dell’incollocamento al lavoro.

I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono infondati.

L’Inps, da un lato, lamenta che la documentazione che la Corte territoriale ha ritenuto idonea a provare i requisiti socio economici sia stata prodotta tardivamente, solo in appello. Dall’altro lato si duole che la documentazione allegata al ricorso introduttivo, costituita, secondo l’Inps, “dal verbale della commissione e certificazioni mediche” nonchè da dichiarazione contenuta nel ricorso D.P.R. n. 445 del 2000, ex art. 46, siano irrilevanti ai fini della prova del requisito reddituale.

Il ricorso dell’Istituto difetta di autosufficienza circa la denunciata tardività della produzione, peraltro neppure specificata, non fornendo alcun elemento idoneo a provare detta tardività che, in sostanza, il ricorrente si limita a presumere.

Quanto alla documentazione che l’Inps assume esser stata prodotta dalla S. – verbale della commissione e certificazioni mediche – ed alla sua inidoneità, la controricorrente ha riportato il contenuto del proprio ricorso in primo grado nel quale aveva chiaramente enunciato di essere disoccupata dal 2001 ed invalida in misura superiore all’80% e priva di reddito e che, contrariamente a quanto affermato dall’Inps, non aveva mai prodotto i documenti indicati da parte ricorrente: la prova del possesso dei requisiti emergeva, infatti, dall’iscrizione nelle liste di collocamento dal 2004 e da certificazione dell’Agenzia delle entrate.

Deve rilevarsi, tuttavia, che a prescindere dalla questione sollevata dall’Inps circa l’idoneità della documentazione a provare il reddito della S. – documentazione peraltro neppure individuata in modo inequivoco stante il contenuto del controricorso,il ricorrente non formula nessuna specifica censura all’altra affermazione della Corte territoriale secondo cui i requisiti socio economici, oltre che provati, non erano stati neppure contestati dall’Inps.

Il ricorrente, infatti, non ha sostenuto nè di averli contestati, nè ha argomentato in altro modo la mancata contestazione evidenziando, per esempio, che la genericità delle affermazioni di controparte esonerava l’Istituto dall’ obbligo di contestazione – (cfr. 3023/2016 secondo cui il principio di non contestazione, con conseguente “relevatio” dell’avversario dall’onere probatorio, postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione). E’ noto che, secondo il consolidato orientamento (cfr Cass. SSUU n 7931/2013) di questa Corte, dal momento che il ricorso per cassazione non introduce una terza istanza di giudizio con la quale si può far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi invece come un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque, condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (cfr ex plurimis, le sentenze n. 389 e 13070 del 2007, 3386 e 22753 del 2011, 2108 del 2012).

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente a pagare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2000,00 per compensi professionali oltre il 15% per spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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