Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25360 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/11/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 11/11/2020), n.25360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5990/2013 R.G. proposto da:

D.ERRE.A. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Sergio Miniero giusta procura

speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliato in Roma, via

Pasubio n. 4, presso e nello studio dell’Avv. Lucilla Forte;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 96/26/2012 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata in data 16 luglio 2012;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2020

dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Spa D. ERRE A., esercente la attività di costruzione e di vendita di unità immobiliari, impugnò con due separati ricorsi gli avvisi di accertamento relativi alle due annualità di imposta 2004 e 2005 con cui la Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Milano, a seguito di una verifica fiscale confluita in un processo verbale di constatazione, aveva rettificato, per quanto ancora interessa, i ricavi dichiarati dalla detta società con metodologia analitica – induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), rilevando anomalie significative in una corretta prassi economica, tra cui l’assenza di un prezzo per i giardini degli immobili venduti e l’assenza nel computo delle superfici dei detti immobili dei terrazzini e ritenendo la incoerenza tra i valori di costo ed i ricavi dichiarati che avrebbero dato un risultato di utile insignificante, diseconomico e non coerente con i rischi dell’impresa (pagg. 13 e 14 del ricorso).

Con i ricorsi la contribuente aveva dedotto la correttezza della contabilità e la assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, idonee a legittimare gli accertamenti, ma la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, previa riunione dei due ricorsi, con sentenza n. 54/47/2011, li accolse parzialmente ritenendo deducibili le spese di pubblicità ed il costo di compensi professionali, mentre li rigettò in relazione ai maggiori ricavi confermando la correttezza della ricostruzione operata dai verificatori con riguardo ai costi complessivi sostenuti dall’impresa per la realizzazione di un complesso di villette unifamiliari, sulla base dei dati di bilancio, delle schede contabili e dei prospetti forniti dalla parte e dei ricavi dichiarati per tutte le unità immobiliari, che dimostravano una bassa remunerazione dei capitali impiegati che non giustificava l’attività economica imprenditoriale, come comprovato da una vendita dichiarata per un prezzo molto inferiore a quello pattuito (pagg. da 14 a 16 del ricorso).

Propose appello principale la contribuente, contestando la metodologia applicata dall’Ufficio ed assumendo, in particolare, la assenza di antieconomicità delle vendite per le quali erano state fornite valide ragioni economiche di autofinanziamento delle altre attività di impresa e la correttezza delle vendite a corpo comprendenti gli accessori, nonchè appello incidentale la Agenzia delle Entrate, per quanto di rispettiva soccombenza.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 96/26/2012, depositata il 16 luglio 2012, rigettò sia l’appello principale che l’appello incidentale e compensò fra le parti le spese, ritenendo, quanto all’appello principale della contribuente, che ancora interessa, che la decisione di primo grado avesse esaustivamente motivato in ordine al recupero dei ricavi consentendo di ricostruire l’iter logico giuridico seguito nell’emettere gli accertamenti impugnati attraverso la documentazione dei fatti e le considerazioni esposte per le conclusioni finali e che, per converso, la parte appellante non avesse evidenziato alcun motivo per pervenire ad una diversa soluzione e che anche la irrogazione delle sanzioni fosse motivata a seguito dell’accertamento dei fatti, come ricostruiti nell’avviso relativo, con richiamo agli estremi di legge applicati in relazione alle violazioni accertate.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la società D. ERRE A. con atto notificato in data 22.2.2013, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate rilevando la inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, punti 2, 3 e 4, per non avere la sentenza impugnata tenuto conto delle prove addotte e delle argomentazioni esposte dall’appellante e della fondatezza o meno della censura dell’appellante e per avere omesso l’esame di un punto controverso riguardante la ricostruzione degli elementi positivi attraverso una motivazione del tutto carente che aveva impedito l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stavano a fondamento del dispositivo.

2. Con il secondo motivo si duole di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, e dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per avere la sentenza di appello tralasciato di motivare sulle ragioni più determinanti dell’appello di parte riguardanti la ricostruzione degli elementi positivi attinenti la vendita degli immobili. La sentenza di appello aveva infatti dato atto solo del fatto che l’appellante chiedeva la deduzione di tutte le spese ed i costi contabilizzati insistendo per la riforma della sentenza impugnata, senza tenere in considerazione fatti e ragioni rilevanti ai fini di un diverso esito della controversia in atto e delle metodologie della ricostruzione indiretta dei ricavi con riguardo alle conclusioni cui era giunta la Commissione Tributaria.

3. Il ricorso è infondato.

4. Quanto al primo motivo, occorre rilevare che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Rv. 627268 – 01; Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018 Rv. 648018 – 01).

4.1. Nella specie la ricorrente ha dedotto, nel titolo del primo motivo, un vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per “error in procedendo”, il quale implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., da fare valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, così come avvenuto, ma poi ha contraddittoriamente sostenuto, nella esplicitazione del motivo, che la sentenza impugnata non aveva tenuto conto delle prove addotte e delle argomentazioni esposte dall’appellante e della fondatezza o meno delle stesse ed aveva altresì omesso l’esame di un punto controverso riguardante la ricostruzione degli elementi positivi di reddito attraverso una motivazione del tutto carente che aveva impedito l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stavano a fondamento del dispositivo e cioè un vizio di carente o insufficiente motivazione che avrebbe potuto essere fatto valere, eventualmente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione senza adeguata giustificazione (v. Cass. Sez. L, Sentenza n. 13866 del 18/06/2014 Rv. 631333 – 01).

4.2. Ciò rivela quindi ampi profili di inammissibilità del motivo, peraltro anche infondato poichè la ricorrente ha trascurato che si è in presenza di una sentenza di appello completamente confermativa della motivazione di quella di primo grado, con la quale la motivazione di appello andava a saldarsi, considerato anche l’espresso richiamo da parte della sentenza di appello agli argomenti già esposti da quella di primo grado, ritenuti corretti ed esaustivi dal giudice di appello (“la decisione impugnata ha correttamente ed in modo esaustivo motivato le riprese, con riguardo all’appello principale proposto, effettuate dall’Ufficio, con possibilità di ricostruire l’iter logico giuridico seguito nell’emettere l’atto impugnato, attraverso la documentazione dei fatti e le considerazioni esposte per le conclusioni finali.

4.4. La sentenza d’appello può essere infatti motivata anche “per relationem”, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (v., da ultimo, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 20883 del 05/08/2019 Rv. 654951 – 01), come è avvenuto nel caso in esame, in cui la sentenza di appello ha preso in esame anche i motivi di gravame e li ha rigettati, rilevando che “di contro la ricorrente non ha evidenziato alcun elemento utile da considerare per pervenire ad una diversa soluzione”. E non è vero neppure che la sentenza d’appello non abbia preso in esame la censura di appello relativa ai ricavi poichè, dopo avere riferito che la appellante principale aveva chiesto la deduzione di tutte le spese e costi contabilizzati, ha aggiunto che aveva altresì instato per la riforma della sentenza di primo grado, il che andava a sua volta a saldarsi con la pronuncia di primo grado che aveva accolto i ricorsi della contribuente relativamente ai costi di servizi pubblicitari e per consulenza amministrativa ed era stata impugnata da entrambe le parti per quanto di rispettiva soccombenza e cioè dalla Agenzia per le due tipologie di costi annullate e dalla contribuente per gli altri costi ed i ricavi per cui i ricorsi erano stati rigettati.

5. Il secondo motivo presenta ugualmente ampi profili di inammissibilità propri dei cd. motivi misti o promiscui, che non consentono di scindere i presupposti di ciascuno dei vizi dedotti ed è comunque infondato.

5.1. Quanto al profilo del vizio di motivazione, pur tenendo conto che si tratta della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, precedente alla modifica del 2012, peraltro il vizio di motivazione deve riguardare un fatto decisivo per il giudizio, nel senso di un fatto inteso in senso storico – naturalistico e deve consistere in motivazione inesistente o quanto meno obiettivamente carente in ordine all”iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata. Nella specie invece non viene dedotto un difetto di motivazione su un fatto naturalistico decisivo, bensì soltanto la omessa considerazione, da parte dei giudici di primo e di secondo grado, delle ragioni della contribuente e cioè di prove e di argomentazioni giuridiche che non possono integrare il vizio dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5.2. In ogni caso il motivo è anche non specifico poichè nel ricorso non è stato trascritto l’atto di appello, che non è stato neppure allegato, per cui non si comprende specificamente in che cosa sarebbe consistito il deficit di motivazione della sentenza che viene genericamente dedotto con riguardo alla antieconomicità della attività ed ai prezzi delle vendite a corpo su cui si era, però, già pronunciato il giudice di primo grado, come riportato dalla ricorrente a pagina 14 del ricorso.

5.3. Incongrua è pure la pretesa violazione di legge indicata nella intitolazione del secondo motivo, con riguardo genericamente alla violazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e dell’art. 2697 c.c. poichè il secondo motivo di ricorso non indica poi in che cosa tale violazione di legge, da parte della sentenza impugnata, sarebbe consistita, mentre si limita a richiamare alcune sentenze della Corte di Cassazione in relazione all’accertamento induttivo, senza trarne conseguenza alcuna in relazione alla sentenza impugnata, bensì soltanto pretesi errori da parte dell’Ufficio in sede di accertamento.

6. In conclusione, il ricorso è rigettato con condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. Poichè il procedimento di impugnazione è iniziato dopo il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata L. n. 228 del 2012, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 7.830,00, oltre spese prenotate a debito

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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