Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2536 del 31/01/2017
Cassazione civile, sez. II, 31/01/2017, (ud. 02/12/2016, dep.31/01/2017), n. 2536
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –
Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al n.r.g. 13519/12) proposto da:
D.R. (c.f.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa dall’avv.
Andrea Ventimiglia, giusta procura in calce al ricorso; con
domicilio eletto in Roma, viale Monte Oppio n. 28, presso l’ufficio
legale della Provincia Italiana dei Padri Carmelitani;
– ricorrente –
contro
B.A.M., (c.f.: (OMISSIS));
– parte intimata –
avverso la sentenza n. 1460/2011 della Corte di Appello di Catania,
deliberata il 10/11/11; depositata il 18/11/11; non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 2
dicembre 2016 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;
udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale,
Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 – R.L., con atto notificato il 21 luglio 1998, citò innanzi al Tribunale di Catania B.A.M. esponendo che con contratto denominato “donazione” del (OMISSIS) aveva ceduto la nuda proprietà di un appartamento – di cui si era riservata l’usufrutto – prevedendo l’obbligo della convenuta di prestarle tutto quanto occorrente per un dignitoso sostentamento; che la beneficiata non aveva fatto fronte a dette obbligazioni e, anzi, si era appropriata della somma di 10 milioni di Lire estinguendo un deposito a nome di essa esponente e riversandolo su conto esclusivamente intestato ad essa convenuta; la condotta della beneficiata aveva altresì formato oggetto di denuncia penale che – come in seguito verrà accertato – aveva originato un procedimento penale, conclusosi con la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Su tali premesse chiese in via alternativa: che fosse revocata per ingratitudine la donazione o che la stessa fosse dichiarata risolta per inadempimento della donataria. La convenuta nel costituirsi si oppose all’accoglimento delle domande, pur ammettendo l’acquisizione al proprio patrimonio del controvalore del deposito titoli, ma giustificandolo con la necessità di provvedere ai bisogni della donante. La causa fu poi interrotta per il decesso della R. e quindi riassunta dalla sua erede universale D.R..
A questo giudizio venne poi riunito un altro, iniziato dalla B. con citazione dell’ottobre 2002, con il quale la predetta chiese che venisse accertata la illegittima detenzione dell’immobile da parte della D. – essendo oramai divenuta piena proprietaria dello stesso – e che la convenuta fosse condannata al rilascio, nonchè al risarcimento del danno.
L’adito Tribunale, con sentenza del novembre 2005, rigettò entrambe le richieste originariamente poste dalla R. e fatte proprie dalla sua erede, da un lato, escludendo la sussistenza della ingiuria grave a sostegno della revocazione ex art. 801 c.c.; dall’altro interpretando il contratto come donazione modale, come tale non suscettibile di risoluzione per inadempimento del modus, non essendo stata disciplinata tale forma di cessazione di efficacia, al momento della stipula, come previsto dall’art. 792 c.c., u.c.. Condannò l’attrice al rilascio dell’immobile ma respinse la domanda risarcitoria.
La D. impugnò tale decisione, lamentando sia la errata qualificazione del contratto come donazione modale e non piuttosto come vitalizio alimentare, stante l’evidente nesso sinallagmatico tra il trasferimento della nuda proprietà e le prestazioni assistenziali, sia la valutazione dell’apprensione della somma di Lire 10 milioni.
La Corte di Appello di Catania, pronunciando sentenza n. 1460/2011, accolse solo il motivo attinente alla distrazione della somma sopra indicata, condannando la B. alla restituzione; respinse il motivo attinente alla interpretazione del contratto, assumendo che l’analisi del tenore letterale del negozio consentiva di ritenere che l’obbligo per la beneficiaria di prestare assistenza alla donante non atteneva alla causa del negozio ma configurava un mera limitazione del beneficio nascente dalla donazione – così confermando l’analoga statuizione del primo giudice.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la D., facendo valere due motivi; la B. non ha svolto difese.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
p. 1 – Con il primo motivo sono dedotte (secondo quanto emerge dalla formulazione dell’ormai abrogato “quesito di diritto” a fol. 9 del ricorso) la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 1362 e 1363 c.c., per aver ritenuto, la Corte territoriale, che il contratto inter partes andasse interpretato come donazione modale anzichè come vitalizio alimentare, omettendo così di analizzare la reale intenzione delle parti come emergente dalle condizioni personali della donante – vedova; sola; in età avanzata e in scadenti condizioni di salute.
p. 2 – Con il connesso secondo motivo – che costituisce una progressione argomentativa del mezzo che precede – le censure di cui in precedenza s’è detto, vengono rafforzate con il riferimento all’art. 111 Cost., commi 1 e 6, denunciandosi la mera apparenza delle motivazioni addotte dalla Corte di Appello per non riconoscere il nesso di sinallagmaticità tra l’attribuzione patrimoniale e gli obblighi assistenziali.
p. 3 – I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, stante lo stretto collegamento logico esistente tra le censure, sono infondati in quanto con gli stessi parte ricorrente, solo formalmente lamenta una violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, non mettendo in evidenza in qual modo non sarebbe stata rispettata la comune volontà delle parti emergente dal testo contrattuale nè sotto quali profili le singole clausole si sarebbero dovute valutare, ai fine di pervenire ad una diversa considerazione del tipo contrattuale voluto tra le parti: a quest’ultimo proposito giova sottolineare che parte ricorrente confonde la pluralità degli elementi di fatto (condizioni personali della donante), preesistenti all’attribuzione patrimoniale, con la pluralità di clausole, dalla cui interpretazione complessiva, disciplinata dall’art. 1363 c.c., si sarebbe dovuto pervenire all’identificazione di un diverso tipo contrattuale. Quanto poi al vizio di motivazione – che fa riferimento alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anteriore alle modifiche introdotte con il D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012 – lo stesso, lungi dall’ esser trattato al fine di far emergere la sostanziale carenza di argomentazione (per sostenere l’interpretazione delle obbligazioni a carico della intimata in termini di modus donativo anzichè di vitalizio alimentare), viene in realtà trattato – come il mezzo precedente – al sol fine di sovrapporre la propria alla interpretazione della Corte del merito, adeguatamente motivata.
p. 4 – Nulla per le spese, non avendo svolto difese la parte intimata.
PQM
LA CORTE
Rigetta il ricorso.
Si dà atto che alla stesura della presente sentenza ha collaborato l’Assistente di Studio Dott. G.G..
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017