Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25359 del 29/11/2011

Cassazione civile sez. II, 29/11/2011, (ud. 17/11/2011, dep. 29/11/2011), n.25359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sui ricorsi iscritti ai nn.r.g. 7074 e 10739/06) proposti da:

P.E. (c.f. (OMISSIS)), rappresentata e difesa

dall’avv. NICOTRA Filippo del Foro di Palermo, giusta procura in

calce al ricorso ed elettivamente domiciliata presso lo studio del

medesimo in Palermo via G. Di Marzo n. 11 (R.D. 22 gennaio 1934, n.

37, ex art. 82: presso la Cancelleria della Suprema Corte di

Cassazione);

– ricorrente –

contro

S.M.R. (c.f. (OMISSIS)), rappresentata e

difesa dall’avv. SPARTI Roberto, del Foro di Palermo ed elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’avv. Giuseppe Pinelii in Roma, via

Baldo Degli Ubaldi n. 330, giusta procura in calce al controricorso

contenente ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo n. 370/05,

dep.ta il 29/03/05;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

17/11/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il

rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.M.R. citò innanzi al Tribunale di Palermo P.E. per far dichiarare risolto il preliminare di vendita di una casa di civile abitazione, di proprietà dell’esponente, sita in (OMISSIS), e far condannare la predetta al risarcimento dei danni, assumendo che la convenuta, promissaria acquirente, non avrebbe prestato il consenso per la stipula del definitivo; la P. si costituì chiedendo il rigetto della domanda e, agendo in via riconvenzionale, chiese che fosse emessa sentenza à sensi dell’art. 2932 cod. civ., dichiarandosi pronta a versare quanto pattuito; in subordine instò affinchè venisse risolto il contratto per colpa della promittente venditrice, a cagione del fatto che la stessa non aveva ottenuto la licenza in sanatoria.

L’adito Tribunale, preso atto che in corso di causa era stata definitivamente respinta la richiesta di concessione in sanatoria – su domanda a suo tempo presentata dalla S. e di cui era stata fatta menzione nel preliminare, assieme alla circostanza che l’immobile era gravato da vincoli demaniali – e che la convenuta, immessa nel possesso dell’immobile vi aveva realizzato opere abusive e che, infine, aveva preteso che venissero inserite nel contratto definitivo delle clausole di garanzia per gli oneri pretesi dal Comune nel caso di concessione in sanatoria: risolse il contratto per colpa della P.; la condannò a restituire l’immobile, previa sua riduzione nel pristino stato ed a risarcire i danni costituiti dai frutti civili che l’attrice avrebbe potuto ottenere concedendo in locazione i locali, liquidandoli in L. 37.500.000;

condannò altresì l’attrice a restituire la caparra di L. 35 milioni ed a pagare ulteriori L. 6.110.701 per i miglioramenti.

La Corte di Appello di Palermo, adita dalla P. e, in via incidentale dalla S. (al fine di vedersi riconoscere il diritto di trattenere la caparra e di far condannare controparte al pagamento dell’indennità di occupazione sino al rilascio), con sentenza n. 370/2005: dichiarò risolto il preliminare per mutuo consenso; condannò la P. al pagamento, oltre che dell’indennità di occupazione per L. 37.500.000, anche della somma di L. 500.000 (Euro 258,3) mensili dalla data della sentenza di primo grado sino al definitivo rilascio; respinse l’appello incidentale compensò le spese dei due gradi di giudizio.

La Corte palermitana pervenne a tale conclusione osservando, innanzi tutto, che le parti avevano dato atto nel preliminare dell’abusività del fabbricato e del fatto che sullo stesso gravavano vincoli demaniali, in quanto costruito entro 150 metri dalla battigia, in ispregio dunque della c.d. legge Merli; rilevò poi che le stesse non avevano condizionato la stipula del definitivo al rilascio della concessione in sanatoria – verosimilmente ed erroneamente ritenendo che essa sarebbe stata rilasciata; essendo stata respinta la richiesta di sanatoria in corso di giudizio, sarebbe emersa la leggerezza reciproca nel concludere il preliminare; la Corte territoriale escluse poi che alla P. potesse essere imputato un inadempimento per il fatto che si era rifiutata di addivenire al contratto di vendita sin tanto che non fosse stata accolta la domanda di sanatoria, atteso che il diniego del Comune all’epoca, non era ancora stato emesso; ne dedusse quindi, il giudice dell’appello, che avendo entrambe le parti chiesto la risoluzione del preliminare, questa doveva essere pronunziata per mutuo consenso.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso sia la P., sulla base di sei motivi, sia in via incidentale, la S. in forza di due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi principale ed incidentale sono, de jure, oggetto di trattazione congiunta, non avendo formato oggetto di autonoma proposizione, così che non è necessaria una formale pronunzia di riunione à sensi dell’art. 335 c.p.c..

1 – Con il primo motivo viene denunziata l’errata, insufficiente, contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la Corte di Appello dichiarato, senza che vi fosse stata alcuna manifestazione di volontà delle parti in tal senso, la risoluzione del contratto per mutuo consenso; viene altresì dedotta la violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., per aver, il giudice dell’appello, male valutato le prove ed aver pronunziato ultra petita.

2 – Con il secondo motivo la ricorrente fa valere la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1385, 1476, 1479, 1481, 1483, 1489, 1490, 1491, 1492, 1493 c.c., art. 1494 c.c., e segg.; omessa ed insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ed errata valutazione delle prove ex art. 116 c.p.c.” per non aver accertato e dichiarato la colpa della S. nella stipula del preliminare, dovendosi invece imputare alla medesima la conoscenza – per essere coniugata con un ingegnere, funzionario dell’assessorato Regionale del Territorio ed Ambiente per la Sicilia – che la richiesta sanatoria non avrebbe potuto esser rilasciata;

mette altresì in evidenza che il tenore del preliminare avrebbe ingenerato in essa deducente la convinzione della sanabilità dell’immobile, smentendo la tesi della S. secondo la quale detta menzione avrebbe, in sostanza, introdotto un chiaro e riconoscibile elemento di alea nel preliminare, tesi che poi sarebbe stata anche contraddetta dall’impugnazione proposta dalla medesima promittente venditrice presso il Tar contro il diniego di sanatoria.

3 – Con il terzo motivo la P. deduce la “violazione od errata applicazione degli artt. 1490, 1491, 1492, 1493, 1494 c.c., anche con riferimento all’art. 7 commi 3 e 4 , legge 47/85;

contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5” là dove la Corte distrettuale, pur ritenendola non inadempiente per essersi rifiutata di concludere il preliminare, poi non ne avrebbe tratto le ulteriori conseguenze, relative alla risoluzione del contratto;

sottolinea altresì la ricorrente che la conoscenza dei vincoli ai quali l’immobile era assoggettato riguardava solo quello in favore del demanio marittimo – a cagione del fatto che la terrazza prospiciente il mare occupava parte dell’arenile (terrazza che nella domanda di sanatoria espressamente era indicata come “corpo” da demolire) ma non certo quello paesaggistico e quello attinente la distanza dalla battigia; assume che sarebbe stata in contrasto con l’art. 1493 cod. civ., anche la statuizione in cui la Corte territoriale aveva condannato essa ricorrente a restituire l’immobile “nelle condizioni originarie”, non considerando che, per effetto dell’ordinanza sindacale conseguente al diniego della sanatoria, era stata spossessata della disponibilità del fabbricato e lo stesso era stato demolito a cura del Comune.

4 – Con il quarto motivo, è denunziata la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deducendosi vizio di motivazione nella pronunzia del giudice dell’appello là dove ha respinto la richiesta di rinnovo della consulenza tecnica per la quantificazione dell’indennità di occupazione, sostenendosi che la stessa sarebbe stata necessaria per ribattere le conclusioni, prive di riscontro oggettivo, alle quali era pervenuto il consulente di ufficio, tra l’altro attribuendo all’immobile una vocazione di utilizzo – balneare stagionale estiva – che non avrebbe trovato alcun riscontro in atti, presupponendo contraddittoriamente che detto uso sarebbe stato costante per tutto l’anno.

5 – Con il quinto motivo assume la ricorrente la violazione dell’art. 345 c.p.c., avendo la Corte di appello respinto l’appello incidentale della S., invece di dichiararlo inammissibile quanto meno nella parte in cui con lo stesso aveva introdotto una domanda nuova – esercitando il diritto di recesso in luogo della domanda di risoluzione.

6 – Con il sesto motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione della norma sulla ripartizione dell’onere delle spese.

7 – Con il primo motivo di ricorso incidentale la S. deduce la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1372, 1453 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; art. 360 c.p.c., nn. 3, 5” sindacando la decisione di ritener risolto il contratto per mutuo consenso senza che le parti avessero formulato al riguardo alcuna domanda e ritenendo errata la soluzione del giudice dell’appello che si era basata unicamente sullo oggetto delle domande – entrambe dirette ad ottenere la risoluzione- piuttosto che sulle ragioni per le quali tale richiesta era stata formulata.

8 – Con il secondo motivo di ricorso incidentale viene fatta valere la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1385, 1476 c.c. nonchè del D.Lgs. 28 febbraio 1985, art. 40 e norme correlate;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversa. Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” assumendosi che erroneamente la Corte di Appello avrebbe dato rilievo alla decisione del Comune di non accogliere la richiesta di concessione in sanatoria, pur se la stessa era intervenuta dopo l’inizio della causa, mentre avrebbe dovuto decidere solo in merito all’adempimento delle obbligazioni assunte con il preliminare.

9 – Vanno esaminati congiuntamente il primo motivo sia del ricorso principale sia di quello incidentale 9/a – Giudica la Corte che il giudice dell’appello non ha fatto corretta applicazione del principio secondo il quale “il giudice che, in presenta di reciproche domande di risoluzione fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell’altra, accerti l’inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità dell’esecuzione del contratto per effetto della scelta, ex art. 1453 c.c., comma 2, di entrambi i contraenti…” (così Cass. 10309/2005;

in senso conforme: Cass. 2304/2001; Cass. 15.167/2000; Cass. 4089/2000), in quanto presupposto per pervenire alla qualificazione delle posizioni delle parti – entrambi insistenti per la risoluzione del contratto per responsabilità della controparte – in termini di risoluzione per mutuo consenso (o dissenso) la Corte distrettuale avrebbe dovuto adeguatamente motivare in merito alla positiva esclusione della responsabilità di entrambe le parti del preliminare e non limitarsi a rinvenire dei profili generici di imprudenza per ambedue nell’aver promesso in vendita l’una un immobile oggettivamente ed allo stato della stipula, non commerciabile e nell’aver accettato l’altra, di acquistarlo, conscia dei vizi che lo affettavano , non potendosi apoditticamente affermare che la semplice menzione dei vizi che avrebbero potuto incidere sulla liceità della futura vendita avrebbe consentito di introdurre un elemento di alea nel preliminare stesso e, sotto altro aspetto, che il rifiuto della P. – riconosciuto conforme a buona fede e quindi non integrante fatto di inadempimento – a stipulare il definitivo senza avere garanzie del buon esito della pratica di c.d. condono edilizio, avrebbe potuto essere messo sul medesimo piano rispetto alla pretesa di chi, come la S., intendeva procedere alla stipula a condizioni immutate, pur sapendo che, allo stato, la pratica edilizia non era ancora stata conclusa. In altri termini la ripartizione del rischio di impossibilità di dare esecuzione al contratto preliminare per inidoneità dell’oggetto non era “esterno” alla volontà delle parti trasfusa nel preliminare – tale quindi da non influire sulla legittimità dell’oggetto dello stess – ma costituiva parte integrante dell’assetto di interessi trasfuso nel negozio preliminare e come tale doveva essere valutato dal giudice dell’appello.

9/b – Il non aver motivato congruamente la decisione comporta l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale e dell’analoga censura del ricorso incidentale, restando assorbiti gli altri motivi.

La sentenza va pertanto cassata in parte qua e la causa rinviata per nuovo esame, nei termini messi sopra in evidenza, ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo, che prowederà anche sulle spese del giudizio di legittimità

P.Q.M.

LA CORTE Decidendo sul ricorso principale proposto da P.E. e su quello incidentale di S.M.R., accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso principale e la prima censura del ricorso incidentale, dichiarando assorbiti gli altri; cassa la sentenza in ordine ai motivi accolti e rinvia a diversa sezione della Corte di Appello di Palermo anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2011

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