Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25357 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/11/2020, (ud. 24/06/2020, dep. 11/11/2020), n.25357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2011/13 R.G. proposto da:

F.F., già legale rappresentante della Associazione

Sportiva Dilettantistica Carbonara, rappresentato e difeso, giusta

procura a margine del ricorso, dagli avv.ti Zoppini Giancarlo,

Valenti Marcello, Corvace Giuseppe Russo e Pizzonia Giuseppe, con

domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Zoppini Giancarlo, in

Roma, via della Scrofa, n. 57;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

cui è elettivamente domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 107/36/12 depositata in data 24 maggio 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 giugno

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale,

Dott. De Matteis Stanislao, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Associazione Sportiva Dilettantistica Carbonara impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per l’anno 2006 – con il quale erano stati recuperati a tassazione, ai fini IRES e IRAP, costi non documentati per Euro 101.365,00, sul presupposto della mancanza dei requisiti necessari per usufruire delle agevolazioni fiscali del settore -, deducendo che all’epoca era iscritta alla Federazione FGCI e dal 2009 al Coni e che aveva provveduto a rimborsare spese ai dirigenti.

2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, ritenendo infondate le circostanze esposte a sostegno della declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento, e la decisione, impugnata dalla contribuente, veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale rilevava che l’Associazione era priva dei requisiti sostanziali e formali per avere diritto alle agevolazioni di cui alla L. n. 398 del 2001, artt. 1 e 2 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39. Riteneva altresì che le riprese fiscali effettuate ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 trovassero giustificazione nel fatto che i costi, seppure rappresentati come spese per il pagamento dei calciatori, costituivano in realtà somme distribuite ai dirigenti in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 148; precisava, inoltre, che per la ricostruzione dei ricavi l’Ufficio si era basato sui documenti dell’associazione e che i costi non erano giustificati da idonea documentazione.

3. Ricorre per la cassazione della suddetta sentenza F.F., già legale rappresentante della Associazione Sportiva Dilettantistica Carbonara (sciolta con delibera del Consiglio direttivo), affidandosi a quattro motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 398 del 16 dicembre 1991, artt. 1 e 2, D.P.R. 28 marzo 1986, n. 157, art. 2, comma 2, D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, art. 5, comma 1, e D.L. n. 136 del 28 maggio 200, art. 47 e lamenta che erroneamente i giudici di merito, al fine di ottenere l’accesso al regime agevolato previsto per le associazioni sportive dilettantistiche, avrebbero ritenuto necessaria l’iscrizione al registro del CONI.

Premettendo di avere prodotto in giudizio copiosa documentazione – tra cui lo Statuto dell’associazione, la certificazione rilasciata dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, dalla quale si evinceva che era affiliata alla predetta Federazione sin dal 1983, la delibera del Consiglio direttivo dell’Associazione del 21 giugno 2005, nel corso della quale aveva modificato la denominazione, nonchè la certificazione rilasciata dal Comune di Carbonara al Ticino, dalla quale emergeva l’iscrizione dell’Associazione ai campionati provinciali e regionali organizzati dalla FIGC a partire dalla stagione 1983/1984 – il ricorrente sostiene che il regime fiscale agevolativo in esame trova applicazione nei confronti delle associazioni sportive dilettantistiche se: a) sono affiliate ad una federazione sportiva nazionale o ad un ente di promozione sportiva dilettantistica b) svolgono in concreto attività sportiva dilettantistica c) nel periodo d’imposta precedente non siano derivati dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo superiore a lire 360 milioni; assume, inoltre, con riferimento al profilo afferente al riconoscimento delle associazioni sportive dilettantistiche, che il D.L. n. 136 del 2004, art. 7 prevede che il Consiglio nazionale del CONI è l’organismo incaricato di rilasciare la certificazione circa l’effettiva natura sportiva di un sodalizio sportivo, ma che lo stesso CONI, con delibera del Consiglio nazionale del 11 novembre 2004, n. 1288, ha precisato che “alle Federazioni Sportive nazionali, alle Discipline Associate riconosciute e agli Enti di Promozione Sportiva riconosciuti è attribuita la delega del riconoscimento”, sicchè non è preclusa la facoltà per il CONI di delegare il potere di riconoscimento anche ad altri organismi, come le Federazioni nazionali.

1.1. Il motivo è inammissibile perchè non si confronta con la ratio decidendi.

La decisione impugnata non ha rigettato l’appello per il fatto che la odierna ricorrente non fosse iscritta al CONI, ma ha confermato l’avviso di accertamento argomentando che la contribuente, che chiede l’applicazione del regime agevolativo, non ha dimostrato di essere in possesso dei requisiti formali e sostanziali richiesti dalla L. n. 398 del 1991, artt. 1 e 2 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39.

Deve, in proposito, considerarsi che il riconoscimento delle agevolazioni tributarie previste in favore degli enti di tipo associativo non commerciale dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111 (ora 148) non deriva dall’elemento formale della veste giuridica assunta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica) e dal corretto inserimento in statuto di tutte le clausole riguardanti la via associativa, quanto piuttosto dal requisito di natura sostanziale, ossia dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro e, quindi, da una operatività concreta conforme a quanto indicato nelle clausole dell’atto costitutivo e dello statuto, il cui onere probatorio ricade sulla parte contribuente, e non può ritenersi soddisfatto dal dato del tutto neutrale dell’affiliazione ad una federazione sportiva o al CONI (Cass., sez. 6-5, 30/04/2018, n. 10393; Cass., sez. 6-5, 23/11/2016, n. 23789; Cass., sez. 5, 5/08/2016, n. 16449; Cass., sez. 5, 30/1/2020, n. 2152). Ciò comporta che la iscrizione, sin dal 1983, alla Federazione Italiana Calcio – circostanza documentata e non contestata nel caso de quo – e la assunzione della denominazione di Associazione sportiva dilettantistica non assolvono l’onere probatorio gravante sulla contribuente e non garantiscono, di per sè, la sussistenza dei requisiti per il godimento del regime agevolato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè i giudici di appello, negando lo svolgimento da parte dell’Associazione di una reale ed effettiva attività sportiva dilettantistica, avrebbero pronunciato in palese violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, non essendo mai stata formulata dall’Ufficio una siffatta contestazione.

Il motivo è infondato.

Dalla lettura della motivazione dell’avviso di accertamento – ritrascritto nel ricorso per cassazione a pag. 15 in omaggio al principio di autosufficienza – emerge chiaramente che i verificatori, all’esito dell’esame della documentazione contabile esibita dalla stessa Associazione e sulla base delle dichiarazioni rese dal segretario della stessa, hanno riscontrato che nei bilanci consuntivi relativi ai periodi di imposta oggetto di accertamento sono stati indicati costi per acquisto di giocatori, spese per giocatori e spese di gestione mai sostenuti che si riferivano in realtà a rimborsi ripartiti tra i vari dirigenti della Associazione o corrisposti a vari accompagnatori.

La verifica ha, quindi, fatto emergere circostanze ostative al riconoscimento delle agevolazioni, espressamente richiamate e poste dai giudici di merito a fondamento del proprio convincimento, e ciò impone di escludere che la pronuncia si fondi su una causa petendi diversa da quella che supporta l’accertamento.

Non è, di conseguenza, configurabile il vizio denunciato, atteso che “la violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., sussiste quando il giudice attribuisca, o neghi, ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno virtualmente, nella domanda, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda; tale violazione, invece, non ricorre quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti e non alteri nessuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione” (Cass., sez. 3, 17/01/2018, n. 906; Cass., sez. 3, 3/02/1999, n. 919).

3. Con il terzo motivo il ricorrente censura la decisione gravata per motivazione insufficiente in ordine a fatto controverso e decisivo costituito dall’effettivo svolgimento di una attività sportiva dilettantistica e si duole che, pur avendo offerto a riscontro delle proprie asserzioni numerosi documenti (statuto associativo, certificazione rilasciata dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, Delib. 21 giugno 2005, certificazione rilasciata dal Comune di Carbonara al Ticino), i giudici di appello non hanno esplicitato le ragioni in forza delle quali hanno ritenuto che le circostanze fattuali ed i documenti prodotti non costituissero elementi idonei a dimostrare la sussistenza dei presupposti sostanziali per l’applicazione del regime fiscale de quo.

Anche tale motivo deve essere rigettato.

Come già detto, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che l’esenzione d’imposta prevista dall’art. 111 T.U.I.T.(ora 148) in favore degli enti di tipo associativo non commerciale, come le associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, dipende non dall’elemento di carattere formale della veste giuridica assunta dall’associazione, ma dall’effettiva assenza di una attività con finalità lucrative (Cass., sez. 5, 11/12/2012, n. 22578) e si applica solo a condizione che le associazioni interessate si conformino alle clausole riguardanti la vita associativa, da inserire nell’atto costitutivo o nello statuto (Cass., sez. 5, 11/03/2015, n. 4872; Cass., sez. 5, 5/08/2016, n. 16449; Cass., sez. 6-5, 14/02/2020, n. 3746).

Ne consegue che correttamente il giudice di merito, con motivazione adeguata, seppure sintetica, ha escluso dai suddetti benefici fiscali l’associazione ricorrente, la quale, pur sostenendo di svolgere attività sportiva dilettantistica sin dalla stagione 1983/1984, non ha fornito alcuna prova documentale al riguardo, essendo piuttosto emerso dalla verifica che le somme rappresentate nei bilanci come costi destinati al pagamento dei calciatori fossero state in realtà distribuite ai dirigenti, in violazione del divieto di distribuzione di utili, diretta e indiretta, che deve necessariamente contraddistinguere l’attività non lucrativa.

Con la censura in esame, peraltro, il ricorrente non individua specificamente fatti storici decisivi il cui esame da parte della Commissione regionale sarebbe stato insufficiente, ma tende piuttosto, riproponendo gli stessi elementi fattuali, tenuti presenti dal giudice d’appello, ad una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella operata dai giudici di merito e pertanto il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione o insufficienza della medesima, non può dirsi sussistente.

Per orientamento consolidato di questa Corte (Cass., sez. 5, 13/12/2017, n. 29883), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vigente ratione temporis, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale).

Infatti, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (Cass., sez. 5, 4/08/2017, n. 19547).

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando che la C.T.R. avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello diretto ad ottenere la disapplicazione delle sanzioni irrogate in ragione della sussistenza di cause di non punibilità di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6.

Il motivo è infondato.

Occorre ricordare l’insegnamento delle Sezioni unite (Cass., Sez. U., 2/02/2017, n. 2731), secondo cui: “La mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perchè erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto”.

Tanto premesso, nella specie, la C.T.R. è pervenuta, sia pure implicitamente, all’esatta soluzione della questione di diritto.

Difatti, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto in virtù del quale: “l’incertezza normativa oggettiva che – ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8; D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2,; L. 2 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, – costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass., sez. 5, 28/11/2007, n. 24670; Cass., sez. 5, 16/02/2012, n. 2192; Cass., sez. 5, 26/10/2012, n. 18434; Cass., sez. 6-5, 11/02/2013, n. 3245; Cass., sez. 5, 22/02/2013, n. 4522). In altri termini, “l’incertezza normativa oggettiva tributaria”, che consente di non applicare le sanzioni, “è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito”, quindi in “senso oggettivo” (con conseguente esclusione di “qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali” atteso che “l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti”): “l’incertezza normativa oggettiva”, pertanto, “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria” (Cass., sez. 5, 11/09/2009, n. 19638).

Inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697 c.c.)” (Cass., sez. 5, 7/12/2017, n. 29368).

Nella fattispecie, come riconosciuto dalla Agenzia delle entrate in controricorso (pag. 14), la parte ricorrente in primo grado, nelle conclusioni del ricorso, ha chiesto “In via principale annullare l’avviso di accertamento impugnato; in primo subordine concedere eventualmente i benefici fiscali delle associazioni senza fine di lucro; in secondo subordine annullare o ridurre le sanzioni fiscali”, sicchè tale domanda può essere legittimamente riproposta in sede di legittimità (Cass., sez. 6-5, 14/07/2016, n. 14402); tuttavia, nel caso di specie non sono individuabili specifici e rilevanti contrasti giurisprudenziali in ordine all’interpretazione delle norme applicabili alla fattispecie, nè la parte ricorrente ne fa menzione e, pertanto, la questione è stata correttamente disattesa dalla Commissione tributaria regionale.

5. Da ultimo, con la memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c. il ricorrente, con riguardo alla pretesa sanzionatoria portata dall’avviso di accertamento impugnato, invoca l’applicazione delle modifiche introdotte al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 5, comma 4, e art. 6, comma 6, primo periodo, da parte del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, trattandosi di disciplina ad essa più favorevole.

Come questa Corte ha chiarito, le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158 del 2015 non operano in maniera generalizzata in favor rei, con la conseguenza che la mera affermazione di uno ius superveniens più favorevole non consente di operare sic et simpliciter la trasformazione della sanzione irrogata in sanzione illegale, in assenza di specifica deduzione dell’applicabilità in concreto di una sanzione tributaria inferiore rispetto a quella applicata (Cass., sez. 5, 12/04/2017, n. 9505; Cass., sez. 5, 28/06/2018, n. 17143; Cass., sez. 6-5, 11/11/2019, n. 29046).

Nel caso in esame la parte ricorrente ha ritrascritto in modo puntuale nella memoria uno stralcio dell’avviso di accertamento indicante le violazioni accertate e le sanzioni in concreto irrogate e, richiamando la sanzione più favorevole introdotta dallo ius superveniens, ha anche rideterminato la misura della sanzione in concreto applicabile che risulta inferiore a quella irrogata.

Deve, quindi, accogliersi l’istanza formulata in memoria, di applicazione, con riferimento all’irrogazione delle sanzioni di cui all’avviso di accertamento impugnato, del trattamento più favorevole di cui al D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, norma sopravvenuta alla pronuncia in esame. Infatti, l’applicabilità in pendenza del presente giudizio, è consentita dal citato decreto, art. 32, comma 1, come modificato dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 133, in conformità all’indirizzo di questa Corte, secondo cui, in applicazione del principio del favor rei, trova applicazione il trattamento più favorevole assicurato dallo ius superveniens, a condizione che, come nella fattispecie in esame, vi sia un giudizio ancora in corso ed il provvedimento impugnato non sia quindi divenuto definitivo (Cass., sez. 6-5, 27/06/2017, n. 15978; Cass., sez. 5, 21/12/2016, n. 26479; Cass., sez. 5, 9/08/2016, n. 16679; Cass., sez. 5, 24/07/2013, n. 17972; Cass., sez. 5, 31/03/2008, n. 8243).

Ne consegue che, in accoglimento della domanda formulata con la memoria volta a chiedere l’applicazione dello ius superveniens di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, adeguatamente formulata, la sentenza, con riguardo alla determinazione del quantum delle sanzioni irrogate, va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, ai fini della concreta rideterminazione delle sanzioni, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

pronunciando sul ricorso, rigetta i motivi del ricorso e, accogliendo l’istanza di applicazione dello ius superveniens con riguardo alle sanzioni, cassa la sentenza impugnata limitatamente alle sanzioni e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, per la determinazione delle sanzioni e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

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