Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25351 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/10/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 09/10/2019), n.25351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27883-2016 proposto da:

C. EDITORE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. DEPRETIS 86,

presso lo studio degli avvocati PIETRO CAVASOLA e FABRIZIO SPAGNOLO,

che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

CI.PI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

35, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI NICOLA D’AMATI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIANO OLTOLINA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 314/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 30/05/2016 r.g.n. 881/2014.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Bologna, con sentenza 12.3.14, ha accertato (stante la sussistenza di due licenziamenti intimati al Ci. poi dichiarati illegittimi; sanzioni disciplinari immotivate e demansionamento) la sussistenza di un comportamento mobizzante ed in contrasto con l’art. 2087 c.c. posto in essere dalla s.r.l. C. Editore in danno del dipendente Ci.Pi., condannando la società al risarcimento del danno, quantificato in Euro 141.832 per danno non patrimoniale ed in Euro 56.779,12 a titolo di danno patrimoniale, oltre accessori di legge.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società C.; resisteva il Ci., proponendo appello incidentale.

Con sentenza depositata il 30.5.16, la Corte d’appello di Bologna riteneva infondata l’eccezione di prescrizione proposta dalla società, respingeva l’appello principale ed accoglieva parzialmente l’incidentale, condannando la società al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 14.930 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dal Ci., oltre al ricalcolo del di lui monte ferie con coefficiente 1 anzichè 1,2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società C., affidato a sei motivi, cui resiste il Ci. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697,2934 e 2947 c.c. circa l’esclusione dell’intervenuta prescrizione estintiva o presuntiva dei diritti del Ci., evidenziando che la prescrizione decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, sicchè nessun valore potevano a tal fine avere gli atti-lettere interruttive del 1999, 2000, 2005 e 2010, essendo il danno in tesi consolidatosi nel 1988 e risalente alla data del primo licenziamento del 24.9.89.

Il motivo è inammissibile, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 5 in quanto diretto ad una diversa ricostruzione e valutazione dei fatti da parte del giudice di merito che ha evidenziato come tra le varie lettere interruttive della prescrizione non sia mai decorso un periodo superiore al decennio (trattandosi di responsabilità contrattuale) rispetto alla verificazione del danno.

2.- Con secondo motivo la società denuncia la nullità della sentenza impugnata per omesso accoglimento della richiesta di rinnovo della c.t.u.

Anche tale motivo è inammissibile sia per non comportare il mancato rinnovo della c.t.u. alcuna nullità della sentenza, sia per essere, di contro, il richiesto rinnovo rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito (ex aliis, Cass. n. 22799/17).

3.- Con terzo motivo la società denuncia la violazione dell’art. 1227 c.c. dolendosi della quantificazione del danno non patrimoniale effettuata dalla sentenza impugnata.

Anche tale motivo è inammissibile per contenere solo alcune generiche considerazioni sui precetti di cui all’art. 1227 c.c., commi 1 e 2 solo inammissibilmente accennando ad un comportamento ostruzionistico del Ci., non meglio specificato.

4.-Con quarto motivo la società denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. evidenziando che dall’istruttoria espletata era emersa una posizione ostruzionistica e di sostanziale rifiuto del Ci. a rendere la prestazione.

Anche tale motivo è inammissibile per sottoporre a questa Corte una rivisitazione delle risultanze istruttorie, comprese le testimonianze escusse, in contrasto col novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5.- Con quinto motivo la società denuncia la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. Lamenta che la ulteriore somma riconosciuta al C. derivava da una erronea ulteriore personalizzazione del danno, rispetto a quella operata in primo grado, comportando così una erronea duplicazione delle poste di danno.

Anche tale motivo è inammissibile per non avere la ricorrente adeguatamente specificato le circostanze poste a fondamento della censura, ed in particolare le ragioni poste (peraltro in modo congruo e logico) dalla Corte di merito a base della ulteriore personalizzazione del danno, operazione legittima e dovuta in caso di richiesta e provata, come ritenuto nella specie dai giudici di appello, domanda di adeguamento del danno liquidato dal primo giudice in considerazione della particolare gravità dei comportamento illecito tenuto dalla datrice di lavoro (Cass. n. 20895/15; Cass. ord. n. 27482/18, etc.).

6.- Con sesto motivo la società denuncia la violazione degli artt. 7 e 23 del c.c.n.l.g., anche ex artt. 1362 c.c. e segg., in relazione alle modalità di computo delle ferie operato dalla sentenza impugnata, evidenziando che a seguito dell’introduzione della cd. settimana corta (in base al c.c.n.l.g. del 1969) i giorni lavorati nella settimana passavano da sei a cinque (sicchè il sesto giorno restava un giorno non lavorato).

Il motivo presenta profili di inammissibilità non avendo la ricorrente, limitatasi a riprodurre il testo degli artt. 7, 23 (e 19), chiarito per quale ragione la sentenza impugnata avrebbe violato gli invocati principi di ermeneutica contrattuale; per il resto risulta infondato, avendo la pronuncia ricorsa correttamente considerato che in base al c.c.n.l.g. i giorni di ferie sono giorni teoricamente lavorativi mentre il sesto giorno è considerato giorno non lavorativo ma di riposo retribuito, sicchè non era evidentemente possibile equiparare tale giorno ad un giorno lavorativo, con esclusione di esso dal computo del periodo feriale, come del resto affermato da questa Corte con sent. n. 2311/74.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese dei presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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