Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2535 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 31/01/2017, (ud. 30/11/2016, dep.31/01/2017),  n. 2535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22115/2013 proposto da:

P.R., (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAllA

CAVOUR, presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIANCARLO PIERPAOLO PEZZUTI,

ITALO FARUOLO;

– ricorrente –

contro

R.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C.

PASSAGLIA 14, presso lo studio dell’avvocato SARA MERLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO CORSO;

– controricorrente –

e contro

C.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1688/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato ITALO FARUOLO, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’integrazione del

contraddittorio nei confronti degli altri convenuti originari.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

P.R., quale proprietario di un appartamentino – in atti specificamente individuato – alla (OMISSIS), conveniva in giudizio nel 2001 innanzi al Tribunale di Napoli – Sezione Distaccata di Marano i proprietari delle altre unità immobiliari interessate al comune cortile interno del fabbricato presso cui insisteva l’immobile dell’attore.

Quest’ultimo, deducendo che gli veniva impedito di fare uso del detto cortile, domandava l’accertamento della natura condominiale del detto cortile, l’emissione di ordine di astensione dall’impedimento all’uso del medesimo cortile condominiale e del risarcimento del danno asseritamente patito. Le convenute parti proprietarie delle altre unità immobiliari si costituivano separatamente aderendo (la D.M., il B. e la P.) alla domanda dell’attore ovvero chiedendone (il R. ed il C.) il rigetto.

Quest’ ultimi due convenuti, asserendo – in particolare – che il viale di accesso al fabbricato era destinato solo a transito sì da non consentire la sosta dell’auto all’attore, chiedevano, in via riconvenzionale, di sentire denegare all’attore stesso la sosta con condanna del medesimo al risarcimento dei danni anche ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

L’adito Tribunale, con sentenza n. 259/2010, accoglieva parzialmente la domanda attorea e dichiarava la condominialità sia del viale di accesso che del cortile del fabbricato di cui al civico (OMISSIS), ordinando l’astensione da impedimenti all’uso del cortile a carico dei convenuti R. e C., condannati alla refusione delle spese previo rigetto della loro svolta domanda riconvenzionale.

Il R. ed il C. interponevano appello per la riforma della suddetta decisione del Tribunale di prima istanza.

Il gravame era resistito dal P..

L’adita Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 1688/2013, in accogliMento del gravame ed in riforma della prima decisiOne, rigettava la domanda proposta dal P. e, accogliendo, la svolta domanda riconvenzionale ordinava al P. di astenersi dall’utilizzazione del cortile interno e dal parcheggio, non essendo egli titolare di proprietà comune ed essendo la modalità di uso costituita dal parcheggio medesimo incompatibile con il pari godimento degli altri condomini.

La Corte territoriale confermava nel resto la prima decisione e compensava integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado del giudizio.

Per la cassazione della succitata decisione della Corte distrettuale riscorre il P. con ricorso fondato su quattro ordini di motivi e resistito con controricorso dal R..

Ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il R..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- La richiesta di integrazione del contraddittorio, formulata dal P.G., va disattesa.

In ossequio al principio della ragionevole durata del processo ed al fine di evitare inutili incombenti defatiga tori, la Corte ritiene – anche in considerazione del carattere della decisione – di poter fare a1neno della pur richiesta integrazione.

2.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti.

Con il motivo qui scrutinato si deduce la carenza motivazionale in relazione all’omesso compiuto esame degli atti di trasferimento delle porzioni immobiliari delle parti del 1923 e 1929.

Tanto avrebbe – in sostanza – comportato, secondo la prospettazione di parte ricorrente – il mancato accertamento del fatto che – immobile acquistato dal P. aveva un prolungamento su “parte comunque comune” del cortile per cui è causa.

3.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..

In particolare viene dedotta una errata interpretazione dell’ atto di acquisto del D.M. (dante causa del P.), che aveva acquista l’unità immobiliare ed anche – secondo la prospettazione di cui in ricorso – una quota del suddetto cortile. Vi sarebbe stato, a dire di parte ricorrente una errata restrittiva interpretazione dell’atto con riferimento dell’impugnata sentenza solo all’acquisto del comune “casotto per suini”.

4.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta promiscuamente carenza motivazionale (omesso esame di un fatto) e violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 13662 e 1363 c.c.. Con motivo, nella sostanza, si ripropone censura relativa alla errata interpretazione dei titoli di proprietà.

5.- I primi tre motivi, innanzi riportati in sintesi, possono essere trattati congiuntamente attesa la loro intima connessione e continuità e contiguità argomentativa e logica.

Alla detta congiunta trattazione deve premettersi che nell’ipotesi trova applicazione – ratione temporis – l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Secondo tale norma è inammissibile il motivo di ricorso per l’omesso esame di elementi istruttori ove il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque considerato dal Giudice. Infatti la riformulazione, innanzi citata, dell’art. 360 c.p.c, deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici, dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata e prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta della motivazione anche sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della “sufficienza” della motivazione.

Tanto alla stregua dei condivisi principi già affermato da questa Corte (Cass. civ., S.U. 8053/2014 e Cass. n. 14324/2015).

Orbene con i tre motivi qui scrutinati si censura, nella sostanza, l’interpretazione dei titoli di acquisto sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo quando, invece, l’omissione su tale fatto non vi è stata.

L’impugnata sentenza ha, difatti, proceduto all’esame del fatto decisivo ovvero dei titoli di acquisto procedendo ad una interpretazione che ha precipuamente ad oggetto un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, laddove – nella fattispecie – i motivi si risolvono tutti nella perorazione di una difforme, diversa e soggettiva interpretazione postulata dal ricorrente.

I tre motivi esaminati non possono, perciò, essere accolti.

6.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1159 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Col motivo si deduce la violazione della suddetta norma in ordine alla vantata esistenza dei presupposti di legge per affermare l’intervenuta usucapione del diritto pro-quota del ricorrente sul cortile pretesamente comune.

Il motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni. Innanzitutto va rilevato che la domanda di declaratoria di intervenuta usucapione ex art. 1159 c.c., non risulta proposta – come dovevasi – nel giudizio di merito e, quindi, deve ritenersi domanda nuova comportante la conseguente inammissibilità della relativa questione di cui al motivo (Cass. n. 6238/2010). Peraltro sarebbe stato onere (comunque disatteso) del ricorrente allegare e documentare di aver tempestivamente e ritualmente svolto la detta domanda nel giudizio di merito.

In secondo luogo il motivo persegue in modo inammissibile una rivalutazione del ragionamento decisorio del Giudice del merito. Al riguardo e conclusivamente va riaffermato il principio per cui “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga una totale obliterazione di elementi” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148).

Nè, d’altra parte, “il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, può equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 no novembre 2013, n. 25608).

Il motivo è. dunque, inammissibile.

7.- Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

8.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello tesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento; da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello tesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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