Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2535 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 04/02/2020), n.2535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11624-2018 proposto da:

O.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO FAA’

DI BRUNO 15, presso lo studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- O.O., di provenienza nigeriana (Edo State), ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Roma avverso la decisione delle Commissione territoriale di questa città, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (diritto di rifugio; protezione umanitaria), come di quello della protezione umanitaria.

Con decreto depositato in data 29 marzo 2018, il Tribunale ha rigettato il ricorso.

2.- Ha rilevato, in particolare, il decreto che la “vicenda narrata, quando anche ritenuta credibile, non può essere ricondotta ad alcuno dei motivi di persecuzione contemplati dalla normativa” del D.Lgs. n. 257 del 2007, “essendo riferita a un contesto di natura privata, senza che il ricorrente abbia saputo riferire le ragioni per le quali non avrebbe invocato protezione presso le autorità, una volta riuscito a fuggire”; che, stando alle notizie riferite dal report EASO del giugno 2017, l’Edo State non può essere considerato zona territoriale che presenta le caratteristiche di cui all’art. 14, lett. c), n. 251 del 2007; che “non risulta segnalata da parte del richiedente, nè emerge altrimenti, alcune specifica ragione di vulnerabilità individuale, che suggerisca il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

3.- Avverso questo provvedimento ricorre Osarobo Osaretin, proponendo sette motivi di cassazione.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese nel presente grado del giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Il ricorrente censura la decisione del Tribunale romano: (i) col primo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere il Tribunale omesso di valutare le informazioni circa la situazione del Paese, pur ammettendo che, nonostante le elezioni, la situazione resta critica sotto il rispetto dei diritti umani”; (ii) col secondo motivo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 17 e art. 2, lett. g), in relazione al “grave rischio” che correrebbe il ricorrente in caso di rientro nel paese di origine”, rischio la cui sussistenza si assume esclusa dal decreto impugnato; (iii) per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 2, lett. f), per non avere il Tribunale considerato, in relazione al tema della protezione sussidiaria, la sussistenza di “motivi ostativi” al rientro del richiedente nel Paese di origine; (iv) col quarto motivo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 15, commi 1 e 2, e artt. 16 e 17, per non avere il Tribunale rilevato la “insussistenza delle cause di cessazione dello status di protezione sussidiaria”; (v) per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere il Tribunale riconosciuto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria; (vi) per violazione dell’art. 3 Cost., non essendo stato operato il doveroso bilanciamento tra gli “interessi privati di tutela del diritti e la tutela del bene giuridico della sicurezza pubblica”; (vii) per omesso esame di fatto decisivo, per avere il Tribunale “usato”, al fine di escludere la sussistenza della protezione umanitaria, un “argomento… non logicamente coerente”.

5.- Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.

I primi tre motivi intendono sottoporre all’esame di questa Corte l’accertamento delle condizioni materiali occorrenti per il concreto riconoscimento della protezione internazionale: in punto di situazione del Paese di origine (primo motivo); di sussistenza di un rischio per il ricorrente nel caso di rientro (secondo motivo) e di motivi ostativi al medesimo (terzo motivo). Si tratta di accertamenti non consentanei al giudizio di cassazione, nè comunque consentiti.

Del pari risultano inammissibili il quarto motivo e il sesto motivo. Che rimangono del tutto generici: al punto di non venire a manifestare una vera e propria censura alla decisione del Tribunale romano.

Non diversamente è dire per il quinto motivo. Che non indica alcuna situazione di vulnerabilità che sia specifica alla persona del richiedente.

Il settimo motivo non si confronta con il vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, Che non ammette più il ricorso per vizio di motivazione (com’era nel sistema anteriore alla riforma del 2012), ma unicamente quello per vizio di omesso esame di fatto storico, nel concreto decisivo per le sorti del giudizio.

6.- Posta la mancata costituzione del Ministero dell’Interno, non vi è luogo per provvedere alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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