Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25348 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/10/2019, (ud. 07/02/2019, dep. 09/10/2019), n.25348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7320-2016 proposto da:

D.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CLAUDIO

MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA AMORETTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati RAFFAELE TORTORIELLO, ADRIANO

RUOCCO;

– ricorrente –

contro

F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 119, presso lo studio dell’avvocato MARIA GRAZIA BATTAGLIA,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIANLUCA MILITERNI, LUCIO

MILITERNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1090/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/03/2015 R.G.N. 7673/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso del 15 febbraio 2008 D.P.M. si rivolse al giudice del lavoro di Napoli, facendo presente di essere stato assunto dal convenuto F.P. dal gennaio del 2004 sino all’anno 2007 come operaio adibito a mansioni di tagliatore e montatore di vetri, per cui tuttavia non era stato regolarmente inquadrato e retribuito. L’attore dedusse, altresì, di aver subito un infortunio sul lavoro in data 24 luglio 2004, per cui aveva provveduto anche alla relativa denuncia (però soltanto) nell’ottobre dell’anno 2006. Chiese, pertanto, l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con il convenuto e la condanna di costui al pagamento delle relative differenze retributive, nonchè la declaratoria di nullità/inefficacia del licenziamento verbalmente intimatogli il 28 luglio 2007, con le conseguenti statuizioni patrimoniali.

Il giudice adito con sentenza del 12 gennaio 2010 accertò il rapporto di lavoro subordinato, tra le parti, da gennaio 2004 al 28 luglio 2007 e l’inefficacia del licenziamento intimato oralmente, condannando il F. risarcimento del danno in ragione delle retribuzioni maturate dal 16 aprile 2008 sino alla data della pronuncia, oltre al pagamento di Euro 4020 a titolo di retribuzione per ferie e 13a.

Il F. appellò l’anzidetta pronuncia con ricorso del 15 luglio 2010, impugnazione quindi accolta dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 1090 in data 4 febbraio – 16 marzo 2015, con conseguente riforma della gravata decisione mediante rigetto delle domande di parte attrice; compensate tra le parti le spese relative al doppio grado del giudizio.

Secondo la Corte partenopea, l’attore non aveva offerto convincente ed adeguata prova della sua prospettazione, mancando un apprezzabile riscontro del fatto che esso ricorrente avesse prestato attività di tipo subordinato alle dipendenze del convenuto per tutto il periodo dedotto in giudizio. Invece, appariva veritiero l’assunto dell’appellante, secondo cui il D.P. aveva frequentato il suo esercizio in modo saltuario ed incostante, quando aveva bisogno di effettuare i lavori che richiedevano l’impiego di appositi macchinari ed al fine di soddisfare la propria clientela, senza l’osservanza di un orario prestabilito. Compatibile con tale ricostruzione era anche l’infortunio subito dall’appellato il 24 luglio 2004 presso una cliente, mentre montava un vetro, trattandosi di attività che ben poteva svolgere a titolo personale e nell’ambito della propria attività.

La succitata pronuncia di appello è stata, quindi, impugnata con ricorso per cassazione da D.P.M., come da relativo atto del 16 marzo 2016, affidato ad un solo articolato motivo, cui ha resistito F.P. mediante controricorso del 22 aprile 2016.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso il D.P. ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 codice di rito, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Come si evince a pagina 4 del ricorso, il D.P. assume che nel costituirsi in giudizio per resistere all’appello avversario aveva chiesto il rigetto dell’impugnazione sulla scorta della ulteriore documentazione di nuova formazione: l’INAIL in data 26 novembre 2010 aveva qualificato come infortunio sul lavoro l’evento dannoso di cui il lavoratore era stato vittima dell’anno 2004, giusta il rapporto protocollato con il n. 507850137; rinvio a giudizio nel procedimento penale – n. 18973-08 r.g. PM / n. 17917-09 r. g. Trib. – dei titolari della ditta individuale F. in ragione delle mendaci dichiarazioni rese agli ispettori in occasione del suddetto infortunio.

La Corte d’Appello, secondo il ricorrente, aveva omesso di considerare – e perciò di conferirvi adeguata rilevanza – circostanze e documenti necessari ai fini di una corretta e più aderente valutazione del materiale probatorio. In particolare, aveva errato laddove non aveva tratto le giuste conseguenze dalle mendaci dichiarazioni rese dalla ditta F. e dai testi di parte resistente, che avevano disconosciuto la sussistenza dell’infortunio sul lavoro, infortunio che aveva invece effettivamente colpito in costanza di rapporto il dipendente D.P..

In particolare, la Corte territoriale non aveva preso nella dovuta considerazione che l’INAIL con nota di protocollo n. (OMISSIS) aveva definito l’evento dannoso del (OMISSIS) come infortunio sul lavoro, e che detto infortunio era occorso ad esso ricorrente mentre si trovava alle dipendenze della ditta F., tanto emergendo dalle dichiarazioni rese nel corso del suddetto procedimento penale, definito con sentenza del tribunale di Napoli sesta sezione penale, laddove rilevavano le dichiarazioni rese da C.T. e da M.S..

Inoltre, l’attendibilità delle dichiarazioni fornite dai testi di parte resistente andava valutata in relazione all’assunto della stessa convenuta. Infatti, mentre la ditta F. aveva dichiarato che il D.P. sovente aveva lavorato in officina utilizzando, a suo comodo, le attrezzature graziosamente messe a disposizione dalla stessa ditta, invece i due testi, pur avendo asserito di essere stati assidui frequentatori della vetreria, avevano riferito di non aver mai visto lavorare d.P., nè saputo della natura dell’incidente. Non vi era dubbio che le deposizioni avrebbero dovuto essere più circostanziate, con particolare riferimento al contenuto della loro presenza in azienda. Ciò che dunque andava censurato non era il peso probatorio di alcune testimonianze rispetto ad altre, quanto piuttosto il fatto che la Corte territoriale aveva dato preponderante rilevanza a dichiarazioni contrarie e difformi rispetto all’accertamento dell’INAIL, nonchè alla sentenza penale passata in giudicato e alla contraddittorietà delle dichiarazioni rese dai testi indicati da parte convenuta rispetto alle allegazioni provenienti dalla stessa ditta F.. “Come è infatti possibile che assidui frequentatori della ditta individuale non abbiano mai visto il sig. D.P. utilizzare a titolo grazioso i macchinari del F. resta un mistero ed un vizio del processo logico che ha indotto la Corte a ritenere attendibili le dichiarazioni dei testi Mu. e Fe.”. E’ stata richiamata in proposito la pronuncia di Cass. lav. 13054/14 per sostenere la censurabilità, nella specie, della obliterazione di elementi fattuali che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione, essendo evincibile una carenza del procedimento logico che aveva indotto il giudice (d’appello) nella valutazione degli elementi acquisibili.

Tanto premesso, le anzidette censure vanno disattese in forza delle seguenti considerazioni.

In primo luogo, del tutto inconferente si appalesa la pretesa violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., poichè detta norma disciplina esclusivamente l’onere probatorio, nella specie indubbiamente a carico dell’attore, cioè del D.P., che quindi era tenuto ad allegare e dimostrare utili circostanze, rilevanti ex art. 2094 c.c., idonee a dimostrare la natura subordinata dell’asserito rapporto di lavoro alle dipendenze del convenuto F., non risultando per altro verso in atti elementi da cui desumere una inversione dell’onere probatorio, ai sensi dello stesso art. 2697, comma 2 nè ammissioni di sorta per mancata contestazione da parte convenuta di fatti costituitivi primari dei diritti azionati (cfr. Cass. lav. n. 17966 del 13/09/2016, secondo cui, appunto, il principio di non contestazione di cui agli art. 115 c.p.c. e art. 416 c.p.c., comma 2, riguarda solo i fatti c.d. primari, costitutivi, modificativi od estintivi del diritto azionato, e non si applica alle mere difese). Inoltre, come precisato da Cass. Sez. 6 – 2, con l’ordinanza n. 22461 del 4/11/2015, l’onere di contestazione specifica dei fatti posti dall’attore a fondamento della domanda opera unicamente per il convenuto costituito e nell’ambito del solo giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definiscono irretrattabilmente “thema decidendum” e “thema probandum”, sicchè non rileva a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti in appello. D’altro canto (v. Cass. Sez. 6 – 3, ordinanza n. 12840 del 22/05/2017), il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto, allegazioni però dovute a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, ma assolutamente carenti nella fattispecie qui in esame.

Parimenti non autosufficienti appaiono le enunciazioni del ricorrente in ordine a fatti asseritamente non esaminati dalla Corte di merito, non avendo la parte riprodotto la propria memoria difensiva in appello in relazione alla nota Inail del (OMISSIS), che avrebbe riconosciuto l’infortunio sul lavoro risalente al (OMISSIS), anch’essa nemmeno trascritta, nonchè gli atti del menzionato procedimento penale a carico dei titolari della ditta F. per le non meglio indicate mendaci dichiarazioni rese agli ispettori in occasione dell’infortunio, così sintetizzato il processo definito con sentenza del Tribunale di Napoli sesta sezione penale (della quale non sono stati riportati nè il numero e nemmeno la data, di cui tuttavia si assume, sempre in modo alquanto generico, il passaggio in cosa giudicata). In effetti, alle pagine 7 e 8 sono state soltanto trascritte in parte alcune dichiarazioni testimoniali, estratte dall’anzidetta non meglio indicata sentenza penale, di cui si ignora finanche la decisione finale, mancando ogni cenno al suo dispositivo. Da tanto deriva l’assoluta inammissibilità della censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla quale per giunta non è stata nemmeno dedotta l’indispensabile sicura decisività (v. pag. 9 del ricorso, laddove soltanto in via ipotetica si prospetta indirettamente la possibilità di altra soluzione: “…viene censurata l’obliterazione di elementi fattuali che potrebbero condurre ad una diversa decisione…”). Senza dire, inoltre, che nessun preciso fatto storico è stato specificamente indicato da parte ricorrente a supporto del preteso omesso esame.

L’anzidetto difetto di autosufficienza, inoltre, rileva a maggior ragione nella specie, non avendo la sentenza impugnata accennato minimamente alle risultanze del procedimento Inail e di quello penale, sicchè, anche per il divieto di esaminare in sede di legittimità circostanze di fatto non ritualmente dedotte nel corso del aiudizio di aopeilo e perciò nuove, parte ricorrente era tenuta alla rigorosa osservanza degli oneri di allegazione e di precisazione imposti dall’art. 366 c.p.c..

Per giunta nel caso qui in esame il ricorso ha totalmente omesso ogni riferimento alla documentazione da depositarsi ex art. 369 c.p.c., mancando perfino di apposito indice degli atti prodotti.

Restano, pertanto, nei sensi anzidetti assorbite tutte le altre varie doglianze con le quali, poi, in effetti inammissibilmente, si rimette in discussione l’accertamento dei fatti, con relative valutazioni, operato dalla Corte di merito (cfr. lo stesso principio di diritto affermato dalla sentenza n. 13054 del 10/06/2014, richiamata dal ricorrente, così massimato (rv. 631274 – 01) e per cui veniva rigettato il ricorso dell’istante funzionario della Banca d’Italia: in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice. Conforme Cass. 1554 del 2004 V. altresì Cass. lav. n. 21412 del 05/10/2006, secondo cui la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. precedenti. Conforme n. 5231 del 2001).

Atteso l’esito negativo dell’impugnazione qui proposta, la parte rimasta soccombente va condannata alle relative spese, risultando peraltro anche i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore di parte controricorrente in complessivi Euro =4000,00= per compensi professionali ed in Euro =200,00= per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, in relazione a questo giudizio di legittimità, con attribuzione agli avv.ti Lucio e Gianluca Militerni, procuratori anticipatari costituiti per il controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuti per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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