Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25347 del 12/12/2016

Cassazione civile, sez. II, 12/12/2016, (ud. 21/09/2016, dep.12/12/2016),  n. 25347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21558-2011 proposto da:

ASSOCIAZIONE ARCICONFRATERNITA MARIA SS DELLE GRAZIE – VULGO

SANTELLA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCULLO

3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ZAMPONE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE CAPUA, elettivamente domiciliato in ROMA, V.APPIANO 8, presso

lo studio dell’avvocato ALESSANDRO CASTELLANA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALDO CANTELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3290/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato ZAMPONE Alessandro, difensore della ricorrente che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CATORINO Gianfranco, con delega depositata in

udienza dell’Avvocato CANTELLI Aldo, difensore del resistente che ha

chiesto l’inammissibilità o, in subordine il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per l’inammissibilità o per il rigetto

del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Nel 1994 il Sodalizio S. Maria delle Grazie “Vulgo Santella” (oggi Associazione Arciconfraternita Maria SS delle Grazie – Vulgo Santella) convenne in giudizio il Comune di Capua, che era succeduto nel 1979 ex lege all’Ente Comunale di Assistenza di Capua, a sua volta succeduto alla Chiesa S. Maria del Suffragio “Vulgo Purgatorio”, chiedendo che fosse accertato l’inadempimento del convenuto Comune agli oneri di cui al testamento del notaio M.G., pubblicato il 3 dicembre 1757, dichiarata la decadenza del medesimo Comune dai benefici previsti nella disposizione testamentaria e disposto il trasferimento a favore di essa attrice del fondo rustico sito in agro di Capua, località (OMISSIS), in esecuzione della previsione testamentaria.

Il Comune chiese il rigetto della domanda, contestando il dedotto inadempimento e la mancanza di prova dell’asserito adempimento degli oneri testamentari da parte dell’attrice.

Il Tribunale di sa. Maria Capua Vetere rigettò la domanda.

2. – La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 7 ottobre 2010, ha confermato la decisione, ritenendo che il comportamento del convenuto Comune, come emerso dall’istruttoria, non integrasse gli estremi del grave inadempimento causa di risoluzione.

3. – Per la cassazione della sentenza l’Associazione Confraternita Maria SS. delle Grazie Vulgo Santella ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Capua.

In data 27 giugno 2016, la ricorrente ha depositato documenti e ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Preliminarmente, si rileva l’infondatezza della questione posta dal controricorrente Comune di Capua, secondo cui la trasformazione del Sodalizio S. Maria delle Grazie “Vulgo Santella”, parte attrice originaria, nella Associazione Arciconfraternita Maria SS. delle Grazie Vulgo Santella, sarebbe avvenuta prima della proposizione del giudizio di appello, da cui l’inammissibilità del giudizio di gravame. Dalla documentazione depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. emerge che il provvedimento di trasformazione risale al 2008 (Decreto Dirigenziale n. 276 del 2008), e a tale data il giudizio di appello era stato incardinato da tempo.

1.2. – nel merito, il ricorso è infondato.

1.3. – Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 648, 1453, 1455 c.c. e art. 1362 c.c. e ss., nonchè vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta non essenzialità di tutti gli oneri imposti dal testatore. La ricorrente, che ha trascritto la disposizione testamentaria e il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, contesta che il tenore della disposizione testamentaria non lascerebbe spazio ad apprezzamenti sulla graduazione delle imposizioni e, di riflesso, sulla gravità dell’inadempimento, e che pertanto era erroneo il ragionamento della Corte d’appello che, dopo avere rilevato che non vi era prova “dell’integrale, puntuale esatto adempimento”, aveva concluso che l’inadempimento non era tale da giustificare la risoluzione ai sensi dell’art. 1455 c.c..

2. – Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 648, 1455 e 1362 c.c., nonchè vizio di motivazione in riferimento alla mancata valutazione, anche in rapporto alla chiara volontà del testatore, della circostanza che il Comune di Capua non aveva mai reso il conto delle rendite, nè versato danaro per l’abbellimento della chiesa della Madonna del Suffragio, e che aveva destinato somme irrisorie (250 mila lire all’anno) alla celebrazione delle messe in suffragio.

3. – Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 648, 1455 e 1456 c.c., dell’art. 1362 c.c. e ss., artt. 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione sulla ritenuta congruità della somma di Lire 250 mila annue versata dal Comune, nel periodo 1988-1993 per le messe in suffragio. Ribadito che il testamento M. non lasciava spazio ad apprezzamenti, e che tutte le rendite, detratte le spese, dovevano essere devolute per la celebrazione di messe in suffragio e per l’abbellimento della chiesa, la ricorrente lamenta che, in ogni caso, il giudizio di congruità (della somma di Lire 250 mila all’anno per le messe in suffragio) non avrebbe neppure potuto essere formulato in assenza di prova – di cui era onerato il Comune – sull’entità delle rendite annue al netto delle spese.

3.1. – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente perchè prospettano questioni connesse, sono infondate, in quanto il giudizio espresso dalla Corte d’appello, con motivazione esaustiva e congrua, è conforme a diritto.

3.2. – La Corte d’appello ha fatto applicazione dei principi in materia di inadempimento, nel solco della giurisprudenza di questa Corte di legittimità la quale afferma, con orientamento costante e consolidato, che alla risoluzione della disposizione testamentaria domandata dall’erede nei confronti del legatario o del coerede inadempiente al modus apposto dal testatore – espressamente qualificata in termini di risoluzione per inadempimento dall’art. 648 c.c. -, devono ritenersi applicabili le norme che disciplinano il rimedio previsto, in via generale, dall’art. 1453 c.c. e segg. per la mancata esecuzione di obbligazioni, con particolare riferimento sia all’importanza, sia all’imputabilità del fatto oggettivo del mancato adempimento (ex plurimis, Cass., sez. 2, sent. n. 2569 del 2003; Cass., sez. 2, sent. n. 5124 del 1997).

3.3. – Quanto alla ricognizione della fattispecie concreta, la Corte d’appello ha prima ritenuto che il contenuto dell’onere testamentario perpetuo consistesse essenzialmente nel provvedere, a mezzo delle rendite al netto delle spese di conservazione e manutenzione dei beni ereditari, alla celebrazione di messe in suffragio suo e dei familiari premorti – con obbligo di rendicontazione reciproca tra i due soggetti onerati -, mentre risultava residuale l’ulteriore imposizione, di contribuire all’abbellimento delle Chiese beneficiarie in caso di esubero delle rendite, ed ha infine escluso il grave inadempimento del Comune, ritenendo provata dal Comune medesimo la destinazione di una somma che, seppure inferiore a quella versata per identico fine dall’altro soggetto beneficiato, cioè dalla ricorrente, non fosse irrisoria.

3.4. – Nel quadro così delineato, la ricorrente contesta: a) l’operazione ermeneutica svolta dalla Corte d’appello, sull’assunto che la scheda testamentaria non consentisse alcuna differenziazione tra gli oneri imposti; b) la valutazione di congruità dell’importo versato dal Comune, in astratto e in concreto.

Quanto al profilo sub a), premesso che, secondo l’insegnamento costante di questa Corte Suprema, l’attività di interpretazione del testamento si risolve in un accertamento di fatto sindacabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni di ermeneutica applicabili e per vizi di motivazione (da ultimo, Cass., sez. 2, sent. n. 15931 del 2015), non si ravvisano nella decisione della Corte distrettuale nè violazioni di alcun criterio ermeneutico legale, nè lacune motivazionali. In particolare, la volontà del testatore risulta individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, senza travisamento delle espressioni usate dal testatore con l’attribuzione alle stesse di significato contrastante e antitetico con quello letterale, e la relativa motivazione risulta esaustiva e congrua.

Quanto al profilo sub b), la doglianza è infondata in quanto, per un verso, l’applicazione dei principi generali in materia di risoluzione ex art. 1453 c.c. e ss. impone in tutti i casi la valutazione dell’importanza dell’inadempimento, con la sola eccezione dell’istituto della clausola risolutiva espressa, applicabile ai contratti sinallagmatici, nei quali la risoluzione può conseguire come effetto automatico dell’inadempimento, quale che ne sia la gravità (Cass., sez. 2, sent. n. 14120 del 2014). Per altro verso, la valutazione della gravità dell’inadempimento costituisce questione di fatto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (ex plurimis, Cass., sez. 3, sent. n. 6401 del 2015).

Nella specie, applicato il principio generale in tema di risoluzione per inadempimento – secondo il quale incombe sul debitore la prova liberatoria della non imputabilità dell’inadempimento -, la Corte d’appello ha ritenuto che il Comune convenuto in risoluzione avesse dimostrato di non essere inadempiente, avendo prodotto documentazione dalla quale risultava che, a partire dal 1980, epoca in cui il predetto Comune era subentrato all’E.C.A., e fino al 1987, erano state versate Lire 250 mila annue alla Curia arcivescovile per la celebrazione di messe in suffragio del testatore, e che per gli anni successivi, dal 1988 al 1993, era stata versata, sempre alla Curia arcivescovile, la somma complessiva di Lire 1.350.000 con la medesima finalità, previa presa d’atto dell’avvenuta celebrazione delle messe in suffragio. Ulteriore riscontro era rappresentato dall’attestazione in data 27 giugno 1994 rilasciata dalla ragioneria del Comune dei mandati di pagamento in favore della Curia.

Il giudizio di congruità formulato con riferimento alla somma destinata dal Comune al pagamento delle messe in suffragio, e quindi all’adempimento dell’onere, partecipa dell’accertamento in fatto relativo alla sussistenza o non del grave inadempimento, e risulta anch’esso immune da censure in quanto motivato esaustivamente e logicamente, a mezzo della comparazione con gli importi versati dalla ricorrente per l’adempimento dell’analogo onere.

4. – Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 21 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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