Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25345 del 12/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 12/12/2016, (ud. 26/05/2016, dep.12/12/2016),  n. 25345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 3540/12) proposto da:

MARINA DEL CAVALLINO s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avv.to Sforza Antonio del foro di Venezia

e dall’Avv.to Prof. Franco Gaetano Scoca del foro di Roma ed

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

via G. Paesiello n. 55;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI e MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona dei rispettivi Ministri

pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello

Stato ex lege ed elettivamente domiciliati presso la sua sede in

Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrenti –

e contro

COMUNE CAVALLINO TREPORTI;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1118

depositata il 9 maggio 2011;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26

maggio 2016 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti Franco Gaetano Scoca e F.A., per parte

ricorrente, e F.E., per parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento

del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30 marzo 2004 la s.r.l. MARINA DEL CAVALLINO evocava, dinanzi al Tribunale di Venezia, i Ministeri delle infrastrutture e dell’economia, nonchè il Comune di Cavallino Treporti esponendo di essere divenuta proprietaria, in forza di compravendite e di permute, dell’area sita nel Comune di Venezia, sez. Burano, foglio (OMISSIS) mappali (OMISSIS), sulla quale insisteva una darsena con annessi impianti, utilizzati da imbarcazioni private in virtù di titoli contrattuali; aggiungeva che dal 1973 la Capitaneria di Porto aveva preteso di assoggettare le aree anzidette al regime del demanio marittimo e sull’erroneo convincimento che l’intero sedime fosse divenuto demaniale, aveva corrisposto gli oneri concessori richiesti, pur sapendo trattarsi di proprietà privata. Tanto premesso, chiedeva accertarsi la proprietà attorea delle aree predette e condannarsi l’Amministrazione alla restituzione dei canoni indebitamente percepiti dal 1998 al 2002, per un complessivo importo di Euro 92.145,60; in subordine, chiedeva riconoscersi un indennizzo per il valore dei beni ritenuti trasferiti per fatto dell’uomo dal regime di proprietà privata a quello demaniale.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei Ministeri convenuti, i quali asserivano che i beni in questione facevano parte del demanio marittimo in quanto destinati a porto e aventi comunicazione col mare, comunque eccepita l’usucapione in favore dello Stato, ed in subordine la prescrizione quinquennale del diritto alla restituzione dei canoni e dei relativi interessi, il giudice adito, espletata istruttoria, respingeva la domanda attorea.

In virtù di rituale appello interposto dalla società Marina del Cavallino, la Corte di appello di Venezia, nella resistenza delle Amministrazioni dello Stato appellate, rigettava il gravame.

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale riteneva che l’argomento più liquido per la definizione della controversia era costituito dall’eccezione di usucapione proposta dalla difesa erariale solo in primo grado, sulla quale il giudice di prime cure non si era pronunciato, ritenendola assorbita dal rigetto della domanda, riproposta in appello solo con la comparsa conclusionale. Tuttavia poichè si trattava di questione che, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., era rilevabile d’ufficio per essere la causa petendi delle azioni a difesa della proprietà lo stesso diritto e non il titolo, la stessa andava esaminata. Ciò posto, affermava che la società appellante aveva avanzato domanda di concessione dal 10.4.1973, pagando il canone di concessione, rinnovando anno per anno la richiesta, fino al 2002, allorchè aveva richiesto la restituzione degli ultimi pagamenti. Inoltre con istanza del 24.12.1982, rivolta alla Capitaneria di Porto, facendo riferimento a precedente domanda di ampliamento scavo di area di sua proprietà, aveva dichiarato di rinunciare alla proprietà oggetto dell’istanza una volta escavata, nulla ostando al relativo incameramento ed iscrizione ai beni del Demanio pubblico, precisando il 10.12.1985, in occasione dei lavori svolti dalla Commissione di delimitazione, che riconosceva come appartenenti al Demanio marittimo solo gli specchi acquei propriamente detti, non anche gli approdi. Aggiungeva che nella specie la società rivendicava la proprietà degli stessi invasi risultati dallo scavo del terreno e costituenti la darsena, per cui doveva ritenersi compiuta al 1993 l’usucapione eccepita, avvenuta con acquiescenza, almeno iniziale, della parte e con inerzia successiva. Nè aveva efficacia interruttiva del possesso ad usucapionem l’opposizione notificata il 18.12.1986, trattandosi di atto stragiudiziale.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione la medesima Marina del Cavallino, sulla base di due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 378 c.p.c., cui hanno replicato le Amministrazioni ministeriali, rimasto intimato il Comune di Cavallino Treporti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., nonchè degli artt. 1165 e 2938 c.c.. Ad avviso della società la mancata proposizione di una domanda riconvenzionale inerente l’usucapione, per avere le amministrazioni sollevato la sola eccezione di usucapione, impediva al giudice non soltanto di pronunciarsi sull’accertamento della proprietà, ma anche di rigettare la domanda dell’attore in forza di fatti estintivi diversi da quelli ritualmente proposti dalle convenute in comparsa di risposta. Aggiunge che la corte di merito non avrebbe, inoltre, potuto esaminare l’eccezione in quanto non essendo stata riproposta in appello, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., andava considerata tacitamente rinunciata.

Il primo motivo è fondato nei termini di seguito illustrati.

Secondo ormai consolidato orientamento di questa Corte, per il principio sancito dall’art. 346 c.p.c., devono intendersi rinunciate e non più riesaminabili le domande ed eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte ìn appello, in coerenza con il carattere devolutivo dell’appello, così ponendosi appellato e appellante su un piano di parità – senza attribuirsi alla parte, rimasta inattiva (o addirittura estranea alla fase di appello, per essere stata contumace), una posizione sostanzialmente di maggior favore – sì da far gravare su entrambi, e non solo sull’appellante, l’onere di prospettare al giudice del gravame le questioni (domande ed eccezioni in senso stretto) risolte in senso ad essi sfavorevole, con la sola differenza che il soccombente soggiace ai vincoli di forme e di tempo previsti per l’appello, mentre la parte vittoriosa ha solo un onere di riproposizione, in difetto presumendosi che manchi un interesse alla decisione e potendosi imputare tale mancanza anche alla parte contumace (cfr. Cass. n. 2730 del 2014 e Cass. n. 10236 del 2007, in fattispecie analoghe a quella in esame, con riferimento all’eccezione di usucapione; in generale e con riferimento a diverso contenzioso, cfr. altresì Cass. n. 7316 del 2003 e Cass. n. 9217 del 2007; in precedenza, in senso contrario, cfr. Cass. n. 7019 del 2001 e Cass. n. 13482 del 2001).

Alla stregua di tale orientamento, al quale il Collegio intende dare continuità, il giudice d’appello non avrebbe dovuto esaminare d’ufficio l’eccezione di usucapione, sollevata dalle Amministrazioni dello Stato solo in primo grado, sulla quale il Tribunale non si era pronunciato, formulata per la prima volta in appello con la comparsa conclusionale, trattandosi di eccezione da ritenersi comunque non riproposta e pertanto rinunciata ai sensi dell’art. 346 c.p.c., non potendo essere considerata una mera argomentazione a sostegno della difesa di rigetto del gravame, ma di una ragione del tutto autonoma da fare valere con le prime difese.

Tale soluzione, peraltro, non si pone in contrasto con il principio, affermato in giurisprudenza, secondo il quale, in materia di diritti reali, non è precluso al giudice dell’impugnazione la decisione della controversia sulla base di un diverso titolo comunque dedotto, anche se la parte interessata non abbia al riguardo proposto alcuna specifica doglianza, giacchè l’art. 346 c.p.c. attiene alle domande ed alle eccezioni non accolte nella sentenza appellata e non riproposte in appello, ma non anche agli elementi di prova che, acquisiti al giudizio e pretermessi dal primo giudice, il secondo ritenga, per contro, rilevanti ai fini dell’esatta definizione della controversia (così Cass. n. 13270 del 1999).

Ha perciò errato la Corte d’appello a prendere in esame l’eccezione di usucapione.

Con la seconda censura la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 28, 29 e 36 cod. nav., nonchè degli artt. 822, 826 e 2033 c.c., anche quale vizio di motivazione, quanto al diniego di restituzione dei canoni concessori indebitamente corrisposti all’Amministrazione statale.

Il secondo motivo di ricorso resta assorbito dall’accoglimento della prima doglianza.

In accoglimento del ricorso, la sentenza va, pertanto, cassata con rinvio della causa al giudice di appello perchè – ferma la non rilevabilità d’ufficio dell’usucapione – provveda sulla domanda della ricorrente alla stregua delle prove raccolte. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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