Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25343 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 25/10/2017, (ud. 26/04/2017, dep.25/10/2017),  n. 25343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6530/2013 proposto da:

S.C.I.E. S.r.l. (p.iva (OMISSIS)) in persona del suo Amministratore

Unico e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 99, presso lo studio

dell’avvocato BERARDINO IACOBUCCI (Studio Conte), rappresentata e

difesa dagli avvocati AURELIO ARNESE, PIETRO MASTRANGELO;

– ricorrente –

contro

ENEL DISTRIBUZIONE S.p.A., (c.f. (OMISSIS)) Società di un unico

socio soggetta al coordinamento e controllo di ENEL S.p.A. Holding,

succeduta a quest’ultima nel giudizio in questione, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. ANIMUCCIA 38, presso lo studio

dell’avvocato LUCIANA ROSTELLI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI GIORGIO;

– controricorrente –

e contro

ENEL SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1025/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/04/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

La SCIE s.r.l., appaltatrice, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Bari l’ENEL s.p.a., committente, per sentirla condannare al pagamento della somma di Lire 42.122.580, a titolo d’integrazione del prezzo d’appalto per opere di scavo destinate a contenere di linee elettriche.

A sostegno della domanda, la maggiorazione contrattualmente prevista per gli scavi eseguiti su “roccia dura”, che la società committente aveva negato ritenendo che lo scavo avesse riguardato esclusivamente “roccia tenera”.

Con sentenza n. 2475/02 il Tribunale accoglieva la domanda.

All’esito di un nuovo accertamento tecnico tale decisione era ribaltata dalla Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 1025 pubblicata il 28.9.2012, resa anche nei confronti di Enel Distribuzione s.p.a., quale acquirente a titolo particolare del diritto controverso. Osservava la Corte distrettuale che il maggior credito preteso dalla società attrice era strettamente connesso al quantitativo di roccia dura oggetto dell’intervento. La relativa prova, di cui era onerata la SCIE s.r.l., era stata affidata unicamente all’indagine tecnica, la quale, però, avrebbe potuto consentire tutt’al più una valutazione di massima, non anche l’esatta determinazione delle volumetrie. A tali conclusioni era giunto, osservava la Corte, lo stesso C.T.U. nominato in appello, il quale aveva affermato che allo stato dei fatti e della documentazione prodotta non era possibile definire l’esatta percentuale di “roccia dura” rispetto al complessivo materiale di scavo, a meno di acquisire acriticamente i dati presentati dalla soc. SCIE. Di qui il rigetto della domanda per difetto di un’adeguata e rigorosa dimostrazione della quantità volumetrica di scavo di “roccia dura” su cui operare i conteggi del caso.

La cassazione di quest’ultima sentenza è chiesta dalla SCIE s.r.l. con ricorso affidato a cinque motivi.

Resiste con controriccirso Enel Distribuzione s.p.a..

Enel s.p.a. è rimasta intimata.

Attivato il procedimento camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, inserito, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, la SCIE s.r.l. ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla “eccezione riconvenzionale” sollevata dalla parte appellata, in violazione dell’art. 111 Cost., comma 2 e degli artt. 101 e 112 c.p.c., nonchè il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e discusso dalle parti, in relazione, rispettivamente, dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5. Deduce parte ricorrente che nell’addurre che l’Enel aveva contestato non il quantitativo complessivamente scavato, ma la qualità di “roccia dura” scavata, il cui riferimento aveva cancellato sostituendolo con quello relativo alla “roccia tenera”, la SCIE aveva eccepito l’esistenza di un negozio d’accertamento intervenuto tra le parti, e che su tale eccezione la Corte d’appello non si era pronunciata, nè ad ogni modo aveva esaminato i relativi fatti costitutivi.

1.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

In disparte che non di “eccezione riconvenzionale” si tratta (l’eccezione è mezzo di difesa del convenuto, non dell’attore, che rimane tale anche quando nel giudizio di secondo grado rivesta la qualità di appellato), ma di una mera allegazione difensiva, rispetto alla quale puramente e semplicemente non è configurabile il vizio di omessa pronuncia, quest’ultimo essendo riferibile solo alle domande ed alle eccezioni di merito (cfr. Cass. nn. 321/16, 22860/04 e 3927/02); ciò a parte, va osservato che nella citazione introduttiva del giudizio la società attrice aveva dedotto che la contabilizzazione dei lavori mediante DCL (distinta controllo lavori) o SAL (stato avanzamento lavori) dava luogo a documenti contabili contenenti il resoconto di quanto eseguito dall’appaltatore e il successivo controllo di quantità e di qualità eseguito dall’Enel; e che il “documento così sottoscritto incorpora un autonomo negozio di accertamento” (v. pagg. 3 e 4 del ricorso, che riportano la citazione).

Ma la circostanza che il contratto prevedesse una modalità d’accertamento quali-quantitativo dei lavori svolti, non significa che ergo la relativa documentazione formata in concreto ed ex uno latere abbia assunto tale connotato giuridico. E’ la stessa parte ricorrente ad ammettere che l’Enel non abbia accettato i quantitativi di “roccia dura” scavata esposti dalla società appaltatrice (del resto è solo in ciò che risiede la controversia) e che li abbia cancellati sull’apposito documento (v. pagg. 5 e 17 del ricorso). Affermazione, questa, che è l’esatto contrario di un negozio d’accertamento, perchè ammette l’inesistenza di qualsivoglia consenso su di esso. Una cosa è prevedere in contratto la possibilità o la necessità di un negoziato d’accertamento sull’esecuzione, altra è averlo effettivamente posto in essere; per cui il motivo in esame non ha alcun pregio.

2. – Col secondo motivo è dedotta, sempre sulla medesima base fattuale, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Parte ricorrente sostiene che la Corte distrettuale non avrebbe considerato come ammessa la quantità di roccia scavata, atteso che l’Enel “ha accertato ed accettato la “quantità” delle prestazioni (ossia i volumi dello scavo eseguito) ma ha “corretto” la quantità delle stesse, sull’assunto che lo scavo era stato sì eseguito nella quantità ivi indicata ma in roccia tenera (…) e non in roccia dura” (così, a pag. 19 del ricorso); e che l’ammissione di siffatto negozio di accertamento avrebbe precluso ogni ulteriore contestazione. Ciò significherebbe, prosegue parte ricorrente, che il quantitativo di scavo sarebbe stato ammesso nelle quantità indicate ma pagato col prezzo previsto per lo scavo in roccia tenera, e che per effetto di tale non contestazione vi sarebbe stata un relevatio ab onere probandi.

2.1. – Le considerazioni svolte in relazione al primo mezzo valgono a confutare anche questa seconda censura, con le ulteriori osservazioni che seguono.

Al pari del precedente, anche il motivo in esame è alimentato da una sostanziale alterazione del senso delle parole e del loro corretto intendimento, e da un vistoso salto logico nel trarne le conseguenze giuridiche.

In particolare, è arbitrario, ai fini di cui all’art. 115 c.p.c., proiettare la non contestazione di un singolo fatto sull’insieme del contenuto assertivo in cui esso si inserisce.

Nella specie, l’oggetto del contendere è tutto e solo nell’an e nel quantum della roccia dura scavata, entrambi fatti costitutivi della pretesa. Pertanto, l’inequivoca negazione da parte dell’Enel dello scavo di roccia dura esposto dalla società appaltatrice restituisce sostanzialmente intatto l’onere probatorio gravante su quest’ultima, poichè resta controverso che si trattasse, appunto, di roccia dura e non di roccia tenera.

Ciò indiscutibilmente posto, non è dato di comprendere in virtù di quale principio logico possa seriamente affermarsi che, controverso non il quantitativo scavato ma la natura geologica della roccia, la causa avrebbe dovuto essere decisa applicando il principio di non contestazione, ad automatico vantaggio della società attrice. Pacifico lo scavo, non altrettanto incontroverso era il suo oggetto, che non era certo onere della parte convenuta dimostrare.

3. – Il terzo motivo enuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il ragionamento svolto dalla Corte territoriale, che ha escluso che l’indagine peritale eseguita fosse valsa a determinare esattamente la volumetria di “roccia dura” scavata, consentendo al più una valutazione di massima, sarebbe in contrasto con i canoni di buona fede che presiedono all’esecuzione del contratto e con il principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., perchè non ha considerato che l’Enel anzichè controllare lo scavo con propri tecnici ha preferito contestare a posteriori la qualità della roccia franta; ed ha escluso, per contro, la sufficienza di campioni significativi prelevati in sito e nel contraddittorio delle parti.

3.1. – Anche tale motivo è infondato perchè denuncia come violazione di legge quello che è un apprezzamento di puro merito dei giudici d’appello, come tale non sindacabile in sede di legittimità neppure sotto il profilo dell’adeguatezza motivazionale, essendo il ricorso soggetto al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come risultante dalla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012.

4. – Il quarto motivo lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1370 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto, sostiene parte ricorrente, la Corte d’appello nel ritenere che l’indagine peritale eseguita a posteriori e mediante campionatura avrebbe consentito al più una valutazione di massima, e non anche l’esatta determinazione delle volumetrie di roccia dura estratte, avrebbe violato le norme sull’interpretazione dei contratti. In particolare, quanto è stabilito a pag. 10 del capitolato tecnico d’appalto, il quale prescrive che la constatazione di presenza di roccia deve essere richiesta dall’appaltatore all’Enel a scavo aperto, concordando il prelievo dei campioni, dimostra che le parti avevano concordato di quantificare la volumetria di roccia scavata mediante un’analisi a campione e non con una rigorosa dimostrazione della quantità volumetrica di scavo.

4.1. – Il motivo è infondato, perchè contrasta non la violazione di un canone ermeneutico, ma l’esito dell’interpretazione operata dalla Corte d’appello, proponendo una lettura alternativa (e per di più espansiva) di una clausola contrattuale. Esito che, ad ogni modo, è inattaccabile al di fuori delle ipotesi di sostanziale assenza della motivazione (esemplificati da Cass. S.U. n. 8053/14), non ricorrenti nella specie.

5. – Il quinto mezzo deduce la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2727 c.c. e segg., in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Una volta che il c.t.u. aveva ritenuto sufficienti le investigazioni sul sito e in laboratorio per esprimere un giudizio sull’effettiva composizione della roccia e sulla presenza in essa di dolomie (che sono ricomprese tra le rocce dure), la Corte territoriale avrebbe dovuto operare un ragionamento di tipo induttivo, che le avrebbe consentito di considerare come roccia dura tutta la quantità indicata come tale nei documenti contabili.

5.1. – Anche tale motivo è infondato, perchè basato su di ragionamento tanto illogico quanto apodittico.

Atteso che l’attore ha l’onere di provare anche il quantum della sua pretesa, è sufficiente osservare che la presenza di dolomie nella zona di scavo non rende di per sè dimostrata la relativa quantità indicata unilateralmente dalla SCIE nella contabilità dell’appalto, il che equivarrebbe ad impiegare il ragionamento inferenziale per escludere la stessa necessità di provare il quantum debeatur.

Dunque, è semmai l’argomentazione della parte ricorrente a collidere con l’art. 2727 c.c., non la decisione impugnata.

6. – Il ricorso va dunque respinto.

7. – Seguono a carico della parte ricorrente sia le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sia il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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