Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25343 del 12/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 12/12/2016, (ud. 26/05/2016, dep.12/12/2016),  n. 25343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 3515/12) proposto da:

CONSORZIO STRADALE DEL COMPRENSORIO DI VIA APPIA ANTICA n. 140 –

Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore,

V.G., C.V., C.G.,

R.G.M., R.A. e G.M., rappresentati e difesi, in forza

di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Prof. Piero

Sandulli del foro di Roma e tutti elettivamente domiciliati presso

il suo studio in Roma, via Fulcieri Paulucci dè Calboli n. 9;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI, MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE e AGENZIA DEL DEMANIO, tutti in persona dei rispettivi

legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall’Avvocatura

Generale dello Stato ex lege ed elettivamente domiciliati presso la

sua sede in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2632 depositata

il 13 giugno 2011;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26

maggio 2016 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito l’Avv.to Piero Sandulli, per parte ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 21 ottobre 1997 il Consorzio Stradale del Comprensorio di via Appia Antica n. 140 ed i singoli consorziati, proprietari dei lotti edificati, V.G., V. e C.G., R.G.M., M.M., e successivamente con intervento adesivo, R.A. e G.M. evocavano, dinanzi al Tribunale di Roma, il Ministero dei beni culturali e ambientali, nonchè il Ministero dell’economia e delle finanze contestando la demanialità della strada carrabile e/o pedonale, con relative banchine, di cui all’invito ministeriale di rilascio prot. 422/4 del 6.6.1997, per cui chiedevano di accertare e dichiarare l’esistenza del diritto degli attori ad usare in comune quel tratto stradale in qualunque forma e con qualunque mezzo ed a permetterne l’uso, sempre in comune, esclusivamente a coloro che risultavano proprietari dei terreni facenti parte dell’originaria lottizzazione, con conseguente ordine alle Amministrazioni convenute di rilasciare detta strada e comunque di cessare qualsiasi impedimento e turbativa all’esercizio di tale diritto, oltre a corrispondere il risarcimento dei danni.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza delle Amministrazioni, il giudice adito, espletata c.t.u., accoglieva la domanda attorea quanto alla natura non demaniale della strada in contestazione, ritenendola di proprietà comune di tutti i proprietari dei terreni facenti parte dell’originaria lottizzazione di cui all’atto di sottomissione stipulato con atto notaio N. di Roma del (OMISSIS), respingeva quella risarcitoria.

In virtù di rituale appello interposto dai Ministeri, nonchè dall’Agenzia del Demanio, la Corte di appello di Roma, nella resistenza del Consorzio stradale del Comprensorio di via Appia Antica n. 140 e dei consorziati, che in via subordinata proponevano anche appello incidentale per la declaratoria dell’intervenuta usucapione, convocato il c.t.u. a chiarimenti, accoglieva il gravame e per l’effetto respingeva la domanda attorea.

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale, premesso che l’atto presupposto di sottomissione, era stato stipulato nel 1952 dall’originario lottizzatore A. e dal Comune di Roma, soggetto estraneo al presente giudizio, per cui non costituiva titolo opponibile all’Amministrazione finanziaria circa l’accertamento della demanialità dell’area in questione, evidenziava che dalla c.t.u. era emerso che le particelle catastali corrispondenti alle aree stradali oggetto di causa rientravano nel Parco regionale dell’Appia Antica, istituito con la L.R. Lazio n. 66 del 1988, e che le stesse era state trasferite al Demanio dello Stato in virtù del decreto di aggiudicazione emesso con sentenza del 24.9.1980 dal Pretore di Roma. Concludeva affermando la sussistenza dei presupposti per annoverare il tratto stradale in questione nel demanio accidentale ex art. 822 c.c., comma 2, quali l’appartenenza allo Stato ed il riconoscimento dell’interesse archeologico dell’area limitrofa alla Tomba di Cecilia Metella. La riconosciuta demanialità del tratto stradale escludeva in radice, ai sensi dell’art. 1145 c.c., comma 1, l’usucapibilità dello stesso.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Roma hanno proposto ricorso per cassazione il Consorzio ed i singoli consorziati, sulla base di quattro motivi, illustrati anche da memoria ex art. 378 c.p.c., cui hanno replicato con controricorso i Ministeri intimati e l’Agenzia del Demanio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 822 c.c., comma 2 e dell’art. 1145 c.c., comma 1, in riferimento alla asserita appartenenza esclusiva allo Stato della strada oggetto dell’ordine di rilascio emesso con provvedimento del 10.6.1995 n. 422/4 dal Ministero delle finanze, per non avere la corte di merito considerato che al momento della emissione del decreto pretorile del 24.9.1980 l’appezzamento di terreno di proprietà di A.A., all’interno del quale si trova il tratto stradale in contestazione, apparteneva in comunione pro indiviso con gli altri consorziati, diritto che vanterebbe a tale titolo anche nell’ipotesi in cui sia riconosciuto di interesse storico, archeologico o artistico. Proseguono i ricorrenti che Io Stato non può che avere acquistato il bene nelle stesse condizioni del suo dante causa e dunque una situazione soggettiva meramente privatistica, che non poteva abilitare all’esercizio dei poteri amministrativi con i quali inibire ai consorziati il legittimo godimento della cosa comune. D’altra parte la strada interna di lottizzazione a servizio di alcune abitazioni è descritta dallo stesso decreto pretorile come bene separato rispetto al lotto di terreno, essendosi realizzata una comunione incidentale dei proprietari di tutti i lotti sulla strada prima del trasferimento de quo. Inoltre ad avviso dei ricorrenti risulterebbe del tutto trascurata la circostanza che l’atto di sottomissione del 1952, accessivo al piano di lottizzazione, non può avere mera rilevanza endoprocedimentale, ma è vincolante per tutti i successivi proprietari dei terreni oggetto di lottizzazione, pubblici o privati che siano, essendo stato, peraltro, trascritto all’Ufficio dei Registri Immobiliari di Roma, per cui è opponibile ai terzi. Aggiungono che l’avvenuta realizzazione della comunione incidentale sulla strada privata in questione sarebbe desumibile anche dalla circostanza che oltre ad avere concorso alla costruzione della predetta, mediante il conferimento da parte dei proprietari di ciascun lotto della porzione di terreno all’uopo necessaria, hanno da sempre sostenuto le spese di manutenzione e gestione della stessa e tutto ciò ben prima che intervenisse la devoluzione allo Stato dell’appezzamento di proprietà di A.A.. Nè ritengono condivisibile l’assunto della non usucapibilità del bene de quo dal momento che la strada è divenuta comune ben più di venti anni prima che il lotto dell’ A. divenisse di proprietà dello Stato e dunque in un tempo in cui non era ancora stata riconosciuta la sua demanialità.

Con il secondo motivo – nel denunciare un vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta appartenenza esclusiva allo Stato della strada oggetto dell’ordine di rilascio emesso con provvedimento del 10.6.1995 n. 422/4 dal Ministero delle finanze – i ricorrenti insistono nelle argomentazioni esposte in riferimento al primo mezzo.

Con il terzo motivo viene lamentata la violazione e la falsa applicazione dell’art. 822 c.c., comma 2, in relazione alla ritenuta sussistenza, ai fini della qualificazione della demanialità accidentale della strada, di un vincolo di interesse storico, artistico e archeologico sulla stessa. In sintesi, i ricorrenti censurano la pronuncia per non avere tenuto conto che nella specie, trattandosi di demanio accidentale, per imporre sul bene misure vincolanti e limitanti, occorreva uno specifico provvedimento amministrativo tecnico-discrezionale che avrebbe dovuto investire, in modo diretto o indiretto, il bene in questione, mentre nulla di tutto ciò è stato accertato dal c.t.u., precisata detta circostanza anche in sede di chiarimenti. D’altro canto l’area in cui è situata la strada in questione è qualificata dal Piano dell’area naturale protetta quale zona 2, una sorta di “riserva orientata”, vincolante anche per il PRG, sulla quale non è disposta la pubblica utilità, ma solo la in edificabilità assoluta. Dunque trattasi di atto pianificatorio e programmatorio, di natura normativa o amministrativa generale, volto a delimitare e qualificare una vasta area di territorio, cosa affatto diversa rispetto al riconoscimento puntuale di interesse storico, artistico e archeologico che si riferisca a bene specificamente considerato.

Con il quarto ed ultimo motivo – nel denunciare un vizio di motivazione in riferimento alla sufficiente sussistenza di elementi per ritenere la esistenza di un vincolo di interesse storico, artistico e archeologico della strada – ricorrenti insistono nelle argomentazioni esposte in riferimento al terzo mezzo.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

I Ministeri hanno legato le loro difese e le contestazioni alla domanda attorea di accertamento della proprietà comune del tratto stradale in questione sia al decreto di aggiudicazione emesso con sentenza del 24.09.1980 dal Pretore di Roma sia alla circostanza che si tratta di bene da annoverare nel demanio accidentale ex art. 822 c.c., comma 2. La Corte territoriale ha verificato il fondamento delle eccezioni delle predette pubbliche amministrazioni alla stregua di entrambe le fonti, trascurando quanto alla prima, che, essendo intervenuto successivamente all’approvazione del piano di lottizzazione – da parte del Comune di Roma nel 1951, stipulata la convenzione dall’originario unico proprietario, Comm. A.A., con il Comune di Roma nel 1952 – dell’intera area adiacente a quella di interesse archeologico limitrofa alla Tomba di Cecilia Metella (ritenuta di notevole interesse archeologico con D.M. dei beni culturali ed ambientali 8 luglio 1989, n. 126272, in attuazione della L.R. Lazio n. 66 del 1988 che costituiva il (OMISSIS)), avrebbe potuto prevalere l’atto di sottomissione del 1952, accessivo al piano di lottizzazione, debitamente trascritto all’Ufficio dei Registri Immobiliari di Roma, se e in quanto realmente efficace, sul decreto di aggiudicazione del 24.09.1980. Inoltre ha desunto la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 822 c.c., comma 2, dalle considerazioni svolte con riferimento alla prima fonte.

Occorre premettere che questa Corte ha avuto già occasione di escludere che facciano parte del demanio accidentale dello Stato o degli enti locali – per intero, o anche soltanto per quota ideale – gli immobili riconosciuti di notevole interesse storico, artistico od archeologico ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089 rispetto ai quali detti soggetti pubblici siano titolari, unicamente, del diritto di comproprietà indivisa in comunione con un soggetto privato; in quella ipotesi – si è detto – il soggetto pubblico vanta, sul bene, soltanto un diritto di comproprietà pro indiviso col soggetto privato, di natura meramente privatistica.

A tanto conduce necessariamente, il dato secondo cui, da un punto di vista letterale, l’art. 822 c.c., comma 2 e, in correlazione, l’art. 824 c.c. ricomprendono tra i beni del demanio accidentale dello Stato e, rispettivamente, degli enti locali, i soli immobili riconosciuti di notevole interesse “appartenenti” per intero a quei soggetti pubblici. Inoltre, l’inaccettabilità di una lettura estensiva delle stesse norme alla cui stregua risultino ricompresi tra i beni del demanio accidentale gli immobili dichiarati di interesse culturale sui quali quei soggetti abbiano soltanto la titolarità del diritto di comproprietà pro indiviso con un soggetto privato. Tanto perchè una siffatta lettura comporterebbe l’assoggettamento dell’immobile ad un regime giuridico inammissibile sul piano dei principi positivi anche costituzionali.

Invero, l’assoggettamento dell’intero immobile (e, dunque, anche della quota ideale di pertinenza del soggetto privato) ai relativi vincoli di inalienabilità, di indisponibilità oltre che alla sua tutela sulla base dei poteri pubblicistici si tradurrebbe in una situazione giuridica che avrebbe un contenuto ablatorio della proprietà privata, realizzata in assenza dei presupposti e delle garanzie anche procedimentali fissate dall’art. 42 Cost., comma 3, nonchè dalle norme che disciplinano in via generale l’espropriazione e di quelle dettate, specificamente, al capo 7^ della L. n. 1089 del 1939 in tema di espropriazione di interesse artistico o storico (Cass. 20 novembre 1996 n. 10160).

E’, infatti, del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte e del Consiglio di Stato che, quando non si tratta dei beni del c.d. demanio necessario, la demanialità non è una qualifica giuridica attribuita ad un bene in funzione del titolo di acquisto o della volontà inattuata di una determinata destinazione demaniale o del modo di atteggiarsi del potere di disposizione, ma una qualifica che attiene alla destinazione concreta del bene ed alla sua caratterizzazione funzionale secondo taluna delle varie destinazioni ad uso pubblico previste dalla legge per ciascuna delle categorie dei beni demaniali (vedi in tal senso Cass. 8 maggio 1964 n. 1095 così massimata: “In ordine ai beni del Demanio accidentale, la demanialità non si realizza, di regola, al momento del passaggio della proprietà dei beni stessi dal soggetto privato alla pa., bensì in un momento successivo, attraverso la destinazione di tali beni ad un uso di pubblica utilità, conformemente agli scopi perseguiti dall’ amministrazione a cui il bene medesimo appartiene. Tra questi due momenti si determina una fase intermedia di assestamento, durante la quale il bene trasferito alla p.a. non ha ancora acquistato la demanialità, di guisa che l’ente pubblico, che ne è divenuto titolare, può validamente compiere su di esso atti dispositivi, che sarebbero concettualmente inammissibili se si trattasse di un bene già divenuto demaniale. Questa fase, denominata stato formativo della demanialità, trova la sua giustificazione nella necessità pratica di coesistenza tra il bene destinato a far parte del pubblico demanio ed il complesso degli altri beni viciniori, rimasti di proprietà privata. Pertanto, nello stato formativo della demanialità, può essere validamente costituita una servitù prediale a carico di un bene, che successivamente divenga demaniale, ed a favore di un fondo privato e tale servitù continua a restare giuridicamente valida anche quando il fondo gravato abbia successivamente acquistato natura demaniale.” Più di recente v. Cass. SS.UU. 27 novembre 2002 n. 16831).

Nell’ipotesi, in esame la Corte territoriale ha ritenuto che il bene in oggetto fosse un bene demaniale per due essenziali ragioni e cioè: a) perchè il bene in oggetto ricade in un’area ricompresa nelle aree di interesse archeologico del costituito (OMISSIS), di cui al D.M. dei beni culturali ed ambientali 8 luglio 1989, n. 126272 (in attuazione della L.R. Lazio n. 66 del 1988); b) soprattutto perchè dall’atto di aggiudicazione del terreno da parte del Pretore di Roma in data 24 settembre 1980 la particella che identifica il bene in oggetto, era di proprietà esclusiva del Demanio dello Stato, di qui l’inclusione dello stesso nella previsione dell’art. 822 c.c., comma 2.

Tuttavia la Corte territoriale non ha dato il rilievo che avrebbe meritato al fatto che non è conseguenza immediata che un bene che ricade in un’area di interesse archeologico sia per se stesso un bene di interesse archeologico. Ciò che la Corte territoriale ha affermato era un immediato presupposto per l’ulteriore accertamento – non compiuto – che il bene in oggetto fosse non solo ricadente in una zona di interesse archeologico, ma fosse esso stesso un bene destinato ad interesse archeologico (in tal senso anche Cass. 10 marzo 2006 n. 5262). La Corte distrettuale anche in questo caso ha mancato di accertare se il bene in oggetto potesse essere identificato quale bene avente concreta destinazione ad una pubblica funzione.

Inoltre la Corte capitolina, ponendo alla base dell’acquisto del terreno da parte del Demanio il decreto pretorile di assegnazione che, quanto agli effetti sostanziali, ha natura di atto meramente negoziale, non ha considerato che il trasferimento avveniva nelle medesime condizioni in cui il bene era stato posseduto dal debitore esecutato, per cui avrebbe dovuto accertare l’effettivo contenuto e l’avvenuta trascrizione dell’atto di sottomissione del 1952 – che si assume dai ricorrenti riprodotto nei singoli atti di cessione dei lotti – per valutarne la opponibilità ai terzi, considerando che l’ultima traslazione delle particelle (OMISSIS) ben potrebbe essere equiparata quanto al tratto di strada de quo all’acquisto a non domino, per essere l’atto in questione intervenuto in un momento in cui l’originario proprietario e “lottizzatore”, Comm. A.A., poteva non avere più la disponibilità del bene medesimo (trasferito – in comproprietà – con i singoli atti di acquisto ai consorziati e pro-quota alla stessa Agenzia del Demanio).

Infatti la giurisprudenza di questa Corte è ormai saldamente orientata nel senso che “l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario, ricollegandosi a un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato” (v. di recente, Cass. 22 settembre 2010 n. 20037).

Gli ulteriori tre motivi di ricorso, attenendo ad ulteriori profili di merito della vicenda, rimangono assorbiti dall’accoglimento del primo.

In accoglimento del ricorso, nei termini sopra illustrati, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della corte di appello di Roma che provvederà ad un nuovo esame della controversia in applicazione dei principi esposti.

PQM

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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