Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2534 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 04/02/2020), n.2534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13381/2014 proposto da:

COMUNE DI CARRARA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II n. 18 (Studio Legale

LESSONA), presso lo studio dell’avvocato DOMENICO IARIA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 462/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 16/11/2013 R.G.N. 435/2013.

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di Genova con la sentenza n. 462 del 2013, rigettava sia l’appello principale proposto dal Comune di Carrara nei confronti di P.D., sia l’appello incidentale proposto da quest’ultima nei confronti del Comune, entrambi avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Massa.

2. Il Tribunale di Massa aveva accolto in parte la domanda proposta da P.D., dichiarando la nullità del termine apposto al contratto stipulato dalla lavoratrice con il Comune dal 31 dicembre 2007 al 30 dicembre 2009, poi prorogato al 30 dicembre 2010.

Ed infatti, la causale del termine non era indicata in modo sufficientemente preciso. Detto contratto non conteneva alcun riferimento al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1 e non specificava quali fossero le ragioni che avevano determinato l’apposizione del termine, nè poteva ritenersi che tale indicazione tosse desumibile dal generico richiamo alla Delib. n. 60 del 2007, emessa dal Dirigente del settore affari generali e del personale.

Il Tribunale escludeva la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e riconosceva la tutela risarcitoria, quantificando il risarcimento in venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

3. La Corte d’Appello rigettava l’appello principale del Comune, con cui lo stesso aveva dedotto, sia che non sarebbe stato richiesto il requisito della forma scritta in quanto la lavoratrice era a conoscenza delle ragioni che avevano determinato l’Amministrazione a effettuare l’assunzione a termine, sia che la lavoratrice doveva dare la prova del danno.

Rigettava, altresì l’appello incidentale vertente sul rigetto di parte della domanda introduttiva del giudizio relativa all’accertamento della simulazione di contratti di incarico professionale e convenzione, e di co.co.co..

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il Comune di Massa prospettando tre motivi di impugnazione.

5. Resiste la lavoratrice con controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerate.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e segg. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).

Il Comune censura la statuizione relativa alla mancata indicazione delle ragioni specificatrici dell’apposizione del termine al contratto in questione.

Afferma che Corte “Appello ha errato nel ritenere che esso appellante aveva dedotto che bastava la conoscenza della lavoratrice e che non era richiesto il requisito della forma scritta.

Assume di aver sostenuto che vi era la esplicazione delle ragioni legittimanti l’apposizione del termine per relationem, e che tali ragioni erano comunque note alla lavoratrice per aver presentato lei stessa all’Amministrazione, unitamente alle colleghe assistenti sociali, domanda di attivazione del percorso di stabilizzazione volto alla loro assunzione a tempo determinato. Vi era stata una concatenazioni di atti ben nota alla lavoratrice, richiamati per relationem nel contratto, e tale prospettazione costituiva difesa diversa da quella ritenuta dalla Corte “Appello.

Il contratto dava atto della determinazione n. 60 del 2007 del dirigente settore affari generali e personale, che a sua volta richiamava altri documenti.

I contratti erano stati posti in essere in base alla legge finanziaria del 2007, per eliminare il precariato.

2. Il motivo non è fondato. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (si v., Cass., S.U., n. 4911 del 2016, Cass., n. 840 del 2019) è vero che – come già ritenuto da questa Corte (Cass. 26 agosto 2015 n. 17155) – nell’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, la specificazione delle ragioni giustiticatrici del D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1, può risultare “per relationem” anche da altri testi richiamati nel contratto di lavoro, ma l’indicazione deve essere circostanziata e puntuale e deve trattarsi di documenti accessibili agevolmente al lavoratore.

Ciò, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto (Cass., n. 21320 del 2019).

2.2. Occorre precisare che la Corte d’Appello nel far riferimento alla torma scritta ha inteso affermare che occorreva che le ragioni giustificatrici risultassero in modo specifico dal contratto stesso, e pertanto necessariamente per iscritto e dunque non è ravvisabile una erronea considerazione delle difese del Comune che deduce che le ragioni erano indicate in un atto richiamato numericamente nel contratto (Delib. n. 60 del 2017), che a sua volta richiamava altra nota del 22 dicembre 2007, che a sua volta richiamava la nota del 27 agosto 2007.

Nella specie, la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, e con accertamento di merito che si sottrae a censure. ha premesso che le ragioni di apposizione del termine dovevano essere specificate nel contratto e ha affermato che non risultava che contestualmente all’assunzione erano state specificate le ragioni che avevano determinato l’apposizione del termine.

Era irrilevante la circostanza che sarebbe stato desumibile documentalmente (da un atto che l’appellante chiedeva di produrre tardivamente in appello) la conoscenza da parte della lavoratrice delle ragioni che avevano determinato l’assunzione a termine.

le ragioni giustificatrici della assunzione a tempo determinato della lavoratrice non erano state espresse in modo valido nel contratto a termine, poi prorogato.

Il ricorrente non ha censurato in modo circostanziato tali statuizioni, atteso che dal motivo si rileva che solo dalla nota del 27 agosto 2007, richiamata nella nota del 22 dicembre 2007, a sua volta richiamata nella determina 60 del 2017, unico atto che veniva indicato nel contratto a termine, era affermato che si disponeva di attivare la selezione “nelle more delle procedure concorsuali”.

Nè il suddetto requisito di legittimità del contratto a termine può ritenersi soddisfatto in ragione di fattori esterni al contratto stesso, quale la domanda di attivazione del percorso di stabilizzazione volto alla assunzione a tempo determinato.

3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, sotto il profilo della sussistenza del diritto al risarcimento del danno (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).

Il Comune rileva che la Corte d’Appello ha riconosciuto alla lavoratrice il diritto al risarcimento del danno anche se la stessa aveva omesso di fornire alcuna prova anche per presunzione di tale pregiudizio. Ciò contrasterebbe con la disciplina nazionale e con quella comunitaria, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità e dalla giurisprudenza di merito come richiamata nel corso del motivo.

4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36,L. n. 300 del 1970, art. 18,L. n. 183 del 2010, art. 32, sotto il profilo della quantiticazione del danno (art. 360 c.p.c., n. 3).

Espone il Comune che anche qualora si ritenesse sussistere il diritto della lavoratrice al risarcimento del danno, erroneamente la sentenza di appello lo avrebbe quantificato in un importo pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, mentre avrebbe potuto essere ristorato facendo riferimento, come parametro tendenziale, alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5.

5. Il secondo e il terzo motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono fondati nei sensi di seguito indicati.

6. Va premesso che la materia dei contratti a termine nel pubblico impiego contrattualizzato è stata oggetto di significative pronunce della CGUE (tra cui, escludendo il settore della scuola, CGUE sentenza 4 luglio 2006, Adeneler e a., C212/04; sentenza CGUE 7 settembre 2006, Marrosu – Sardino, C-53/04; sentenza della CGUE 7 marzo 2018, Santoro c. Comune di Valderice e a., C-494/16) e della Corte costituzionale (sentenza n. 148 del 2018) che hanno concorso, con la giurisprudenza di legittimità (Cass., S.U., sentenza n. 5072 del 2016) a ridefinire i principi della materia.

La CGUE ha chiarito che la direttiva 1999/70/CE e l’accordo quadro si applicano ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e altri enti del settore pubblico.

6.1. In attuazione della direttiva è stato emanato il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UN ICE, dal CEEP e dal CES), che ha dettato la nuova disciplina del contratto a termine in conformità alla direttiva (prima del D.Lgs. n. 81 del 2015).

6.2. La CGUE, con le sentenze sopra citate, ha affermato che la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato (laddove l’ordinamento nazionale prevede la trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato) o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico (prevedendosi il solo risarcimento del danno, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36).

6.3. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5072 del 2016, hanno statuito proprio rispetto alla portata applicativa e alla parametrazione del danno risarcibile ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, in presenza di abusiva reiterazione dei contratti a termine.

Le Sezioni Unite, con la citata sentenza hanno avuto modo di chiarire che il pregiudizio economico oggetto del risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest’ultima, intatti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione affatto legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari.

Piuttosto, considerato che l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione dei contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno, che sarà normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile. le Sezioni Unite, con la citata sentenza, hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, consente pro tanto al lavoratore di essere esonerato dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori.

I principi enunciati dalle Sezioni Unite hanno trovato conferma nella sentenza della Corte di Giustizia 7 marzo 2018, C-494/16, Santoro e nella sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 2018.

6.4. Come questa Corte ha poi avuto modo di affermare (Cass., n. 5229 del 2017) non è seriamente dubitabile che rispetto al contratto a termine prorogato sussistano le medesime esigenze di prevenire gli abusi che hanno ispirato il legislatore comunitario rispetto alla reiterazione dei contratti a termine.

La mancata indicazione delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine al contratto, poi prorogato, dà luogo ad una abusiva reiterazione del contratto a termine, che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE. e dà luogo al diritto al risarcimento del danno secondo i principi sanciti da Cass., S.U., n. 5072 del 2016, non trovando applicazione nel pubblico impiego contrattualizzato la misura della trasformazione.

Ed infatti la nullità del primo contratto acausale si riverbera anche sulla proroga, con conseguente illegittimità della reiterazione.

7. Ne deriva che la sentenza impugnata, che ha confermato la statuizione di primo grado che aveva quantificato il risarcimento nella misura di venti mensilità dell’ultima retribuzione, va cassata in relazione ai suddetti motivi accolti nei termini sopra indicati, con rinvio alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio, che dovrà applicare alla fattispecie in esame i principi di cui alla sentenza Cass., S.U., n. 5072 del 2016.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie per quanto in motivazione il secondo ed il terzo motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio. alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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