Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25330 del 12/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 12/12/2016, (ud. 03/11/2016, dep.12/12/2016),  n. 25330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9271-2015 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA

2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNI CIGLIOLA in virtù di mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE FRAGAGNANO, P.IVA (OMISSIS), in persona del Sindaco legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DI MONTE FIORI 22, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

GATTAMELATA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO NICOLA

FORTUNATO giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 396/2014 della CORTE D’APPELLO DI LECCE –

SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, emessa il 27/09/2014 e depositata il

15/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato Fortunato Antonio Nicola, per il controricorrente,

che si riporta agli scritti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. Nel 2008 C.A. convenne dinanzi al Tribunale di Taranto il Comune di Fragagnano, chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza di una caduta, imputata dall’attrice a responsabilità del Comune, perchè causata da un marciapiede dissestato.

Il Tribunale di Taranto, sezione di Grottaglie, con sentenza 27.10.2011 accolse la domanda.

La Corte d’appello di Taranto, adita dal Comune, con sentena 15.10.2014 n. 396 accolse in parte il gravame, attribuendo alla vittima una corresponsabilità del 50% nella produzione del danno.

Ritenne la Corte d’appello che Annuziata Caforio, adoperando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto avvedersi del pericolo ed evitarlo.

La sentenza d’appello è impugnata per cassazione da Annunziata Caforio con ricorso fondato su due motivi.

2. Col primo motivo di ricorso la ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare un “fatto decisivo”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Questo fatto decisivo sarebbe rappresentato dalla circostanza che l’infortunio perchè la pietra delimitatrice del marciapiede, su cui la vittima appoggiò il piede, era malferma, e cedendo sotto il peso della passante provocò la caduta di quest’ultima.

La Corte d’appello, invece, avrebbe ritenuto che la caduta avvenne sul “piano stradale”, e di conseguenza ritenuto sussistente una colpa della vittima perchè le condizioni di quest’ultimo erano ben visibili.

Il motivo è manifestamente infondato.

Dalla motiva pione della sentenza non sembra affatto che la Corte d’appello abbia confuso il marciapiede con la strada, e frainteso le prospettazioni attoree.

A p. 4 della sentenza, primo capoverso, si afferma infatti espressamente che l’attrice patì il danno di cui chiedeva il risarcimento a causa d’una caduta “sul marciapiede”.

A p. 5, ultimo capoverso, si ribadisce che l’attrice “doveva essere consapevole delle insidie presenti sul marciapiede”.

Non vi è stato dunque alcun omesso esame di fatti decisivi.

Stabilire, poi, se l’esistenza d’una pietra malferma possa o non possa essere prevista da un pedone è una valutazione squisitamente di merito, non sindacabile in questa sede.

3. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2051 c.c..

Sostiene che la norma ora ricordata non consentirebbe di affermare la responsabilità d’un pedone che cada salendo su un marciapiede traballante.

Il motivo è manifestamente infondato.

La presunzione posta dall’art. 2051 c.c. a carico del custode è vinta dalla prova del caso fortuito, ed il caso fortuito può consistere anche nella colpa concorrente od esclusiva della vittima.

Nel nostro caso il giudice di merito ha ritenuto sussistente questa colpa, ed il relativo accertamento è questione di fatto, non di diritto.

Non pertinente è il richiamo compiuto dal ricorrente al decisum di Sez. 6-3, 23.10.2014 n. 22528, non massimata, la quale non ha affatto affermato che un pedone abbia diritto ad essere risarcito solo perchè inciampi in un marciapiede, ma ha semplicemente cassato con rinvio una sentenza di merito che, nel caso di danni da insidia stradale, aveva ritenuto che la responsabilità della p.a. potesse essere affermata solo (ove) il pericolo fosse oggettivamente esistente e soggettivamente imprevedibile, secondo la teoria c.d. dell'”insidia o trabocchetto”.

4. Si propone pertanto il rigetto del ricorso.

2. La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione.

Ritiene, invece, non decisive le contrarie osservazioni svolte dalla ricorrente nella propria memoria.

4. Nella propria memoria la ricorrente spiega di avere lamentato, col primo motivo del proprio ricorso, l’omesso esame, da parte della Corte d’appello di due fatti decisivi e controversi: non solo l’inesatta individuazione del luogo esatto della caduta (la strada invece che il marciapiede), ma anche la mancanza di illuminazione pubblica nel punto ove avvenne il fatto. Soggiunge che la circostanza della assenza di illuminazione pubblica era stata dedotta con l’atto di citazione; che era emersa dalle deposizioni dei testimoni P.V. e M.M.I.; e che aveva formato oggetto di discussione sia in primo grado che in appello.

Osserva che la Corte d’appello, nonostante ciò, ha ritenuto sussistere un concorso di colpa della vittima, il quale è inconcepibile nel caso di pericolo occulto perchè non illuminato e non visibile.

4.1. Ritiene il Collegio che le osservazioni sopra riassunte non consentano di accogliere il ricorso.

La Corte d’appello di Taranto doveva stabilire se l’amministrazione comunale fosse responsabile dei danni patiti da una donna inciampata su un marciapiede.

Per stabilire ciò ha:

(a) affermato in iure che la p.a. risponde dei danni causati dalle cose che ha in custodia, salvo il concorso causale del fatto della vittima;

(b) ritenuto in facto che nel caso di specie la vittima avesse concausato se medesima il danno, perchè era o sarebbe dovuta essere “consapevole delle insidie presenti sul marciapiede” (così la sentenza, p. 5).

4.2. La prima delle suddette statuizioni, come accennato, è conforme a diritto.

La seconda delle suddette statuizioni è immune dal vizio di omesso esame d’un fatto controverso.

La Corte d’appello ha ritenuto che la vittima, vivendo nel luogo dove avvenne l’incidente, conoscesse le condizioni del marciapiede, evidentemente per averle già viste in precedenza.

La Corte d’appello, di conseguenza, ha ritenuto la vittima in colpa non già per non avere avvistato un pericolo in realtà non avvistabile; ma per avere percorso un tratto di strada che la vittima sapeva già da prima essere insidioso.

Ebbene, giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, rispetto ad essa la circostanza che la strada al momento del fatto fosse illuminata o meno è ovviamente irrilevante. Il fatto che si assume trascurato dalla Corte d’appello, pertanto, non era “decisivo” rispetto all’economia della decisione.

5. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

6. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

La Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

– rigetta il ricorso;

– condanna C.A. alla rifusione in favore di Comune di Fragagnano delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 5.200, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2, comma 2;

– dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di C.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 3 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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