Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2533 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 31/01/2017, (ud. 30/11/2016, dep.31/01/2017),  n. 2533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24403/2012 proposto da:

V.L. O ( L.) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 12, presso lo studio dell’avvocato MARCO

MONTOZZI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANPAOLO BUONO;

– ricorrente –

contro

P.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

A. DEPRETIS 60, presso lo studio dell’avvocato DONATELLA CERE’,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO IACONO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2895/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato ANDREA PROVINI, con delega dell’Avvocato GIANPAOLO

BUONO difensore della ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato DONATELLA CERE’, con delega dell’Avvocato ANTONIO

IACONO difensore del controricorrente, che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento di motivi

del ricorso con esclusione dei primi due motivi.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

V.L. (o L.) e V.V.A., quali comproprietari di un fabbricato in contrada (OMISSIS) convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli il confinante P.C., il quale aveva effettuato lavori di ristrutturazione al proprio contiguo fabbricato, con realizzazione di opere – a dire degli attori – lesive dei loro diritti.

Parti attrici chiedevano, quindi, l’accertamento della violazione dell’art. 872 c.c., in dipendenza della realizzazione delle nuove fabbriche da parte del vicino convenuto, che andava condannato al risarcimento dei danni e al ripristino dello status quo ante.

Costituitosi in giudizio il P. chiedeva il rigetto per infondatezza dell’avversa domanda e, in via riconvenzionale, instava per la condanna degli attori all’abbattimento del muro di blocchetti, di cui in atti, realizzato a distanza inferiore a metri tre da una sua veduta, nonchè alla regolarizzazione ex art. 901 c.c., di una loro finestra.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 4871/99, ordinava al P. di impedire, come da specificazioni in CTU, lo stillicidio di acque dal proprio terrazzino nella proprietà attorea, rigettando – per tutto il resto – le altre domande attoree e quella riconvenzionale e compensando integralmente le spese di lite.

Interponevano distinti appelli avverso la succitata sentenza del Giudice di prima istanza il P. e la V.L..

L’adita Corte di Appello di Napoli, riuniti i giudizi scaturiti dai detti proposti gravami, con sentenza n. 2895/2011, accoglieva l’appello proposto dalla V., per quanto di ragione, condannando il P. ad innalzare il muretto divisorio delimitante la parte anteriore del proprio terrazzino;

accoglieva parzialmente l’appello del P. e condannava la V. alla riduzione a distanza ex art. 907 c.c., del muro in blocchi posizionato sul lastrico solare di sua proprietà, il tutto con conferma – nel resto – della gravata decisione e compensazione delle spese di lite tra le parti.

Per la cassazione della succitata decisione della Corte territoriale ricorre la V.L. con atto affidato a nove motivi e resistito con controricorso dal P..

Ha depdsitato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la parte ricorrente.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di violazione e falsa applicazione degli artt. 342, 112 e 324 c.p.c., nonchè il vizio di carenza motivazionale su un punto decisivo della controversia.

Il P. – secondo la prospettazione di cui al motivo in esame – si sarebbe limitato in appello a dedurre solo la “non corretta applicazione dell’art. 907 c.c., senza muovere critica sul rigetto anche per mancata indicazione del titolo costitutivo della servitù di veduta”.

Da tanto, sempre secondo l’assunto della ricorrente, sarebbe derivata la mancata impugnazione e, quindi, per conseguenza il denunciato vizio della gravata decisione.

Il motivo è infondato.

L’appello proposto dal P.; invero, censurava la statuizione di primo grado laddove veniva lamentata la mancata ammissione della prova in ordine all’esistenza della servitù.

In ogni caso va rammentato che, per la sua natura, il diritto reale di cui si discute rientra nel novero dei diritti autodeterminati per i quali – secondo noti principi già affermati da questa Corte – non sarebbero configurabili le limitazioni (preclusioni e decadenze) all’esercizio del diritto stesso e la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c..

A tal riguardo non può che richiamarsi il condiviso principio che questa Corte ha già avuto modo di enunciare e secondo il quale “i diritti reali, in quanto diritti assoluti, appartengono alla categoria dei diritti c.d. autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte. Pertanto, da un lato l’attore può mutare titolo della domanda senza incorrere nelle preclusioni della modifica della “causa petendi”, dall’altro il giudice può accogliere il “petitum” in base ad un titolo diverso da quello dedotto senza violare il principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c.” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sentenza 24 novembre 2010, n. 23851, nonchè -conformemente – Cass., n. n. 22598/2010).

Il motivo deve, pertanto, essere respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, di violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. e artt. 900, 905, 1058 e 1061 c.c., nonchè il vizio di. carenza motivazionale su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo svolge complessivamente censure attinenti ad un triplice profilo argomentativo.

Parte ricorrente postula – innanzitutto – che, in violazione del divieto di estendere le statuizioni del Giudice di appello al di fuori dei limiti dei motivi di impugnazione proposti, la Corte distrettuale ha finito per “pronunciarsi extrapetitum sull’avverso gravame, ritenendo integrata la servitù di veduta”.

Il motivo, sotto tale esposto aspetto, è infondato per lo stesso ordine di ragioni (natura del diritto reale fatto valere) in base al quale è stato respinto il motivo che precede.

Nella sostanza non è, in ipotesi, ravvisabile una pronuncia extra petitum.

Sotto un secondo profilo argomentativo si deduce, con la censura in esame, un “travisamento della situazione dei luoghi” (costituente eventuale errore revocatorio, come sembra ritenere anche dalla parte ricorrente a pag. 46 del ricorso).

Orbene tale travisamento non risulta ricorrere nella fattispecie, giacchè la Corte di merito ha accertato che l’immobile della parte ricorrente è in aderenza ad una parte del fabbricato del P., dando atto che il muretto, di cui si controverte, è stato realizzato dalla V. in aderenza.

Con riferimento, quindi, ai due detti profili i motivo qui in esame non è fondato.

Viceversa lo stesso motivo (nei limiti di cui si dirà di seguito) risulta fondato relativamente al solo ulteriore profilo delle doglianze mosse alla gravata decisione dalla ricorrente con riguardo alla distanza tra la finestra del P. e la proprietà della ricorrente.

Più specificamente in ricorso viene dedotto che la finestra veduta in ordine alla quale il controricorrente ha rivendicato la servitù si apre sullo spazio aereo che costituisce la proiezione del locale di proprietà della V. e del lastrico solare con il muretto per il quale veniva disposto l’arretramento.

L’impugnata sentenza non ha considerato che la distanza della detta finestra doveva, a termini di legge. Essere di metri 1,50 dall’immobile della V. ed, ancora, che la detta distanza andava calcolata dalla proiezione del piano ideale elevato perpendicolarmente sulla linea di confine.

Al riguardo deve rammentarsi il noto condiviso principio già enunciato da questa Corte per cui “nell’ipotesi in cui il fondo su cui insiste il fabbricato sul quale si vuole aprire una veduta e quello confinante, edificato o non, sul quale la stessa è destinata ad essere esercitata, siano siti a livelli o a piani diversi, la distanza minima di m. 1,50 che la veduta deve rispettare dal confine del fondo finitimo, ai sensi dell’art. 905 c.c., comma 1, deve essere misurata tra la soglia della veduta, o faccia esteriore” del muro in cui la stessa si apre, ed il piano ideale elevato perpendicolarmente sulla linea di confine tra i due fondi” (Cass., Sez. Seconda, Sentenza 19 ottobre 1988, n. 5683, nonchè Cass. n. 1927/1969).

Peraltro, ancora, la verifica dell’osservanza della detta distanza nel rispetto del criterio innanzi enunciato della proiezione perpendicolare poteva comunque essere accertato anche d’ufficio dal Giudice del merito (Cass. n. 18030/2010).

Nella fattispecie, quindi, la Corte distrettuale ha ritenuto erroneamente l’esistenza di un diritto, a favore della proprietà P., di veduta, che rispettava la succitata distanza di legge dal fondo ovvero dalla proiezione perpendicolare delle proprietà della V..

In ragione di tale errore e, nel limite di tale solo profilo, il motivo deve essere accolto.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamentala, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 900, 905, 907, 1058, 1061 e 1158 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione. Nella sostanza col motivo qui in esame si deduce che la Corte distrettuale ” pronunciandosi su una domanda che non avrebbe dovuto esaminare (ut supra)……ha finito per riconoscere servitù in mancanza allegazione… e senza titolo”.

Viene, insomma, riproposta – con diversa prospettazione – la medesima questione del diritto di servitù di veduta già sollevata con gli esaminati motivi sub 1. e 2., questione risolta con l’infondatezza della preclusione del riconoscimento della servitù e con accoglimento in relazione al difetto del rispetto della distanza di legge della finestra veduta.

Pertanto il motivo qui in esame va ritenuto assorbito.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione falsa applicazione della L. n. 1865, art. 5, all. E, abolitrice del contenzioso amministrativo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, notichè il vizio di carenza motivazionale.

Viene svolta doglianza in ordine alla erronea ed immotivata valutazione sull’aspetto della controversia lamentato dalla V. e relativo alla illegittima edificazione delle fabbriche del P. Per contrasto con la vigente “normativa edilizia del Comune di Forio d’Ischia”, nonchè alla conseguente illegittimità della licenza edilizia n. 333 del 19 novembre 1975.

Il motivo non può essere accolto.

Il riferimento alla legittimità o meno della succitata licenza edilizia (rilasciata fatti salvi i diritti dei terzi e comunque impugnabile dagli interessati innanzi al competente Giudice amministrativo) è del tutto inconferente nei rapporti fra privati, come quello oggetto del giudizio.

Il motivo è; quindi, infondato e va rigettato.

5.- Con il quinto motivo si denuncia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 871 e 872 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., nonchè – ancora – carenza motivazionale.

Viene lamentata col motivo in scrutinio la “pretermissione elementi documentali certi ed univoci, come quelli rappresentati dalle fotografie di data certa che raffiguravano la condizione del fabbricato del P. prima e dopo l’intervento di ristrutturazione”.

La censura in esame attiene ad aspetti di valutazione delle prove ritenute necessarie e, quindi, si risolve in una censura su valutazioni compiute dal Giudice del merito sugli accertamenti di fatto, come tali non sindacabili nel giudizio di legittimità allorchè, così come in ipotesi, fondati su congrue motivazioni immuni da vizi logici censurabili.

Il motivo, dunque, è infondatò e va respinto.

6.- Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 11 disp. gen. e degli artt. 871, 872 e 873 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè del D.M. 3 marzo 1975 e del D.M. 24 gennaio 1986, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè carenza motivazionale.

La cesura svolta col motivo in esame attiene, in concreto, alla ritenuta erronea esclusione nella fattispecie per cui è causa dell’applicabilità delle norme tecniche dettate per zone sismiche.

Il motivo non può essere accolto.

L’impugnata sentenza ha correttamente ritenuto che la realizzazione dei manufatti edilizi era stata portata a compimento in data anteriore all’inserimento del Comune di Forio d’Ischia nell’elenco dei comuni a rischio sismico, motivo per il quale non poteva invocarsi la detta applicazione della normativa antisismica.

Il motivo è, perciò, infondato e va rigettato.

7.- Con il Settimo motivo si deduce la violazione degli artt. 871, 872 c.c. e L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 septies, comma 1 e D.M. 1 aprile 1968, n. 1404, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio di carenza motivazionale.

Parte ricorrente lamenta che “la Corte territoriale ha immotivatamente limitato l’applicazione delle norme sulle distanze anche dalle strade solo alle nuove costruzioni e non anche (come nell’ipotesi) alle ristrutturazioni”.

Il motivo non è fondato.

La norme regolante l’invocata fattispecie è la L. n. 1150 del 1942, art. 41 septies, come integrato dal D.M. n. 1404 del 1986 al fine precipuo di regolare, anche attraverso le prescritte distanze dal ciglio stradale, l’assetto del territorio (come già affermato da Cass. n. 21939/2013).

La sentenza gravata ha correttamente accertato che la costruzione originaria del P. era costituita da un piano terra ed un primo piano e che erano state realizziate delle elevazioni, al primo ed al secondo piano, le quali non avevano modificato l’intero fronte del fabbricato al piano terra al ciglio della strada.

In altre parole gli ampliamenti realizzati dal controricorrente non prospettavano immediatamente sulla strada, motivo questo per cui non andava sollevata nè poteva essere invocata nella fattispecie la questione della distanza dal ciglio stradale.

Il motivo deve, perciò, essere respinto.

8.- Con l’ottavo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 872, 2697 c.c. e artt. 112 e 61 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè carenza motivazionale.

Il motivo si risolve, nella sostanza, in una censura di accertamenti di fatto correttamente svolti nella sede propria del giudizio di merito e sorretti da congrua motivazione immune da vizi logici rilevabili in questa sede.

Con la dedotta carenza motivazionale si tende, in effetti, ad una inammissibile revisione del ragionamento decisorio del Giudice del merito.

A riguardo e conclusivamente va riaffermato il principio per cui “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga una totale obliterazione di elementi” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148).

Nè, d’altra parte, “il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, può equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 no novembre 2013, n. 25608).

Il motivo va, quindi, rigettato nel suo complesso.

9.- Con il nono ed ultimo motivo del ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 2727 c.c. e dell’art. 61 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè carenza motivazionale.

Il motivo si incentra sulla questione inerente la realizzazione del cordolo sul muro comune.

Al fine della mossa censura per vizio di violazione di legge, in particolare dell’art. 1102 c.c., parte ricorrente non ha ottemperato al prescritto onere di allegazione quanto alla trascrizione ed indicazione della specifica censura (che doveva essere già svolta in appello) relativamente alla detta violazione.

Sotto tale profilo il motivo è carente per mancanza di autosufficienza.

Quanto alla pure lamentata carenza motivazionale in relazione al detto cordolo essa è del tutto infondata.

Infatti, in ordine all’aspetto (che risulta effettivamente sollevato dalla ricorrente nel giudizio di appello) del preteso “evidente pregiudizio. per la stabilità statica e la sicurezza delle fabbriche”, pregiudizio conseguente alla realizzazione del Cordolo, l’impugnata sentenza non ha affatto omesso di motivare.

Anzi adeguato spazio della decisione gravata è dedica iato appositamente a tale sollevato aspetto del cordolo escludendo comunque ogni “pregiudizio alla statica ed alla sicurezza delle fabbriche”, anche alla stregua della svolta relazione di consulenza tecnica svolta nel primo grado del giudizio.

Il motivo è, quindi, infondato nel suo complesso e va rigettato. 10.- Alla stregua di tutto quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso va accolto limitatamente al secondo motivo e nei limiti di cui innanzi con cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli, che provvederà a decidere la controversia uniformandosi alla presente decisione.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo e rigettati i rimanenti motivi dello stesso, cassa – in relazione al motivo accolto – l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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