Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2533 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. III, 04/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 04/02/2021), n.2533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28905/2019 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

ELISABETTA UDASSI, ED ELENA LEDDA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 642/2019 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI,

depositata il 18/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

M.A., cittadino (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire violenze e ritorsioni da parte di familiari per ragioni di carattere economico, e per il timore di essere arrestato dopo essere stato denunciato alla polizia per furto da un fratello;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento M.A. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Cagliari, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 28/2/2018;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Cagliari con sentenza in data 18/7/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dalla sostanziale inattendibilità del racconto, in relazione al relativo carattere stereotipato e frutto di pura invenzione; 2) della mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da M.A. con ricorso fondato su dieci motivi;

il Ministero dell’interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge derivante dalla illegittimità del provvedimento originariamente emesso dalla Commissione territoriale competente, in considerazione della irritualità della relativa composizione e della relativa sottoscrizione da parte del solo Presidente, evidenziando altresì l’illegittimità costituzionale della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., nella parte in cui non consentirebbero l’esame dei vizi di legittimità del provvedimento amministrativo impugnato, con grave discriminazione ai danni del richiedente asilo politico;

con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge derivante dalla mancata traduzione, in lingua comprensibile al destinatario, del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale competente, evidenziando l’illegittimità costituzionale della disciplina nella specie applicabile in relazione agli artt. 3,24 e 111 Cost., nella parte in cui non consentirebbero la traduzione in lingua comprensibile all’interessato dei provvedimenti emessi in materia di protezione internazionale;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;

osserva in via preliminare il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di immigrazione, la nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel giudizio introdotto dal ricorso al tribunale avverso il predetto provvedimento poichè tale procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicchè deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo (Sez. 1, Ordinanza n. 17318 del 27/06/2019, Rv. 654643 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 18632 del 03/09/2014, Rv. 631940 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23472 del 06/10/2017, Rv. 646039 – 02);

in forza di tale premessa, deve escludersi che gli eventuali vizi connessi alla composizione della Commissione territoriale, o alla formazione materiale dell’atto conclusivo del procedimento, possano incidere sul persistente diritto del richiedente a ottenere una decisione il giudice ordinario sul merito delle prerogative connessi alla richiesta di asilo, con la conseguente manifesta irrilevanza della questione di illegittimità costituzionale sollevata in questa sede;

quanto alle contestazioni concernenti la nullità del provvedimento impugnato, in ragione della relativa mancata traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato, è appena il caso di richiamare l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte nella parte in cui evidenzia come l’eventuale nullità del provvedimento amministrativo emesso dalla Commissione territoriale in tema di protezione internazionale, per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non esoneri il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda, poichè oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando in sè la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27337 del 29/10/2018, Rv. 651147 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 7385 del 22/03/2017, Rv. 643652 – 01), sicchè tale giudizio non può concludersi con una mera declaratoria d’invalidità del diniego amministrativo, ma deve pervenire alla decisione sulla spettanza o meno del diritto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, comma 10 (Sez. 1, Ordinanza n. 17318 del 27/06/2019 cit.; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26480 del 09/12/2011, Rv. 620691 – 01);

quanto, infine, all’ulteriore questione di legittimità costituzionale sollevata, varrà sottolineare come questa Corte abbia già avuto occasione di dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.P.R. n. 303 del 2004, art. 4, vigente ratione temporis), D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 e art. 702-bis c.p.c., nonchè della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, in relazione agli artt. 3,24 e 10 Cost., ed all’art. 6 Cedu, per le diverse conseguenze derivanti dalla mancata traduzione del provvedimento della Commissione territoriale rispetto a quelle derivanti dalla mancata traduzione del decreto di espulsione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, poichè, nel primo caso, il disposto del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 9, oggi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis – che richiede una statuizione di merito in ordine alla spettanza o meno del diritto alla protezione internazionale, senza prevedere una decisione di mero annullamento del provvedimento negativo della Commissione territoriale – si giustifica poichè la rimozione di tale atto non è idonea ad incidere sulla situazione giuridica sostanziale del richiedente protezione, mentre, nel secondo caso, l’annullamento del provvedimento di espulsione di per sè ripristina il diritto sostanziale dell’espellendo illegittimamente inciso, così realizzando il suo interesse protetto ponendo termine al processo;

è inoltre, infondato il richiamo all’art. 24 Cost. e art. 6 Cedu poichè il diritto a un equo processo risulta garantito pienamente, al pari di quello dell’espellendo, mediante la possibilità per il richiedente di adire il giudice e così dispiegare compiutamente ogni sua difesa nell’ambito del processo (Sez. 1, Ordinanza n. 17318 del 27/06/2019 cit.; Sez. 1, Sentenza n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226 – 01);

con il terzo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, nonchè per omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere il giudice a quo erroneamente escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria in favore del ricorrente, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, escludendo infondatamente il riconoscimento della situazione di violenza indiscriminata che coinvolge l’intero Gambia e i concreti rischi per l’incolumità fisica dell’odierno richiedente;

con il quarto motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e dell’omesso esame di fatti decisivi controversi, derivanti dall’omesso riconoscimento del diritto del richiedente al conseguimento delle forme di protezione internazionale rivendicate;

con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione di legge e dell’omesso esame di fatti decisivi controversi, derivanti dal mancato riconoscimento dei presupposti previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per l’attribuzione della protezione sussidiaria in favore dell’istante;

con il sesto, il settimo, il nono e il decimo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e dell’omesso esame di fatti decisivi controversi, derivanti dal mancato riconoscimento della protezione umanitaria rivendicata dal richiedente;

con l’ottavo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il giudice a quo erroneamente condotto la valutazione di credibilità delle dichiarazioni rese dall’istante nel corso del procedimento;

il terzo motivo (concernente il riconoscimento della protezione sussidiaria), l’ottavo motivo (relativo alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni dell’istante), nonchè il settimo, il nono e il decimo motivo (riguardanti il riconoscimento della protezione umanitaria) sono fondati (per le ragioni di cui appresso) e suscettibili di assorbire la rilevanza del quarto, quinto e sesto motivo;

preliminarmente, con riguardo all’ottavo motivo (relativo alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni dell’istante), osserva il Collegio come la valutazione in ordine all’attendibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, nel trattare della questione relativa alla credibilità della vicenda narrata dal ricorrente, si è inammissibilmente limitato a giudicare insussistenti i presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale rivendicate dal ricorrente in forza della laconica e apodittica affermazione del carattere stereotipato del relativo racconto, ritenuto frutto di pura invenzione;

ciò posto, varrà considerare come la corte territoriale abbia propriamente trascurato di circostanziare e articolare la valutazione di credibilità del richiedente in rapporto a ciascuno dei parametri di attendibilità dichiarativa sul cui necessario rilievo insiste la disposizione imperativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, finendo col porsi in evidente contrasto con i canoni di interpretazione delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale espressamente raccomandati dalla legge e, più in generale, con la struttura “procedimentale” e “comprensiva” del ragionamento argomentativo imposto ai fini del controllo di quelle stesse dichiarazioni;

in forza di tali premesse, le lacune indicate devono ritenersi tali da riflettersi inevitabilmente sulla legittimità della motivazione in thema dettata dal giudice di merito, atteso che il mancato rispetto del “modello legale di lettura” delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo vale a escludere l’avvenuta giustificazione, in modo legalmente adeguato, del giudizio di inattendibilità così espresso dal giudice di merito;

quanto al terzo motivo (concernente il riconoscimento della protezione sussidiaria), varrà osservare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente;

al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608 – 01), purchè si tratti di fonti qualificate e affidabili, provenienti da organismi dotati di competenze, informative e collaborative, nella materia della protezione internazionale, in conformità alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1-bis (cfr., al riguardo, Sez. 1, Ordinanza n. 11103 del 19/04/2019, Rv. 653465 – 01);

nel caso di specie, la corte territoriale non ha adeguatamente assolto ai propri doveri di cooperazione istruttoria nei termini specificati, essendosi inammissibilmente limitata al richiamo, peraltro generico e del tutto laconico, di informazioni sulla situazione complessiva del paese di provenienza del ricorrente senza alcuna indicazione delle fonti di provenienza delle stesse, con la conseguente impossibilità, tanto di operarne un controllo, quanto di prospettare le premesse di un contraddittorio adeguato;

quanto, infine, al settimo, al nono e al decimo motivo (riguardanti il riconoscimento della protezione umanitaria), osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U., Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02; Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01);

nella ricordata decisione delle Sezioni Unite, si è dunque sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;

in particolare, il giudice di merito, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, sarà tenuto a coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc.;

in questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi, dal giudice di merito, in termini obiettivi) varrà – non già a tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale bensì a declinarsi e sintetizzarsi in un giudizio “personalizzato” mediante la ponderazione, di quelle generali condizioni del paese di origine, con l’incidenza che le stesse finirebbero per assumere sulla storia di vita (sulla “biografia”) del richiedente, alla luce del principio che impone in ogni caso la salvaguardia della dignità della persona;

in tal senso, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica (“vulnerabilità”) consisterà propriamente nella verifica del grado di aggressione (“qualitativa”) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 02; e Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020);

proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese;

nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità;

ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo si è inammissibilmente limitato ad affermare, in termini meramente apodittici, l’insussistenza di effettive condizioni di vulnerabilità o di potenziale compromissione dei diritti fondamentali ascrivibili al ricorrente, tenuto conto di alcuna effettiva conferma probatoria sul punto, con il conseguente riconoscimento del ricorrente alla stregua di un migrante per meri motivi economici, trascurando così totalmente di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. “minimo costituzionale”;

sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del terzo, del settimo, dell’ottavo, del nono e del decimo motivo (dichiarati inammissibili il primo e il secondo e assorbiti il quarto, il quinto e il sesto), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il terzo, il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo motivo; dichiara inammissibili il primo e il secondo; dichiara assorbiti il quarto il quinto e il sesto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

 

 

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