Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25327 del 22/12/2016

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2016, (ud. 03/11/2016, dep. 12/12/2016), n.25327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 850-2015 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GABI 8,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO RIVELLI, che lo

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato

MICHELE GABRIELE giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI APRILIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5869/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

emessa il 19/09/2014 e depositata il 26/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato Maria Grazia Fulco, per il resistente, che si

riporta agli atti ed insiste per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. Nel 2001 G.A. convenne il Comune di Aprilia dinanzi al Tribunale di Latina, esponendo che:

– svolgeva lavori socialmente utili in favore del Comune di Aprilia;

– il (OMISSIS), mentre eseguiva lavori di potatura, cadde da una scala a pioli, subendo lesioni personali.

Chiese pertanto la condanna del Comune al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’infortunio.

2. Con sentenza 16.4.2007 n. 1393 il Tribunale di Latina accolse la domanda. La sentenza venne appellata in via principale da G.A., ed in via incidentale dal Comune.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 26.9.2014 n. 5869, respinse tutti e due i gravami.

3. G.A. ha proposto ricorso per cassa:zione avverso la sentenza d’appello, fondato su due motivi.

4. Col primo motivo il ricorrente deduce che il Tribunale – con statuizione confermata dalla Corte d’appello – ha liquidato il danno biologico patito dalla vittima sottraendo dal grado invalidità permanente ritenuto sussistente in concreto (25%) il grado di inabilità lavorativa accertato dall’INAIL ai fini della corresponsione della rendita prevista dal D.P.R. 30 giugno 1963, n. 1125 (16%). Ha, di conseguenza, monetizzato una invalidità permanente del 9%.

Tale statuizione sarebbe tuttavia erronea, perchè dal credito avente ad oggetto il risarcimento del danno biologico non può essere detratto l’indennizzo pagato dall’INAIL.

4.1. Il motivo è manifestamente fondato, ovviamente secondo la disciplina applicabile ratione temporis.

L’infortunio oggetto del presente giudizio è i fatti avvenuto il (OMISSIS).

A quella data, l’INAIL indenniva unicamente la lesione della “attitudine al lavoro”, e non il danno biologico.

A quest’ultimo tipo di pregiudizio la copertura INAIL è stata estesa solo per effetto del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13.

Il comma 2 del suddetto articolo ha stabilito che le nuove norme si applicassero “ai danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3″: tale decreto (ovvero il D.M. 12 luglio 2000) è stato pubblicato sulla Gazz. Uff. 25.7.2000, ed è quindi entrato in vigore il 9.8.2000.

Ne consegue che all’epoca dell’infortunio (1996) il danno biologico non era indennizzato dall’Inail, ed il relativo credito risarcitorio nei confronti del responsabile non poteva essere decurtato per effetto dell’intervento dell’assicuratore sociale, come ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale (ex permultis, Corte cost., 18-07-1991, n. 336).

5. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il vizio di omessa pronuncia. Deduce che la Corte d’appello non ha provveduto sulla sua richiesta di risarcimento del danno morale e di quello biologico temporaneo.

Il motivo è inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza: il ricorrente infatti, in violazione dei precetti di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, e art. 369 c.p.c., non indica in quale atto e con quali termini abbia:

(a) formulato la relativa domanda in primo grado;

(b) reiterato la domanda nel grado di appello.

6. Si propone pertanto l’accoglimento del solo primo motivo di ricorso, e la cassazione con rinvio della sentenza impugnata”.

2. La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, con la quale ha insistito per l’accoglimento di ambedue i motivi del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. In data 24.7.2015 l’avv. Maria Grazia Fulco ha deposito un atto, intitolato “Costituzione”, nel quale riferisce di avere ricevuto mandato dal Comune di Aprilia per essere difeso nella presente sede. L’atto reca in margine una procura speciale alle liti, sottoscritta dal sindaco del Comune di Aprilia ed autenticata dall’avv. Maria Grazia Fulco.

3.1. Il suddetto atto, che ovviamente non può qualificarsi “controricorso” in quanto tardivo, è nullo.

Infatti la possibilità per l’avvocato di autenticare la sottoscrizione del cliente, quando la procura sia apposta su atti diversi da quelli indicati dall’art. 83 c.p.c., comma 3, vige per i soli giudizi instaurati in primo grado dopo l’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, (ovvero il 4 luglio 2009).

Per i giudizi già pendenti a tale data, invece, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83 c.p.c., comma 2, (ex Sez. 3, Sentenza n. 18323 del 27/08/2014, Rv. 632092; Sez. 5, Ordinanza n. 7241 del 26/03/2010, Rv. 612212).

Il presente giudizio iniziò in primo grado nel 2001, e dunque la suddetta norma non è ad esso applicabile.

4. Per quanto attiene il primo motivo di ricorso, il Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione, con le precisazioni che seguono.

La Corte d’appello di Roma era chiamata a liquidare il danno alla persona patito da un lavoratore in conseguenza di infortunio sul lavoro.

E’ pacifico in causa che il lavoratore abbia già percepito un indennizzo da parte dell’assicuratore sociale.

Il Tribunale, dunque, doveva stabilire se ed in che misura tale indennizzo andasse a defalco del credito risarcitorio vantato dalla vittima nei confronti del responsabile.

4.1. Per dare risposta a tale quesito il Tribunale avrebbe dovuto stabilire, in primo luogo, quale pregiudizio avesse ristorato l’assicuratore sociale, secondo la disciplina applicabile ratione temporis.

infatti, fino al 2000 indennizzava la perdita della “attitudine al lavoro” di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 74,comma 2; mentre dopo il 2000 (per effetto del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38) l’INAIL indennizza il danno biologico, come definito dall’art. 13, del decreto appena citato. La distinzione rileva perchè tanto questa Corte, quanto la Corte costituzionale, hanno escluso che il credito risarcitorio della vittima di un danno biologico potesse essere decimato in misura pari all’indennizzo pagato al danneggiato, da parte dell’assicuratore sociale, a titolo di ristoro della “lesione dell’attitudine al lavoro”. Al contrario, la percezione da parte della vittima d’un indennizzo pagato dall’INAIL a titolo di ristoro del danno biologico, riduce in misura corrispondente il credito aquiliano verso il responsabile civile del danno.

4.2. In secondo luogo, anche qualora fosse emerso che nel presente giudizio G.A. avesse percepito dall’INAIL un indennizzo a titolo di ristoro del danno biologico, D.Lgs. n. 38 del 2000, ex art. 13, cit., il calcolo del danno differenziale si sarebbe dovuto compiere:

(a) determinando il valore monetario del danno civilistico, liquidato secondo i criteri ordinari (art. 1226 c.c.);

(b) determinando il valore capitale della rendita INAIL alla data della liquidazione;

(c) sottraendo l’importo (b) dall’importo (a).

La differenza, detto altrimenti, va fatta tra le somme di denaro, non tra le percentuali di invalidità permanente, e ciò per due ragioni.

La prima ragione è che l’INAIL determina il grado di invalidità permanente in base al quale calcolare la rendita in base alle percentuali di invalidità di cui alle tabelle approvate con D.M. 12 luglio 2000, mentre ai fini del calcolo del danno aquiliano il grado di invalidità permanente viene determinato con criteri non imposti dalla legge, ma elaborati dalla scienza medico legale (ad esempio, il barème pubblicato sotto l’egida della Società Italiana di Medicina Legale). E tra i due criteri non vi è assoluta coincidenza.

La seconda ragione è che la liquidazione del danno biologico col criterio equitativo c.d. “a punto”, utilizzato dalla Corte d’appello nel caso di specie, si fonda su una progressione geometrica del valore del singolo punto d’invalidità: ad invalidità doppie, quindi, corrispondono valori monetari del singolo punto d’invalidità più che doppi.

La Corte d’appello pertanto, facendo la differenza tra il grado di “inabilità” accertato dall’INAIL,, e quello di “invalidità” desumibili dai criteri civilistici, e convertendo in denaro la differenza, ha posto a base del calcolo un valore monetario del singolo punto di invalidità inferiore a quello corrispondente all’effettiva invalidità della vittima: ovvero il valore del 9 punto di invalidità, invece che quello del 25 punto di invalidità.

5. Per quanto attiene il secondo motivo di ricorso, ritiene il Collegio che esso sia ammissibile, e che quindi non possa condividersi, sul punto, la proposta contenuta nella relazione preliminare.

Il ricorrente, infatti, lamenta il vizio di omessa pronuncia (p. 14), e spiega di avere chiesto in primo grado il risarcimento del danno morale e di quello da invalidità biologica temporanea (p. 4 del ricorso); e soggiunge di avere censurato in appello l’omessa pronuncia su queste due ultime voci di danno (p. 6 del ricorso).

Al ricorso, infine, è allegato il fascicolo di parte del primo e del secondo grado di giudizio.

Il ricorso, dunque, soddisfa sia l’onere di indicazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6; sia quello di allegazione, di cui all’art. 369 c.p.c..

5.1. Nel merito, anche il secondo motivo di ricorso appare fondato: la Corte d’appello, infatti, non ha preso in esame in alcun modo la domanda di risarcimento del danno morale e del danno biologico temporaneo.

6. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale, oltre ad esaminare i motivi di appello trascurati dalla sentenza impugnata, nella stima si atterrà ai seguenti principi di diritto:

“(A) Il risarcimento del danno biologico non va decurtato, nel caso in cui la vittima abbia percepito dall’Inail, prima del 9.8.2000, una somma di denaro a titolo di indennizzo della lesione della attitudine al lavoro di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 74″.

(B) Il credito risarcitorio residuo spettante a chi, avendo patito una lesione della salute, abbia ottenuto dall’INAIL un indennizzo del danno biologico ai sensi del D.Lgs. n. 38 del 2000, va determinato non già sottraendo dal grado percentuale di invalidità permanente, determinato coi criteri civilistici, quello determinato dall’INAIL coi criteri dell’assicurazione sociale, ma va determinato dapprima monetizzando l’uno e l’altro grado di invalidità, e quindi sottraendo il valore capitale dell’indennizzo INAIL dal credito risarcitorio aquiliano”.

7. Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 3 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2016

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