Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25326 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 25/10/2017, (ud. 24/05/2017, dep.25/10/2017),  n. 25326

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Anton – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28956/2012 proposto da:

Comune di Castiglione Messer Marino, in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, corso Trieste n. 37,

presso lo studio dell’avvocato Stefano Recchioni che lo rappresenta

e difende, unitamente all’avvocato Placido Pelliccia, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Bio Costruzioni s.r.l., in persona dell’amministratore unico e legale

rappresentante, quale acquirente del ramo di azienda della Società

M.G. s.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, viale

Luca Gaurico n. 9, presso lo studio dell’avvocato Andrea Bruno,

rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avvocati

Federico Liberatore e Lucia Liberatore giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 727/2012 della Corte di appello di L’Aquila,

depositata il 26 maggio 2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24 maggio 2017 dal cons. MUCCI ROBERTO;

viste le conclusioni scritte depositate dal P.M., in persona del

sostituto procuratore generale CARDINO ALBERTO, che ha concluso per

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Impresa M.G. s.n.c. (poi Società M.G. s.r.I.) conveniva il Comune di Castiglione Messer Marino innanzi al Tribunale di Vasto chiedendo – previo accertamento dell’illegittimità della delibera comunale n. 215 del 12 novembre 1996, di rescissione la L. 20 marzo 1865, n. 2248, ex art. 340, all. F, del contratto di appalto dei lavori di ammodernamento del campo sportivo comunale – la condanna del Comune inadempiente al pagamento di somme per i lavori eseguiti e al risarcimento dei danni per mancato guadagno, oltre accessori, nonchè alla restituzione della cauzione depositata. Il Tribunale, respinta l’eccezione di inammissibilità della domanda per maturata decadenza ai sensi del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 54, e ritenuto che la rescissione in danno dell’impresa era stata adottata in difetto del grave inadempimento, condannava il Comune al pagamento di Euro 37.330,28 (di cui Euro 18.804,11 per lavori previsti dal contratto ed Euro 18.526,17 per lavori extracontrattuali, oltre interessi e rivalutazione dal 12 novembre 1997), nonchè alla restituzione della cauzione.

Interposto gravame dal Comune, la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma, rideterminava il quantum per gli accessori e confermava nel resto la sentenza di primo grado. Per quel che rileva nella presente sede, la Corte di appello riteneva: a) infondata l’eccezione di inammissibilità della pretesa il R.D. n. 350 del 1895, ex art. 54, per omessa iscrizione di riserve nel registro di contabilità, non sussistendo detto onere in caso di domanda di risoluzione per colpa della P.A.; b) corretta la valutazione globale e unitaria del comportamento delle parti quanto all’inadempimento del Comune (concretatosi nel ritardo nell’esecuzione e nella riconsegna dei lavori dovuti all’omessa considerazione degli ostacoli di natura geologica evidenziati dall’impresa appaltatrice e confermati dalla c.t.u.); c) quanto ai compensi richiesti, che l’appaltatrice avesse diritto al compenso sia per i lavori previsti in contratto, sia per quelli extracontrattuali, eseguiti a regola d’arte secondo le conclusioni del c.t.u., poichè implicitamente riconosciuti utili dal Comune; d) quanto alla cauzione, che questa non avrebbe potuto comunque essere trattenuta dal Comune non essendo stata mai accertata in favore di quest’ultimo, nè richiesta, alcuna posta di credito nei confronti dell’appaltatrice.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il Comune di Castiglione Messer Marino affidato a sei motivi, cui replica con controricorso la Bio Costruzioni s.r.l. nella qualità. Il Comune ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 – bis c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il Comune deduce “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in tema di domanda giudiziale, nella specie di appello e del chiesto e pronunciato in uno a violazione e falsa applicazione delle norme in tema di interpretazione del negozio giuridico (art. 1362 ss. c.c.) con riferimento alle istanze giudiziali”: in ordine alla questione sull’eccezione di decadenza il R.D. n. 350 del 1895, ex art. 54, svolta nel primo motivo di gravame, la Corte di appello avrebbe mal interpretato il detto motivo poichè il Comune si era limitato ad eccepire la decadenza dell’appaltatrice dalla pretesa per i compensi dovuti per i lavori extracontrattuali, stante la mancata iscrizione di apposita riserva.

Con il secondo motivo si deduce “nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4) per violazione del divieto di omissione di pronuncia (art. 112 c.p.c.) con riferimento al primo motivo di appello”: la Corte di appello, nel motivare sulla predetta questione della decadenza nei sensi surriferiti, avrebbe in definitiva omesso di pronunciare sul primo motivo di gravame.

Con il terzo motivo si deduce, in subordine al precedente, “ingiustizia della sentenza per incongruità ed illogicità della motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine a fatto decisivo e controverso ai fini del giudizio quanto all’interpretazione della domanda, rectius: motivo di appello, della parte”: la sentenza della Corte di appello sarebbe inficiata da vizio motivazionale dovuto all’errata interpretazione del primo motivo di appello.

I primi tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, poichè concernenti la medesima questione e formulati in via gradata, vanno disattesi.

Le censure non colgono la ratio decidendi atteso che, deliberata dal Comune la rescissione c.d. in danno del contratto di appalto ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 340, all. F, l’impresa appaltatrice ha avanzato domanda, previa declaratoria incidentale di illegittimità della deliberazione, di accertamento dell’inadempimento del Comune e di conseguente condanna risarcitoria. Da ciò consegue l’applicazione del principio – cui deve darsi continuità, non sussistendo ragione per discostarsene – alla stregua del quale “In tema di appalto di opere pubbliche, la riserva, attenendo ad una pretesa economica di matrice contrattuale, presuppone l’esistenza di un contratto valido di cui si chiede l’esecuzione, mentre, ogni qualvolta si faccia questione di invalidità del contratto e dei modi della sua estinzione, come nel caso della risoluzione per inadempimento, le pretese derivanti dall’inadempimento della stazione appaltante non vanno valutate in relazione all’istituto delle riserve, ma seguono i principi di cui agli artt. 1453 e 1458 c.c.” (Sez. 1, 3 novembre 2016, n. 22275; Sez. 1, 17 settembre 2014, n. 19531; Sez. 1, 11 gennaio 2006, n. 388). Del resto, che la domanda attorea dovesse qualificarsi con riferimento all’inadempimento – e alle relative conseguenze – del Comune committente rispetto ad una vicenda contrattuale ormai conclusa con la deliberazione di risoluzione in danno dell’appaltatrice trova conferma nel tenore del secondo motivo di appello, con il quale il Comune si era lamentato che il Tribunale non avesse compiuto “una indagine globale e unitaria, da rapportarsi alle situazioni via via maturatesi nel corso dell’esecuzione dell’opera, coinvolgente il comportamento di ciascuna delle parti e l’influenza che esso ha avuto su quello dell’altra, in quanto l’unitarietà del rapporto obbligatorio non tollera una valutazione frammentaria e settoriale del comportamento del contraente ma esige un apprezzamento complessivo” (pp. 7-8 del ricorso), apprezzamento di tipo sinergico che è appunto richiesto dalla giurisprudenza di legittimità nei casi in cui debba vagliarsi la legittimità di siffatti provvedimenti adottati dalla P.A. in autotutela (si v. Sez. 1, 26 luglio 2012, n. 13297, in motivazione). Ciò posto, per completezza deve altresì chiarirsi, in relazione a quanto ulteriormente dedotto nel secondo motivo di ricorso (p. 25, in particolare con riferimento al passo motivazionale di cui a p. 5 della sentenza), che i richiami operati dalla Corte di appello all’istituto della riserva in relazione alle opere extracontrattuali non risultano contraddittori rispetto alla reiezione dell’eccezione di decadenza ora in discorso, ma appaiono attenere ai profili generali di applicabilità dell’istituto della riserva nei contratti di appalto in corso di esecuzione.

Con il quarto motivo si deduce “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del R.D. n. 350 del 1895, art. 103 e della L. n. 2248 del 1865, art. 342, comma 2, all. F”: il Comune ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto suscettibili di compenso le opere addizionali extracontrattuali poichè “acquisite e utilizzate consapevolmente dall’Ente, che le ha fatte contabilizzare dal D.L.”; al contrario, detti lavori non erano stati oggetto di riserva, non erano stati riconosciuti necessari in sede di collaudo, non erano stati commissionati dalla stazione appaltante, nè il direttore dei lavori aveva poteri di vincolare negozialmente il Comune all’accettazione dei lavori, il cui costo eccedeva il limite delle spese approvate.

Con il quinto motivo si deduce “ulteriore violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 del combinato disposto della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 344 all. F e art. 1325 c.c.”: non sussisterebbe, nella specie, il necessario nuovo impegno di spesa ed autonomo contratto, suscettibili di legittimare il compimento di lavori extracontrattuali.

I motivi quarto e quinto – da trattare congiuntamente in quanto connessi e relativi alla medesima questione dell’efficacia degli atti del direttore dei lavori rispetto al Comune committente sono fondati.

Erra la Corte di appello nel ritenere intervenuto il riconoscimento implicito dell’utilità delle opere realizzate fuori contratto dei lavori addizionali in virtù della contabilizzazione degli stessi da parte della direzione dei lavori (p. 7 della sentenza). Posto infatti, in generale, che “i lavori addizionali eventualmente effettuati dall’appaltatore, che non siano stati previamente autorizzati e per i quali, quindi, egli non abbia diritto ad aumento di prezzo, possono dare luogo a compenso a condizione che essi formino oggetto di tempestiva riserva ovvero che siano stati, riconosciuti come tali dall’amministrazione committente” (Sez. 1, 11 marzo 2011, n. 5871) e che “L. n. 2248 del 1865, art. 342, comma 2, all. F, e la L. n. 109 del 1994, art. 25, hanno sancito il divieto di introdurre varianti come regola generale assoluta, a meno che non siano approvate tramite una regolare procedura di affidamento ex artt. 20 e ss. della legge da ultimo cit.” (Sez. 1, 21 luglio 2016, n. 15029), salvo il giudizio di “indispensabilità” delle opere, nel concorso degli altri presupposti di legge (da ultimo, Sez. 1, 17 luglio 2014, n. 16366), deve, nella specie, farsi applicazione del principio secondo cui la contabilizzazione delle opere extracontrattuali da parte del direttore dei lavori è “un’operazione di natura tecnica che non vale di per sè ad impegnare la volontà della pubblica amministrazione per l’accettazione delle opere ed il riconoscimento dell’indispensabilità dei lavori extra appalto” (Sez. 1, 19 maggio 1983, n. 3450; Sez. 2, 5 ottobre 1992, n. 10897; Sez. 1, 25 novembre 1996, n. 10428).

Infine, con il sesto motivo si deduce “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell’art. 112 c.p.c., in tema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato” relativamente alla restituzione della cauzione, disposta dalla Corte di appello in quanto ritenuta versata al Comune nonostante non fosse stata accertata in favore del Comune medesimo, nè da esso richiesta, alcuna posta di credito nei confronti dell’appaltatrice.

Anche tale motivo è fondato, risultando carente la prova – a carico dell’impresa appaltatrice – dell’avvenuto incameramento della cauzione da parte del Comune, non potendo valere a tal fine la mera dichiarazione del Comune, contenuta nella deliberazione di rescissione in danno, di voler incamerare la somma.

In conclusione, in accoglimento del quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, rigettati gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, che si atterrà ai richiamati principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, rigettati i primi tre; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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