Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25326 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/11/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 11/11/2020), n.25326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12965-2014 proposto da:

D.D.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ATTILIO REGOLO

12-D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STANISLAO ANTONIO

LUCARELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona de, Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 381/2013 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 12/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La contribuente conduceva rivendita di abbigliamento per bambino e neonato in provincia di Benevento ed era attinta da avviso di accertamento per l’anno di imposta 2006, redatto a seguito di questionario e relativa documentazione trasmessa. Esperito ricorso avverso l’atto impositivo, i gradi di merito confermavano la legittimità dell’azione amministrativa.

Per quanto interessa ai fini del decidere, la CTR basava il proprio convincimento sull’importanza delle scritture contabili rituali di magazzino, necessarie per ricostruire l’andamento imprenditoriale, non sostituibili con altre forme inventariali (peraltro neppure poi fornite dalla contribuente) a fronte del coacervo di giacenze non imputabili ai diversi anni di esercizio. Il giudice di appello sottolineava altresì l’andamento anomalo per gestione in perdita, per ricarico anormalmente basso (rispetto al settore di riferimento) e per rapporto fra ricavi ed utili che si attestavano sul 6% a fronte di un 94% di costi. Concludeva affermando che tali elementi giustificavano il procedimento induttivo puro adottato per la ripresa a tassazione.

Ricorre per cassazione la parte contribuente proponendo tre articolati motivi, cui replica con contro ricorso l’Avvocatura generale dello Stato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti tre motivi.

1. Con il primo motivo si prospetta la censura di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione dei D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 15 e 39 in parametro agli artt. 12 e 14 preleggi, agli art. 53,3,97 Cost. e, sotto autonomo profilo, violazione dei predetti artt. 15 e 39 in parametro all’art. 2697 c.c..

Con il primo profilo del motivo si contestano i presupposti dell’accertamento induttivo puro, ripercorrendo le irregolarità contabili rilevate, sminuendo, per esempio, l’irregolarità delle scritture contabili di magazzino. A questa doglianza, già proposta in secondo grado; la CTR ha risposto indicandone l’importanza per la ricostruzione dell’andamento aziendale e senza le quali è quindi più che giustificato l’accertamento induttivo (cfr. CTR p. 4, ultimo capoverso).

Con il secondo profilo si lamenta che la CTR abbia addossato alla parte privata l’onere probatorio che spettava alla parte pubblica, dove sarebbe stata chiamata a provare che la contabilità alternativa nella gestione del magazzino avrebbe potuto dare quegli elementi identificativi sufficienti ad una ricostruzione analitica. In questo senso il patrono privato eccepisce che tali atti non gno mai stati nemmeno richiesti. All’opposto, risulta che la contribuente gli abbia promessi, ma non più consegnati, confermando l’assenza di scritture contabili essenziali che giustifica l’accertamento induttivo.

Peraltro, a fronte della lamentata unicità dell’elemento contabile censurato, da cui è stato fatto derivare l’accertamento induttivo puro, è stato, infine, affermato che “in tema di prova civile conseguente ad accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi benchè l’art. 2729 c.c., comma 1, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 si esprimano al plurale – potendosi il convincimento del Giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria” (cfr. Cass. nn. 656/2014; 17574/2009; 8484/2009).

Il motivo è quindi infondato e non merita apprezzamento.

2. Con il secondo motivo si prospetta ancora il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, in relazione all’art. 53 Cost. e agli art. 2727 e 2729 c.c..

Nella sostanza si lamenta che l’accertamento induttivo non deve tradursi in una pretesa tributaria astratta, eccentrica rispetto alla reale capacità contributiva. Si critica quindi la sentenza per non aver tenuto conto che la percentuale di ricarico indotta era affetta da errore di calcolo, per cui non doveva ritenersi applicabile il 9%, quella del 27,5%, che la CTR ha considerato ritenendola comunque ben distante dal 77% del settore, pur tenendo anche conto delle svendite. Tali argomenti sono trattati a pag. 4 della sentenza qui gravata, con apprezzamento di merito che sfugge al sindacato di legittimità.

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

3. Con il terzo motivo si prospetta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, motivo ritenuto ammissibile perchè non ci sarebbe la doppia conforme (negativa), in quanto la sentenza di primo grado non sarebbe adeguatamente motivata. Il motivo propone le censure di cui sopra sotto la corretta veste del n. 5, lamentando che sia stata ricavata una percentuale di ricarico ricavata dallo studio di settore e poi comparata con la percentuale dello studio di settore in sè stesso. Al contrario, con apprezzamento di merito scevro da illogicità manifesta, diffusamente nell’ultima pagina della sentenza qui gravata si comparano tutte le percentuali comunque riferibili alla ditta in esame (9%, 27,5%, tenendo conto dell’abbattimento dei prezzi al 50% durante le svendite, 77%), rinvenendo l’inattendibilità della rappresentazione offerta, peraltro con un reddito annuale di poco più di quattromila Euro, che non è aderente alla realtà.

Il motivo deve ritenersi inammissibile perchè a fronte della parità di esito nei gradi di merito, la parte ricorrente non fornisce prova, ai fini dell’autosufficienza del motivo, che la sentenza di primo grado – pur nella consonanza di esito con quella di secondo grado – abbia motivazione differente tale da potersi ritenere non una la conferma dell’altra.

Il motivo è quindi inammissibile.

Il ricorso è pertanto infondato e dev’essere rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna alla rifusione delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro duemilatrecento/00 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

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