Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25322 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. II, 09/10/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 09/10/2019), n.25322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7421-2018 proposto da:

M.A., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA BELISARIO 7, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PASCA,

che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

S.M., e N.M., elettivamente domiciliate in

Agrigento viale Mazzini n. 44 bis, presso lo studio dell’avv. To

Olindo Di Francesco che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso il decreto n. 2303/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 29/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Antonio Pasca.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Ma.Fl., + ALTRI OMESSI proponevano domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, in relazione alla durata non ragionevole di un giudizio amministrativo da loro instaurato innanzi al Tar Lazio.

Il giudizio presupposto aveva avuto inizio con il deposito del ricorso in data 31 dicembre 2005 ed aveva ad oggetto la corresponsione del trattamento economico previdenziale attribuito al personale militare unitamente al premio di congedamento. In data 31 marzo 2007 era stata avanzata istanza di fissazione di udienza e successivamente era stata presentata istanza di prelievo (in data 23 novembre 2007). L’11 maggio 2012 era stato depositato decreto di perenzione.

2. Secondo la Corte d’Appello di Perugia, nei giudizi amministrativi dichiarati perenti, occorre detrarre dalla durata del processo rilevante ai fini dell’equa riparazione il periodo successivo al 16 marzo 2011 per i giudizi definiti con decreto di perenzione sotto il vigore del D.Lgs. n. 104 del 2010.

Il giudizio come sopra riportato aveva avuto una durata complessiva di anni 3 e mesi 11, superando il termine di durata ragionevole solo per tale breve periodo.

3. La dichiarazione di perenzione era intervenuta dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 104 del 2010 a causa della mancata presentazione dell’istanza di fissazione, palesando così il disinteresse dei ricorrenti. Inoltre, doveva considerarsi che il termine eccedente quello ordinariamente ritenuto ragionevole era pari solo ad 11 mesi, sicchè, secondo la Corte d’Appello, tale breve lasso di tempo unitamente al manifesto disinteresse dei ricorrenti escludeva il sorgere di un danno significativo degno di essere indennizzato.

3. Avverso il suddetto decreto sono stati proposti due separati ricorsi: il primo di S.M. e N.M. sulla base di due motivi, il secondo di Ma.Fl., + ALTRI OMESSI anche in questo caso sulla base di due motivi.

4. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito con contro ricorso (solo nei confronti del secondo ricorso).

5. All’adunanza in camera di consiglio dell’8 marzo 2019 la causa veniva rinviata alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del primo ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 violazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 6, par. 1 CEDU, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura ha ad oggetto il fatto che la dichiarazione di perenzione del giudizio da parte del giudice amministrativo non consente di ritenere insussistente il danno per disinteresse della parte in quanto verrebbe a darsi rilievo ad una circostanza sopravvenuta rispetto al superamento del limite di durata ragionevole.

Tale principio trova applicazione anche nell’ipotesi in cui l’istanza del prelievo sia stata presentata una sola volta in epoca risalente rispetto alla conclusione del giudizio, anche perchè nessuna norma e nessun principio processuale impongono la reiterazione dell’istanza di prelievo ad intervalli più o meno regolari.

Nella fattispecie la durata del procedimento definito con decreto di perenzione era pari a anni 6 e mesi 4, dovendosi tener conto del periodo compreso tra il 2 gennaio 2006 e l’11 maggio 2012, rispettivamente data di deposito del ricorso e dell’istanza di fissazione dell’udienza e data di pubblicazione del decreto di perenzione.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 dell’art. 132c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

I ricorrenti ritengono erroneo il calcolo effettuato dalla Corte d’Appello circa la durata del procedimento perchè pur tenendo conto del periodo compreso tra il 2 gennaio 2006 e il 16 marzo 2011, entro il quale le parti potevano manifestare l’interesse alla prosecuzione del giudizio, calcola la durata irragionevole in soli 11 mesi e non due anni e due mesi.

3. Il primo motivo del secondo ricorso è così rubricato: violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6, par. 1 CEDU, nonchè vizio di omessa insufficiente di logica motivazione in relazione rispettivamente all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

In sostanza la censura attiene al fatto che la previsione di strumenti sollecitatori non sospende ne differisce il dovere dello Stato di pronunciarsi sulla domanda, nè implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità del superamento del termine di durata ragionevole del processo. L’istituto della perenzione nel giudizio amministrativo non si traduce in un’automatica presunzione di disinteresse alla decisione di merito.

4. Il secondo motivo è così rubricato: violazione dell’art. 11 disp. gen. che prevede che la legge non possa avere efficacia retroattiva in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il D.Lgs. n. 104 del 2010 non era applicabile retroattivamente e certamente non con riferimento all’istanza di prelievo.

4.1 I motivi sostanzialmente analoghi dei due ricorsi, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono fondati.

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni (vigenti fino al 2016) che subordinavano la proponibilità della domanda per il conseguimento dell’indennizzo da irragionevole durata del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, alla preventiva proposizione di un’istanza di prelievo.

Le questioni di legittimità costituzionale erano state proposte da quindici ordinanze di questa Corte e da una della Corte di appello di Napoli, per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1, artt. 13 e 46, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, ovvero per violazione dell’art. 11, unitamente all’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1 e art. 13 della CEDU.

La disposizione in oggetto era stata più volte modificata: nella sua originaria formulazione, nel D.L. n. 112 del 2008, richiedeva, ai fini della proponibilità della domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo, l’avvenuta presentazione dell’istanza di prelievo, allora disciplinata dal R.D. 17 agosto 1907, n. 643, art. 51 nei sei mesi antecedenti alla scadenza dei termini di durata di cui alla Legge Pinto, art. 4, comma 1-ter, lett. b).

Con la Legge di conversione n. 133 del 2008, la previa presentazione dell’istanza di prelievo diveniva condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione anche per i giudizi pendenti alla data (25 giugno 2008) di entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, in rapporto all’intero svolgimento del giudizio presupposto e, dunque, anche per la frazione di tempo anteriore alla presentazione dell’istanza. L’allegato 4 al D.Lgs. n. 104 del 2010 recante il codice del processo amministrativo – ha poi sostituito le parole “un’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto, n. 642, art. 51, comma 2” con “l’istanza di prelievo di cui all’art. 81, comma 1 codice del processo amministrativo, nè con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione”. Successivamente, il D.Lgs. n. 195 del 2011 (c.d. primo correttivo al D.Lgs. n. 104 del 2010), ha sostituito le parole “81, comma 1”, con le parole “71, comma 2”. La disposizione risulta pertanto del seguente tenore “la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, non è stata presentata l’istanza di prelievo di cui all’art. 71, comma 2 codice del processo amministrativo, nè con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione”.

Così ricostruite le progressive modifiche legislative dei rimedi acceleratori volti ad assicurare la ragionevole durata dei processi amministrativi la Corte Costituzionale ha ritenuto che la disposizione di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, – nel testo, come convertito e successivamente modificato, applicabile ratione temporis in tutti i giudizi a quibus – violi l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1 e art. 13 CEDU.

4.2 In primo luogo il giudice delle leggi ha richiamato la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti a evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, solo se effettivi e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione del giudice competente, mentre la Corte EDU aveva già rilevato che una prassi interpretativa e applicativa della disposizione in esame che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex lege Pinto, per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo, avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata ed efficiente.

La giurisprudenza della Corte EDU ha considerato che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo non può considerarsi un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU, qualora il sistema giuridico nazionale non preveda alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo.

La norma nazionale si pone in contrasto con il principio di effettività enunciato dall’art. 13 CEDU, in quanto – mentre per la giurisprudenza Europea il rimedio interno deve garantire la durata ragionevole del giudizio o l’adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale ed il rimedio preventivo è tale se efficacemente sollecitatorio – l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente “con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata”.

Alla declaratoria di incostituzionalità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, – nel testo, come convertito e successivamente modificato, consegue l’accoglimento del ricorso, in quanto la pronuncia impugnata si fondava sul fatto che la dichiarazione di perenzione era intervenuta dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 104 del 2010 a causa della mancata presentazione dell’istanza di fissazione, palesando così il disinteresse dei ricorrenti. Pertanto, a giudizio della Corte d’Appello, per i giudizi definiti con decreto di perenzione sotto il vigore del D.Lgs. n. 104 del 2010, occorreva detrarre dalla durata del processo rilevante ai fini dell’equa riparazione il periodo successivo al 16 marzo 2011.

Inoltre, anche la quantificazione della durata del giudizio presupposto effettuata dalla Corte d’Appello sulla base della norma dichiarata incostituzionale era errata, in quanto, come evidenziato dai ricorrenti, non teneva conto dell’intero periodo.

Sulla base di quanto detto il decreto deve essere cassato e il giudice del rinvio, da individuarsi in altra sezione della Corte d’Appello di Perugia, dovrà ricalcolare interamente la durata del giudizio presupposto ai fini della determinazione del lasso temporale eccedente quello di durata ragionevole del processo, provvedendo anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie i ricorsi, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Perugia che dovrà provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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