Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25318 del 11/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/10/2018, (ud. 03/05/2018, dep. 11/10/2018), n.25318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11737/2017 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

BELLA VILLA n. 66/D, presso lo studio dell’avvocato TATIANA TARLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO SPENA;

– ricorrente –

contro

L.E., elettivamente domiciliata in ROMA piazza Cavour

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato STEFANO MARIA RUSSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 482/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 02/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 03/05/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 21 novembre 2003, L.A. esponeva di essere comproprietario, unitamente alla sorella E. di un appartamento in (OMISSIS) e che la sorella aveva concesso il cespite in locazione a C.C. per il periodo di quattro anni, con decorrenza dal 4 gennaio 1996, per cui l’attore aveva intimato al conduttore licenza per finita locazione per la scadenza del 3 gennaio 2004. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 10 dicembre 2002, aveva respinto la domanda contro il C. per il dissenso della comproprietaria L.E. che era intervenuta in giudizio a favore del conduttore, con conseguente rinnovo del contratto. Aggiungeva che il canone era notevolmente inferiore a quello di mercato e per tale motivo E. aveva gestito male il bene comune procurandogli un pregiudizio pari alla differenza tra il canone previsto in contratto e i maggiori frutti ricavabili dal cespite, se locato al prezzo di mercato. Tutto ciò premesso, evocava in giudizio L.E. davanti al Tribunale di Napoli per il risarcimento dei danni. Si costituiva la L. contestando la pretesa dell’attore;

il Tribunale di Napoli, con sentenza del 26 settembre 2007, accoglieva la domanda condannando L.E. al risarcimento dei danni;

con citazione notificata il 7 dicembre 2007 L.E. proponeva appello per il rigetto della domanda dell’attore o per la sua riduzione. Si costituiva L.A. chiedendo il rigetto dell’impugnazione. La Corte d’Appello, con ordinanza del 2 marzo 2016, ammetteva la prova per testimoni sui fatti articolati da L.E. e all’esito dell’istruttoria, con sentenza del 2 febbraio 2017, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda proposta da L.A. dichiarando compensate le spese di lite;

la Corte rilevava che, in accoglimento del primo motivo di appello di L.E., la prova testimoniale da questa articolata era stata erroneamente disattesa dal primo giudice dovendosi escludere che l’espressione “prova contraria” prevista dall’art. 184 c.p.c., al tempo vigente, facesse riferimento solo alle prove contrarie a quanto dedotto entro il primo dei termini previsti per la produzione di documenti e deduzione di nuove prove. Sotto tale profilo le deduzioni di L.E., secondo cui l’attore avrebbe manifestato il consenso alla locazione suggerendo di stipulare tale contratto proprio per evitare eventuali pretese di usucapione da parte di C., costituivano fatti contrari a quelli posti a fondamento dell’azione risarcitoria di L.A.. Pertanto, andavano ribadite le ragioni poste a sostegno dell’ordinanza istruttoria del 2 marzo 2016 di ammissione della prova per testi sui fatti articolati da L.E.;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione L.A. affidandosi a due motivi e resiste, con controricorso, L.E. che deposita memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 184 c.p.c., nel testo previgente, applicabile al giudizio in esame, dell’art. 244 c.p.c. e art. 2697 c.c., attesa la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè la violazione dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia. In particolare l’ammissione della prova era stata giustificata dalla Corte territoriale con il richiamo al principio giurisprudenziale secondo cui è sufficiente che le prove orali indicate nel secondo termine previsto dall’art. 184 c.p.c., non tendano a provare fatti che costituiscono il fondamento del diritto fatto valere in giudizio, ma si limitino a dare la prova contraria di quei fatti. In realtà, la Corte territoriale avrebbe malamente interpretato il principio affermato dalla Corte di legittimità nella decisione n. 2656 del 9 febbraio 2005 che viene chiarito dalla successiva decisione n. 12119 del 17 maggio 2013, secondo cui la prova contraria è riferibile alle prove volte a contrastare quelle già richieste nel contesto del primo termine stabilito dall’art. 184 c.p.c.. D’altra parte, già il primo termine previsto dall’art. 184 c.p.c., consentiva di richiedere prova contraria sui fatti allegati dalla controparte e definitivamente fissati nel thema decidendum di cui all’art. 183 c.p.c.. Pertanto la prova testimoniale articolata deve ritenersi inammissibile, sia perchè L.E. avrebbe dovuto formulare la richiesta nel primo termine previsto dall’art. 184 c.p.c., sia perchè la prova per testi richiesta non costituisce prova contraria rispetto alle richieste istruttorie formulate dall’attore nella prima memoria prevista all’art. 184 c.p.c.. In tale sede l’attore si limitava a chiedere una consulenza tecnica relativa alla misura del canone di locazione;

con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c. e la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4. In particolare, la Corte d’Appello ha escluso la sussistenza di una mala gestio da parte della convenuta, applicando erroneamente l’orientamento della giurisprudenza in materia, senza considerare il valore sostanzialmente irrisorio del canone di locazione;

preliminarmente, va disattesa l’eccezione di nullità della procura alle liti per violazione dell’art. 83 c.p.c., dedotta dalla controricorrente, trattandosi di procura a margine del ricorso;

nello stesso modo, non ricorre la dedotta violazione, da parte del ricorrente, dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, poichè la ricostruzione fattuale e giuridica della vicenda emerge sufficientemente dal coordinamento dei passaggi relativi agli atti processuali corroborati dalla sintetica esposizione delle vicende processuali;

il primo motivo è fondato: la prova formulata dall’odierna controricorrente era tardiva, perchè il secondo termine dell’art. 184 c.p.c., nella formulazione al tempo vigente, è riferito solo alla controprova in relazione alle richieste istruttorie evase da controparte con il primo termine (Cass. 26574 del 9 novembre 2017 e Cass. n. 12119 del 17 maggio 2013). Ai sensi dell’art. 184 c.p.c., nel testo – applicabile “ratione temporis” – introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 18 (e anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 273 del 2005, art. 39 quater, conv. con modif. in L. n. 51 del 2006), il momento in cui scatta per le parti la preclusione in tema di istanze istruttorie è quello dell’adozione dell’ordinanza di ammissione delle prove, ovvero – nel caso in cui il giudice, su istanza di parte, abbia rinviato tale adempimento ad altra udienza – è quello dello spirare di un duplice termine, il primo concesso per la produzione dei nuovi mezzi di prova e l’indicazione dei documenti idonei a dimostrare l’esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda attorea e delle eccezioni sollevate dal convenuto, il secondo previsto, invece, per l’indicazione della (eventuale) “prova contraria”, da identificarsi nella semplice “controprova” rispetto alle richieste probatorie ed al deposito di documenti compiuto nel primo termine. Ne consegue, che già entro lo scadere del primo termine la parte interessata ha l’onere di richiedere prova contraria in relazione ai fatti allegati dalla controparte e definitivamente fissati nel “thema decidendum”, ai sensi dell’art. 183 c.p.c. (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto tempestiva la produzione di documenti volti a contrastare le eccezioni di decadenza e prescrizione dall’azione di garanzia sollevate immediatamente dalla parte convenuta – effettuata dalla parte attrice avvalendosi del secondo termine ex art. 184 c.p.c., dovendo essere fornita tale prova contraria entro il primo termine previsto dalla norma) (Sez. 2, Sentenza n. 26574 del 09/11/2017, Rv. 646074-01);

il secondo motivo è assorbito;

ne consegue che il ricorso deve essere accolto, la decisione impugnata, va cassata e il giudice del rinvio provvederà a valutare la sussistenza dei presupposti dell’azione proposta da L.A. ed, in particolare, la denunciata mala gestio sulla base del materiale probatorio diverso rispetto alla prova testimoniale disposta in appello.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia davanti alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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