Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25318 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. II, 09/10/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 09/10/2019), n.25318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2828-2018 proposto da:

M.S., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

BELLUCCI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

e contro

O.L., MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS);

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 25606/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 27/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del giudizio

rescindente e per la rinnovazione della notifica ex art. 291 c.p.c.

nel giudizio rescissorio;

udito l’Avvocato Maurizio Bellucci.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 18.06.2016 la Corte d’Appello di Perugia accoglieva, dopo averli riuniti, due ricorsi per l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 autonomamente proposti: – l’uno (iscritto nel ruolo generale della corte d’appello con il numero 5615/11) avanzato da O.L., difesa dall’avvocato Ernesto Fiorillo e domiciliata presso l’avvocatessa Silvia Egidi; – l’altro (iscritto nel ruolo generale della corte d’appello con il numero 7102/11) avanzato da A.R., + ALTRI OMESSI, difesi dall’avvocato Maurizio Bellucci e domiciliati presso l’avvocato Vincenzo Bioli. Entrambi i ricorsi concernevano l’irragionevole durata di una causa che era intercorsa davanti al Tribunale e, poi, davanti alla Corte d’Appello di Roma tra la signora O., ricorrente alla corte perugina con il ricorso n. 5615/11, e le altre parti private, ricorrenti alla corte perugina con il ricorso n. 7102/11.

2. Il Ministero della giustizia adiva questa Corte chiedendo la cassazione del suddetto decreto 18.06.2016 della corte Perugina, tanto nei confronti della signora O., quanto nei confronti degli altri originari ricorrenti.

3. Il ricorso del Ministero veniva accolto con l’ordinanza di questa Corte di cassazione n. 25606 del 2017.

4. Avverso detta pronuncia, i nominati in epigrafe – tutti originari ricorrenti, o loro eredi, nel ricorso iscritto al ruolo generale della corte d’appello di Perugia con il numero 7102/11 – hanno proposto ricorso per revocazione ex art. 391-bis c.p.c., denunciando l’errore materiale in cui la Cassazione sarebbe incorsa omettendo di rilevare che il ricorso per cassazione proposto dal Ministero della Giustizia era stato notificato loro mediante consegna a mani dell’avvocatessa Egidi, presso la quale essi non erano domiciliati e dalla quale essi non erano difesi.

Con la suddetta ordinanza n. 25606/17, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso della difesa erariale nei confronti di tutti gli intimati, vale a dire di tutti gli originari ricorrenti davanti alla Corte d’Appello di Perugia, senza avvedersi – e in ciò consiste la svista percettiva denunciata dagli odierni ricorrenti per revocazione – che tale ricorso era stato notificato, per tutti, presso l’avvocatessa Egidi, la quale era difensore domiciliataria della sola signora O., che aveva proposto il ricorso iscritto davanti alla Corte d’Appello di Perugia con il numero 5615/11, e non anche delle parti ( A. + 21) che avevano proposto il ricorso iscritto davanti alla Corte d’Appello di Perugia con il numero 7102/11 (difese dall’avvocato Bellucci ed elettivamente domiciliate presso lo studio dell’avvocato Vincenzo Bioli via (OMISSIS)).

5. Questa Corte con ordinanza n. 4898 del 2019, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., commi 2 e 3, ha ritenuto esistente e decisivo il denunciato errore percettivo e, pertanto, ha giudicato ammissibile il ricorso per revocazione, rimettendo alla pubblica udienza dinanzi a questa sezione lo svolgimento del giudizio rescissorio.

6. I ricorrenti, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, hanno insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso per revocazione con la conseguente declaratoria di improcedibilità o inammissibilità del ricorso n. 14447 del 2016 proposto dall’avvocatura dello Stato avverso il decreto della Corte d’Appello di Perugia n. 485/16.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In sede rescindente, il ricorso per revocazione si palesa ammissibile e fondato.

Secondo un principio più volte affermato da questa Corte, la revocazione della sentenza o dell’ordinanza di cassazione è consentita per vizi del procedimento di cui non si sia tenuto conto per un errore percettivo riguardante gli atti dello stesso processo di cassazione. E’, pertanto, deducibile come causa di errore revocatorio la circostanza che il provvedimento impugnato si fondi su un fatto, quale l’omessa notifica o la notificazione invalida alla parte resistente (cfr. Cass., Sez. Un. 30-12-2004 n. 24170; Cass. 2-1-2014 n. 15; Cass. 20-1-2014 n. 1097).

1.1 Nella specie, la sentenza impugnata poggia sul falso presupposto che la notificazione del ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di Appello di Perugia sia avvenuta alle parti mediante notifica al difensore presso il quale avevano eletto domicilio, avvocato Silvia Egidi.

1.2 Dall’esame degli atti – che questa Corte di legittimità è abilitata a compiere, vertendosi in tema di error in procedendo – è emerso che gli odierni ricorrenti, nel giudizio dinanzi la Corte d’Appello di Perugia erano difesi dall’avvocato Bellucci ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato Vincenzo Bioli sito in Perugia, via Cesarei n. 4.

Sussiste, dunque, l’errore di fatto nell’esame della notifica del ricorso per cassazione proposto dal Ministero della Giustizia e l’ordinanza n. 25606 del 2017 si è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa dalle gli atti del processo e tale errore non è stato oggetto di contestazione o di decisione nel giudizio. L’errore revocatorio, infatti, riferito alle sentenze di questa Corte può verificarsi ogniqualvolta esso consista specificamente in un errore meramente percettivo il quale non coinvolga peraltro l’attività qualitativa del giudice relativamente a situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cass. n. 5075 del 2008).

2. Il ricorso per revocazione dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 25606 del 2017, pertanto, va accolto, e tale provvedimento va revocato.

3. Procedendo alla fase rescissoria del procedimento di revocazione, si osserva che i ricorrenti nel ricorso per revocazione, chiedono che il ricorso definito con l’ordinanza revocata venga dichiarato improcedibile nei loro confronti.

4. Il motivo è infondato.

Va infatti in proposito ricordata la distinzione tra inesistenza della notifica del ricorso per cassazione e mera nullità della stessa per ribadire che quest’ultima è sanabile con effetto ex tunc, dunque attraverso la costituzione del convenuto ovvero attraverso la rinnovazione della notifica cui la parte provveda spontaneamente o in esecuzione dell’ordine impartito dal giudice.

4.1 Al riguardo deve farsi riferimento alla evoluzione della giurisprudenza in materia: le sezioni unite di questa corte infatti con la pronuncia n. 14916 del 2016 hanno superato la tradizionale tesi secondo la quale la notificazione di un atto deve ritenersi inesistente quando sia effettuata in un luogo o con riguardo ad una persona che non presenti alcun riferimento col destinatario dell’atto, risultando a costui del tutto estraneo e affetta da mera nullità quando, pur eseguita mediante consegna a persona o luogo diverso da quello stabilito dalla legge, risulti tuttavia ravvisabile un simile collegamento, così da rendere possibile che l’atto pervenuto a persona o luogo non del tutto estraneo al processo giunga a conoscenza del destinatario.

Le sezioni unite con la pronuncia citata, infatti, hanno affermato che l’unica norma del codice di procedura civile che si occupa dell’invalidità della notificazione è l’art. 160, il quale, sotto la rubrica “Nullità della notificazione”, dispone che “La notificazione è nulla se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, salva l’applicazione degli artt. 156 e 157”.

Assume centrale rilievo l’art. 156 (“Rilevanza della nullità”), il quale prevede che: “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge” (comma 1); “Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo” (comma 2); “La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato” (comma 3).

4.2 Ciò premesso il collegio delle sezioni unite evidenzia che, in tema di notificazione, come in generale di atti processuali, il codice non contempla la categoria della “inesistenza”, nemmeno con riguardo alla sentenza priva della sottoscrizione del giudice, qualificata come affetta da nullità per la quale è tuttavia esclusa, ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 2, l’applicazione del principio dell’assorbimento nei mezzi di gravame della nullità che, quindi, è assolutamente insanabile (in relazione a tale vizio viene evocata, da una gran parte della dottrina e della giurisprudenza, la figura dell’inesistenza).

A fronte di tale constatazione, tuttavia, nella citata pronuncia delle Sezioni Unite, si afferma che, se da un verso, il legislatore non ha motivo di disciplinare gli effetti di ciò che non esiste, non solo, com’è ovvio, dal punto di vista storico-naturalistico, ma anche sotto il profilo giuridico, dal verso opposto si deve ritenere che la nozione di inesistenza della notificazione debba essere definita in termini assolutamente rigorosi, cioè confinata ad ipotesi talmente radicali che il legislatore ha, appunto, ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione (già da tempo la giurisprudenza ha sottolineato l’esigenza di assegnare carattere residuale alla categoria dell’inesistenza della notificazione: Cass., sez. un., n. 22641 del 2007 e n. 10817 del 2008; Cass. n. 6183 del 2009 e n. 12478 del 2013).

In definitiva, deve affermarsi che l’inesistenza della notificazione è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali, idonei a rendere riconoscibile quell’atto. L’inesistenza non è, dunque, in senso stretto, un vizio dell’atto più grave della nullità, poichè la dicotomia nullità/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l’atto e il non atto.

4.3 La suddetta pronuncia delle sezioni unite afferma in conclusione che, per quanto concerne la notificazione nulla: è sufficiente che un “atto”, riconoscibile come “notificazione”, esista, e che qualunque vizio dell’atto ricade nell’ambito della nullità, senza che possa distinguersi, al fine di individuare ulteriori ipotesi di inesistenza attraverso la negazione del raggiungimento dello scopo, tra valutazione ex ante e constatazione ex post, poichè il legislatore ha chiaramente inteso dare prevalenza a quest’ultima – in piena attuazione del principio della strumentalità delle forme -, cioè ai dati dell’esperienza concreta, sia pure dovuta ad accadimenti del tutto accidentali, rispetto agli elementi di astratta potenzialità e prevedibilità.

Scopo della notificazione è quello di provocare la presa di conoscenza di un atto da parte del destinatario, attraverso la certezza legale che esso sia entrato nella sua sfera di conoscibilità, con gli effetti che ne conseguono (in termini – per quanto qui interessa – di instaurazione del contraddittorio). In presenza di una notificazione nulla, così come opera la sanatoria per raggiungimento dello scopo, attraverso la costituzione in giudizio della parte intimata, correlativamente, in mancanza di tale costituzione, il giudice, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., deve dispone la rinnovazione della notificazione (fissando a tal fine un termine perentorio), a meno che la parte stessa non abbia a ciò già spontaneamente provveduto. Entrambi i rimedi, che sono previsti a fronte del verificarsi del medesimo presupposto della nullità della notificazione – con l’unica peculiarità che l’attivazione spontanea della parte (con la costituzione o la rinnovazione) rende superfluo l’intervento del giudice -, operano con efficacia ex tunc, cioè sanano con effetto retroattivo il vizio della notificazione (quella originaria, nel caso di rinnovazione): ciò è previsto espressamente nel citato art. 291 (“la rinnovazione impedisce ogni decadenza”), si configura come una normale qualità del concetto di sanatoria e costituisce un’ulteriore espressione del principio di strumentalità delle forme. Va ribadito, per completezza, che il detto effetto sanante ex tunc prodotto dalla costituzione del convenuto – la quale non è mai tardiva, poichè la nullità della notificazione impedisce la decorrenza del termine (per tutte, Cass., sez. un., n. 14539 del 2001) – opera anche nel caso in cui la costituzione sia effettuata al solo fine di eccepire la nullità (tra altre, Cass., sez. un., n. 5785 del 1994; Cass. nn. 10119 del 2006, 13667 del 2007, 6470 del 2011).

4.4 Gli elementi costitutivi imprescindibili del procedimento di notificazione, quanto al ricorso per cassazione, vanno individuati: a) nell’attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere l’attività stessa, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita: restano, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notifica meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.

4.5 Nella specie, dunque, la notifica effettuata presso l’avvocato Silvia Egidi dove solo O.L. aveva eletto domicilio deve ritenersi nulla nei confronti di tutti gli odierni ricorrenti come meglio indicati in epigrafe.

Sussistono, infatti, tutti gli elementi sopra individuati per affermare che si tratta di una notifica nulla: l’attività di trasmissione è stata svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere l’attività stessa, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato e, la notifica si è perfezionata mediante la consegna (sia pure in luogo e a persona senza alcun collegamento con il destinatario), intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita.

La presenza di detti requisiti, che possono definirsi strutturali, va ritenuta idonea ai fini della riconoscibilità dell’atto come notificazione: essi, cioè, sono sufficienti a integrare la fattispecie legale minima della notificazione, rendendo qualificabile l’attività svolta come atto appartenente al tipo previsto dalla legge.

Come si è detto, infatti, l’ipotesi della notifica inesistente è limitata, a seguito della citata pronuncia delle sezioni unite, al solo caso in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notifica meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.

4.6 In conclusione, la fattispecie in esame ricade nell’ambito della nullità, sanabile con effetto ex tunc attraverso la costituzione dell’intimato o la rinnovazione dell’atto, spontanea o su ordine del giudice.

5. Una volta accertata la nullità della notifica del ricorso per cassazione n. 1447 del 2016, dovrebbe procedersi ad assegnare al Ministero della giustizia un termine per la rinnovazione della notifica di tale ricorso, in tal caso, infatti, come si è detto non assume alcuna rilevanza il fatto che alla rinnovazione si provveda posteriormente alla scadenza del termine per impugnare (Sez. L, Sent. n. 710 del 2016).

Risulta peraltro dal contenuto del ricorso n. 2828 del 2018 che nel momento della proposizione dello stesso i ricorrenti avevano la piena conoscenza del contenuto del ricorso per cassazione del Ministero della giustizia, del quale infatti riportano anche la copia delle pagine relative alla notifica dell’atto.

5.1 Deriva da ciò l’inutilità di assegnare al Ministero della giustizia un termine per la rinnovazione della notifica del ricorso n. 1447 del 2016 e la necessità di passare al giudizio rescissorio, ribadendo il principio di diritto già affermato da Questa Corte secondo cui: “La nullità della notificazione del ricorso per cassazione, a differenza dell’inesistenza, produce non già il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, bensì il dovere del giudice di assegnare al ricorrente un termine perentorio per la rinnovazione della notificazione. Nel caso in cui il vizio della notificazione, non rilevato dalla Corte, determini la revocazione della sua sentenza ex art. 395 c.p.c., n. 4, la Corte può, dopo il giudizio rescindente di revocazione, passare direttamente al giudizio rescissorio qualora la parte intimata, dimostri di conoscere il contenuto del ricorso, rendendo inutile una nuova notificazione” (Sez. L, Sent. n. 24800 del 2010).

6. Deve dunque procedersi all’esame del ricorso n. 14447 del 2016. Giova ribadire che il suddetto ricorso è proposto dal Ministero della Giustizia avverso il decreto della Corte d’Appello di Perugia con il quale, in accoglimento delle domande proposte dagli odierni ricorrenti, meglio indicati in epigrafe, il Ministero della Giustizia era stato condannato al pagamento della somma di Euro 16.250,00 in favore di ciascun ricorrente, a titolo di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 per la durata irragionevole di una causa civile svoltasi innanzi al Tribunale e alla Corte d’appello di Roma tra il 9.12.1987 ed il 25.5.2011.

Il giudizio presupposto aveva avuto ad oggetto l’accertamento della proprietà, comune o singola, di talune porzioni immobiliari di un edificio condominiale costruito da una cooperativa edilizia. Stimata la durata ragionevole in complessivi cinque anni, e quella eccedente in 17 anni e sei mesi, la Corte territoriale liquidava l’indennizzo nella misura di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di durata eccedente e in Euro 1.000,00 per ogni anno ulteriore di ritardo.

7. Il ricorso si fonda su tre motivi.

7.1 Il primo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, costituito dalla condotta delle parti e, in particolare, dalle ripetute istanze di rinvio concordate tra le parti nel giudizio presupposto. Inoltre, sostiene il Ministero ricorrente, la Corte d’appello non ha valutato la molteplicità delle parti, l’entità della posta in gioco e la connessione della causa civile con procedimenti penali; sicchè, in definitiva, la Corte distrettuale ha del tutto omesso l’esame in concreto dello svolgimento processuale e della condotta delle parti.

7.2. Il secondo motivo espone un’analoga censura, ma sotto il profilo della violazione dell’art. 2 Legge Pinto.

7.3 Il terzo mezzo deduce l’omessa motivazione sul quantum dell’indennizzo liquidato, poichè la Corte d’appello non ha considerato molteplici fattori ad efficacia riduttiva, quali la complessità del giudizio, superiore alla media, il disinteresse per la sua durata nei primi sei anni, l’identità della posizione processuale dei ricorrenti, la sopraggiunta cessazione della materia del contendere per la composizione stragiudiziale della lite e, infine, la controvertibilità della materia trattata per la pendenza di più procedimenti penali concernenti le porzioni immobiliari oggetto di causa.

8. – I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro complementarietà, sono fondati nei termini che seguono.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, nel testo ante D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile alla fattispecie ratione temporis, nell’accertare la violazione il giudice considera la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonchè quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione. Nell’interpretare tale norma la costante giurisprudenza di questa Corte afferma che ai fini della eventuale ascrivibilità, nell’area della irragionevole durata del processo, dei tempi corrispondenti a rinvii eccedenti il termine ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., la violazione della durata ragionevole non discende, come conseguenza automatica, dall’essere stati disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni ivi previsti, ma dal superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai parametri, di ordine generale, fissati dall’art. 2 della legge suddetta. Da tale durata sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando addebitabili gli altri rinvii alle disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla P.A. evidenziare, riconducibili alla fisiologia del processo (Cass. nn. 6868/11, 11307/10 e 24356/06, nonchè, non massimata, n. 19176/15).

Pertanto, sebbene l’amministrazione della Giustizia debba ad ogni modo provvedere in tempi complessivamente e tendenzialmente ragionevoli, se occorre avvalendosi dei propri poteri autoritativi intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento (art. 175 c.p.c., comma 1), la condotta delle parti, che abbiano chiesto ripetuti rinvii non funzionali alle cadenze necessarie del processo, influisce sulla determinazione in concreto della durata congrua, escluso ogni automatismo che, attribuendo rilievo assorbente al comportamento solo delle parti o solo del giudice, sopprima uno dei due accertamenti richiesti dalla norma anzi detta.

Nella specie, il relativo apprezzamento di fatto, espressamente sollecitato dal Ministero nel procedimento di equa riparazione, manca del tutto nel decreto della Corte perugina, che si è limitata ad effettuare un meccanicistico raffronto tra la durata ragionevole (cinque anni) e quella effettiva della causa (22 anni e 6 mesi), per trarne, in maniera altrettanto automatica, un’eccedenza di 17 anni e 6 mesi su cui ha poi calcolato l’indennizzo.

9. L’accoglimento dei primi due motivi assorbe l’esame del terzo, inerente al quantum debeatur.

10. Il decreto impugnato va dunque cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che nel decidere nuovamente nel merito si atterrà al principio di diritto sopra enunciato, provvedendo, altresì, sulle spese di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso n. 2828 del 2018, revoca l’ordinanza n. 25606 del 2017 e, decidendo sul ricorso n. 14447 del 2016, lo accoglie limitatamente ai primi due motivi, assorbito il terzo, cassa il decreto impugnato con rinvio altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che provvederà, altresì, sulle spese di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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