Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25316 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 25/10/2017, (ud. 11/04/2017, dep.25/10/2017),  n. 25316

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28175/2013 R.G. proposto da:

T.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Arturi,

con domicilio eletto in Roma, viale delle Milizie, n. 22;

– ricorrente –

contro

BANCA DI CREDITO POPOLARE SOC. COOP. P.A., in persona del presidente

p.t. M.G., rappresentata e difesa dagli Avv. Vincenzo

Giordano e Domenico Sorrentino, con domicilio eletto in Roma, via

Oslavia, n. 30;

– controricorrente –

e

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., rappresentata da

P.P., in virtù di procura per notaio Z. del 6 ottobre 2011,

rep. n. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo Luconi,

con domicilio eletto in Roma, via Boezio, n. 6;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma depositata il 26

luglio 2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’11 aprile

2017 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.S. convenne in giudizio la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. e la Banca di Credito Popolare Soc. Coop. p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionati dal mancato pagamento di un assegno circolare emesso al suo ordine dall’agenzia n. (OMISSIS) della Banca di Credito Popolare di Torre del Greco, versato il (OMISSIS) sul conto corrente a lui intestato presso l’agenzia di (OMISSIS) del MPS, e da quest’ultima bloccato due giorni dopo, in quanto facente parte di una lista di assegni circolari trafugati in bianco e denunziati come rubati dalla BCP.

A sostegno della domanda, affermò che la BCP aveva violato l’obbligo di custodia, mentre il MPS non aveva provveduto diligentemente ai controlli sulla bontà dell’assegno, da lui ricevuto per la vendita di un’imbarcazione, con la conseguenza che egli era stato costretto ad utilizzare somme investite presso terzi al fine di reintegrare lo scoperto bancario determinato dal mancato pagamento dell’assegno e dall’esecuzione di un bonifico effettuato per l’acquisto di un altro natante.

Si costituirono le convenute, e resistettero alla domanda, il MPS proponendo, in via subordinata, domanda di rivalsa nei confronti della BCP.

1.1. Con sentenza del 1 giugno 2010, il Tribunale di Roma, Sezione distaccata di Ostia, accolse la domanda, condannando il MPS a pagare la somma di Euro 40.000,00, oltre interessi, e la BCP a rivalere il MPS delle somme versate all’attore.

2. L’impugnazione proposta dalla BCP è stata accolta dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 26 luglio 2013 ha accolto anche il gravame incidentale proposto dal MPS, rigettando la domanda proposta dall’attore, dichiarando assorbita la domanda di rivalsa proposta dal MPS, e condannando il T. a restituire a quest’ultimo la somma di Euro 52.648,21, oltre interessi.

Premesso che l’assegno circolare versato dal T. era pacificamente di provenienza illecita, facendo parte di un carnet di moduli in bianco del quale la BCP aveva denunciato il furto fin dall'(OMISSIS), essendo stato sottoposto a sequestro con decreto emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli il 17 dicembre 2002, ed essendo stato inserito nell’archivio della Centrale d’Allarme Interbancaria, la Corte ha ritenuto che la Banca emittente avesse diligentemente e tempestivamente dato pubblicità al furto del titolo nei confronti dei possibili prenditori.

Ha ritenuto invece non provata la buona fede del T. nella presentazione dell’assegno all’incasso, osservando che le Banche avevano concordemente riferito dei dubbi da lui nutriti sul titolo, in ordine al quale aveva chiesto indagini allo sportello, ed aggiungendo che l’attore non solo aveva omesso di agire nei confronti di colui che gli aveva consegnato l’assegno, ma non era stato neppure in grado di provare le circostanze che avevano determinato l’acquisto del titolo, non avendo fornito alcun riscontro in ordine alla vendita del natante ed al successivo acquisto di altra imbarcazione.

Precisato inoltre che l’appello aveva ad oggetto esclusivamente il danno patrimoniale causato dalla negligente indagine del MPS sulla bontà dell’assegno, non avendo l’attore impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva implicitamente escluso la responsabilità della BCP per omessa custodia, la Corte ha osservato che, sebbene le deposizioni rese dai testi escussi avessero confermato che prima di porre all’incasso il titolo erano state richieste informazioni per appurarne la bontà ed erano state fornite rassicurazioni al cliente, l’assegno non poteva comunque essere posto all’incasso, per mancanza di buona fede del presentatore, trattandosi di un titolo di provenienza furtiva e sottoposto a sequestro penale. Ha escluso quindi la violazione dell’obbligo di diligenza gravante sul MPS in qualità di mandatario, affermando che nel servizio d’incasso o di accettazione di effetti la Banca non rispondeva delle conseguenze derivanti da cause ad essa non imputabili.

La Corte ha confermato infine il rigetto della domanda proposta nei confronti della BCP, osservando che il T., trovato in possesso di un titolo trafugato e sequestrato anni prima, non aveva fornito la prova di un valido titolo di trasmissione e quindi della sua legittimazione all’esercizio del diritto cartolare.

3. Avverso la predetta sentenza il T. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Hanno resistito con controricorsi il MPS e la BCP, la quale ha depositato anche memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1147,1992 e 1994 c.c., osservando che, nel conferire rilievo alle circostanze che lo avevano condotto all’acquisto dell’assegno, ai fini dell’esclusione della responsabilità del MPS, la sentenza impugnata non ha considerato che la prova dell’esistenza di un valido negozio di trasferimento, spettante al presentatore del titolo, è necessaria soltanto nei rapporti tra cedente e cessionario o tra effettivo titolare del credito e mero detentore del titolo, e non anche nei rapporti con il debitore, nei confronti del quale la consegna del titolo configura un negozio astratto di trasferimento, che legittima il consegnatario all’esercizio del diritto in esso incorporato e dà luogo ad una presunzione di titolarità, indipendentemente dalla prova di una juxta causa traditionis. Aggiunge che la Corte di merito ha arbitrariamente ravvisato un sintomo di mala fede nella cautela da lui dimostrata al momento della presentazione dell’assegno, avendo desunto dalla richiesta d’informazioni da lui avanzata la consapevolezza della provenienza illecita del titolo, senza tener conto della negligenza dimostrata dalla Banca nell’adempimento dell’incarico conferitole.

1.1. Non merita accoglimento, al riguardo, l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa del MPS, secondo cui il ricorso risulterebbe privo del requisito prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, essendosi il ricorrente limitato a trascrivere parzialmente la narrativa dell’atto di citazione, senza fornire gli elementi necessari per una compiuta rappresentazione dei fatti di causa e senza far riferimento alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata. L’illustrazione del motivo è infatti preceduta da un’ampia premessa, recante la narrazione dei fatti allegati a sostegno delle pretese risarcitorie avanzate nei confronti delle due Banche e una sintetica ricostruzione della vicenda processuale, la cui esposizione risulta più che sufficiente a rendere comprensibile la portata delle censure proposte, pur in mancanza di un esteso ragguaglio delle ragioni poste a fondamento della decisione impugnata, chiaramente individuabili, comunque, sulla base dei puntuali riferimenti contenuti nella narrativa e nel motivo.

E’ noto d’altronde che il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, risponde all’esigenza di fornire al Giudice di legittimità tutti gli elementi necessari a consentirgli di prendere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonchè di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa; tale funzione postula che dal ricorso risultino in maniera chiara ed esauriente i fatti di causa, le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali in fatto e in diritto su cui si fonda la sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. 6, 3/02/2015, n. 1926; Cass., Sez. 3, 9/03/ 2010, n. 5660; Cass., Sez. lav., 12/06/2008, n. 15808); l’adempimento del relativo onere non richiede tuttavia necessariamente un’esposizione analitica e particolareggiata, nè una distinta articolazione delle parti del ricorso dedicate alle predette indicazioni, risultando sufficiente che dall’esame complessivo dell’atto emergano con chiarezza le questioni logiche e giuridiche sottoposte all’esame di questa Corte e gli elementi indispensabili per la comprensione e la risoluzione delle stesse (cfr. Cass., Sez. 1, 28/02/2006, n. 4403; Cass., Sez. lav., 19/04/2004, n. 7392; 3/02/2004, n. 1959).

1.2. La mancata proposizione di censure riguardanti l’adempimento del dovere di custodire diligentemente i moduli di assegno, inducendo a ritenere che, nonostante la notificazione del ricorso anche alla BCP, il ricorrente non abbia inteso insistere nella pretesa risarcitoria avanzata nei confronti della stessa, comporta invece l’assorbimento dell’eccezione sollevata dalla difesa della predetta Banca, secondo cui l’impugnazione proposta nei suoi confronti risulterebbe preclusa dal giudicato formatosi per effetto della mancata contestazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha rilevato che era rimasta incensurata l’esclusione della responsabilità per omessa custodia, emergente dalla decisione di primo grado.

1.3. Quanto poi all’ulteriore eccezione di giudicato sollevata dalla difesa del MPS in relazione alla mancata impugnazione della sentenza di appello, nella parte in cui ha ritenuto che, nello svolgimento del servizio d’incasso o accettazione di effetti, la Banca non fosse tenuta a rispondere per le conseguenze derivanti da cause ad essa non imputabili, è sufficiente rilevare che, nell’ambito dei motivi addotti a giustificazione del rigetto della domanda, tale affermazione non si configura come un’autonoma ragione di esclusione della responsabilità della Banca per la negoziazione dell’assegno circolare, ma come un’argomentazione giuridica a sostegno della predetta esclusione, conseguente all’accertamento della mala fede del correntista nella presentazione del titolo all’incasso: pur confermando che, come accertato dal Giudice di primo grado, il personale del MPS non aveva tempestivamente provveduto al controllo dell’autenticità dell’assegno e della sussistenza della provvista (in quanto, a seguito della richiesta d’informazioni rivoltagli dal cliente prima dell’incasso, lo aveva erroneamente rassicurato sull’effettiva negoziabilità del titolo, salvo poi comunicargli il rifiuto di pagamento della BCP), la Corte di merito ha infatti escluso la possibilità di ravvisare nel predetto ritardo una violazione dell’obbligo di diligenza del mandatario, osservando che il T. aveva agito in mala fede, essendo stato consapevole della provenienza illecita del titolo, e concludendo pertanto per l’applicabilità della clausola del contratto di conto corrente che esonerava la Banca dalla responsabilità per i danni derivanti da cause ad essa non imputabili. In quanto fondata sull’accertata mala fede del correntista, tale conclusione è necessariamente attinta dalle censure sollevate dal ricorrente, le quali, riflettendo da un lato la legittimazione del portatore all’esercizio del diritto incorporato nell’assegno, indipendentemente dalla prova del legittimo acquisto del titolo, e dall’altro l’errata affermazione della predetta consapevolezza, si ripercuotono sull’intero percorso logico-giuridico unitariamente seguito dalla sentenza impugnata: non può trovare dunque applicazione il principio, costantemente ribadito da questa Corte in riferimento all’ipotesi in cui la sentenza sia fondata su una pluralità di rationes decidendi logicamente e giuridicamente distinte ed autonome, secondo cui la mancata impugnazione di alcune delle stesse, comportandone il passaggio in giudicato, rende inammissibili, per difetto d’interesse, le censure relative alle altre, non potendo queste ultime condurre in nessun caso all’annullamento della decisione (cfr. Cass., Sez. 6, 18/04/2017, n. 9752; 3/11/2011, n. 22753; Cass., Sez. 3, 14/02/2012, n. 2108).

1.4. Il motivo è peraltro fondato.

Premesso che nella specie la disciplina dei titoli di credito viene in rilievo soltanto indirettamente, avendo la controversia ad oggetto non già il pagamento dell’importo dell’assegno circolare, ma la responsabilità per la violazione dell’obbligo di diligenza nella verifica della regolarità del titolo, rispetto alla quale l’osservanza della predetta disciplina si configura come mero parametro di valutazione del comportamento tenuto dalla Banca negoziatrice, si osserva che, nell’escludere la responsabilità di quest’ultima, la sentenza impugnata ha attributo una portata decisiva alla mala fede del cliente nella presentazione dell’assegno all’incasso, ritenendo conseguentemente irrilevante il ritardo con cui era stata accertata la provenienza illecita del titolo.

Nella valutazione dell’atteggiamento del ricorrente, la Corte di merito si è peraltro limitata a conferire rilievo ai dubbi da lui nutriti in ordine alla provenienza dell’assegno, e manifestati attraverso la preventiva richiesta d’informazioni alla Banca, nonchè ad una serie di elementi indiziari, ritenuti idonei a comprovare che il T. era a conoscenza di aver acquistato un titolo d’incerta origine, senza considerare che, ai fini della configurabilità della mala fede, in presenza della quale l’art. 1994 c.c., consente di opporre al portatore l’acquisto del titolo a non domino, con la conseguente esclusione della legittimazione all’esercizio del diritto di credito in esso incorporato, non è sufficiente che l’acquisto del titolo abbia avuto luogo nel ragionevole dubbio o sospetto sulla regolare provenienza dello stesso, occorrendo invece la consapevolezza di violare un diritto altrui.

Come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la predetta disposizione, nell’escludere la possibilità di rivendicare il titolo nei confronti di chi ne abbia acquistato in buona fede il possesso in base alle norme che ne disciplinano la circolazione, fa infatti riferimento ad una nozione di buona fede non diversa da quella enunciata dall’art. 1147 c.c., che, in quanto improntata a criteri psicologici ed etici che prescindono da qualsiasi elemento oggettivo (cui fa invece richiamo l’art. 712 c.p., il quale punisce l’acquisto di cose di sospetta provenienza), postula soltanto che l’accipiens versi in un errore che, non determinato da colpa grave, risulti idoneo a radicare in lui la c.d. opinio dominii nei riguardi del tradens (cfr. Cass., Sez. 1, 26/03/1980, n. 2011). Tale disciplina risulta conforme al principio di autonomia del diritto cartolare, il cui acquisto, avendo luogo a titolo originario, per effetto dell’acquisto della proprietà del documento in cui è incorporato, ne comporta l’insensibilità alle vicende riguardanti il precedente titolare, a meno che il portatore, nell’acquistare il titolo, abbia agito a danno del debitore. In un’ottica non diversa, peraltro, e con specifico riferimento all’ipotesi in cui, come nella specie, il titolo, originariamente incompleto, sia stato riempito e messo in circolazione senza o contro la volontà dell’emittente, del R.D. 14 dicembre 1993, n. 1736, art. 14, dettato specificamente per la cambiale, ma ritenuto pacificamente riferibile anche agli altri titoli di credito, subordina l’opponibilità dell’abusivo riempimento alla prova che il portatore abbia acquistato il titolo in mala fede, ovvero abbia commesso colpa grave acquistandolo.

Nel conferire rilievo ai dubbi manifestati dal T. in ordine alla provenienza dell’assegno, senza neppure tenere conto delle rassicurazioni fornite dalla Banca a seguito della richiesta d’informazioni, la sentenza impugnata non ha d’altronde considerato che la presunzione di buona fede non può essere vinta dall’allegazione del mero sospetto di una situazione illegittima, occorrendo invece che l’incertezza promani da circostanze serie, concrete e non meramente ipotetiche, la cui prova è posta a carico di colui che intenda contrastare la presunzione legale (cfr. Cass., Sez. IL 16/12/2009, n. 26400; 21/05/2003, n. 7966; 22/05/2000, n. 664). Nella specie, invece, a conforto della ritenuta mala fede del ricorrente, la Corte di merito si è limitata ad evidenziare un comportamento non solo successivo all’acquisto dello assegno, ma di per sè equivoco, in quanto astrattamente riconducibile ad una pluralità di considerazioni, quale il mancato esercizio di azioni giudiziali nei confronti del soggetto che gli aveva consegnato l’assegno in pagamento del prezzo dovuto per la vendita di un natante e del soggetto al quale era stata trasferita la proprietà del natante.

2. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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