Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25315 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. II, 09/10/2019, (ud. 03/04/2019, dep. 09/10/2019), n.25315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20645 – 2015 R.G. proposto da:

M.C., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in

Roma, al viale Carso, n. 57, presso lo studio dell’avvocato Fabio

Tomassini che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato

Gianfranco Murru la rappresenta e difende in virtù di procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.A.M.L., – c.f. (OMISSIS) – D.E.E. –

c.f. (OMISSIS) – D.P. – c.f. (OMISSIS) – DE.ER. –

c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliati, con indicazione

dell’indirizzo di posta elettronica certificata, in (OMISSIS),

presso lo studio dell’avvocato Grazietta Farina che rappresenta e

difende – la prima e la seconda – in virtù di procura speciale in

calce al controricorso la terza ed il quarto – in virtù di procura

speciale con sottoscrizioni autenticate in data 17.9.2015;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 226 dei 24.4/18.5.2015 della corte d’appello

di Cagliari, sezione distaccata di Sassari;

udita la relazione nella camera di consiglio del 3 aprile 2019 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto notificato in data 24/25.11.2004 D.A.M.L., D.E.E., D.P. ed De.Er. citavano a comparire dinanzi al tribunale di Nuoro M.C..

Premettevano che erano comproprietari, a seguito di divisione con atto per notar G. del 24.8.2000, di fondo rustico in località (OMISSIS); che la convenuta era proprietaria, per acquisto fattone da D.G. con atto per notar G. in pari data, di un fondo contiguo, ovvero della porzione attribuita in sede di divisione al suo dante causa.

Indi esponevano che la convenuta aveva nel proprio fondo collocato un cancello attraverso il quale era possibile accedere ad una strada di loro esclusiva proprietà, giacchè il relativo tracciato correva all’interno del terreno di cui erano comproprietari.

Esponevano altresì che in sede possessoria l’adito tribunale aveva denegato la reintegrazione nel possesso dalla convenuta all’uopo invocata.

Chiedevano darsi atto e dichiararsi che la convenuta non aveva alcun titolo che la legittimasse all’apposizione del cancello.

Si costituiva M.C..

Deduceva che era comproprietaria della strada, in quanto cessionaria dei diritti che sul medesimo tracciato spettavano al suo dante causa, comproprietario, unitamente ai fratelli, dell’originario unico fondo.

Instava per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale, chiedeva accertarsi e darsi atto del suo diritto di utilizzare la strada.

Con sentenza n. 1003/2010 l’adito tribunale rigettava e la domanda attorea, qualificata in guisa di rei vindicatio, e la domanda riconvenzionale.

Proponevano appello D.A.M.L., D.E.E., D.P. ed De.Er..

Resisteva M.C.; proponeva appello incidentale.

Espletata c.t.u., con sentenza n. 226 dei 24.4/18.5.2015 la sezione distaccata di Sassari della corte d’appello di Cagliari accoglieva l’appello principale, rigettava l’appello incidentale e, per l’effetto, dichiarava che sul terreno in comproprietà degli appellanti non gravava alcuna servitù di passaggio a favore del terreno di proprietà dell’appellata; condannava l’appellata alle spese del doppio grado e di c.t.u..

Premetteva la corte che le parti concordavano sulla qualificazione in guisa di negatoria servitutis non già di rei vindicatio della domanda attorea.

Indi – tra l’altro – evidenziava, per un verso, che nell’atto d’acquisto della M. non vi era menzione di alcuna servitù di passaggio a favore del fondo dell’appellata ed a carico del fondo in comproprietà degli appellanti, tant’è che era prefigurata la realizzazione di una recinzione lungo l’intero confine tra le limitrofe proprietà e non era prevista l’apposizione di alcun cancello; evidenziava, per altro verso, che non aveva valenza alcuna la clausola, di cui all’atto di acquisto della M., alla cui stregua il fondo era venduto nello stato di fatto e di diritto nel quale era pervenuto all’alienante, D.G., giacchè costui, in quanto comproprietario, hereditatis causa, unitamente agli attori dell’originario unico latifondo, non aveva ragione per vantare servitù di passaggio lungo la strada contesa.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.C.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

D.A.M.L., D.E.E., D.P. ed De.Er. hanno depositato controricorso; hanno chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2729 c.c.; l’insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.

Deduce che, a fronte delle contestazioni da ella formulate, la corte di merito avrebbe dovuto far luogo al riscontro della proprietà asseritamente vantata dalle controparti sulla scorta di presunzioni, oltre che gravi e precise, altresì concordanti.

Deduce segnatamente che le affermazioni della corte di seconde cure sono in contrasto con quanto dichiarato dai germani D. in sede possessoria, con quanto statuito dal tribunale di Nuoro con la sentenza n. 763/2009 pronunciata a definizione del giudizio possessorio, con quanto dichiarato dai germani D. nell’atto di divisione per notar G. del 24.8.2000, con quanto previsto nell’atto di vendita intercorso tra D.G. ed ella ricorrente del pari per notar G. del 24.8.2000.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1372,2700,2644 e 825 c.c.; l’insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.

Deduce che la corte distrettuale non ha correttamente interpretato in particolare il proprio titolo d’acquisto, ovvero l’atto per notar G. del 24.8.2000, ove il terreno da ella acquistato è indicato come confinante su di un lato con la strada “(OMISSIS)” oggetto di contesa; che dunque la corte territoriale avrebbe dovuto ritenere che la strada è esterna alla proprietà delle controparti, a nulla rilevando che catastalmente è ricompresa in uno dei mappali a costoro intestati.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Deduce che la corte di Sassari ha equivocato, allorquando ha ritenuto di trarre elementi di valutazione dalla scrittura in data 22.8.1997, recante promessa di vendita tra D.G. e C.M., coniuge – non suocero – di ella ricorrente.

I motivi di ricorso sono strettamente connessi; il che ne suggerisce la disamina contestuale; in ogni caso gli addotti motivi sono, tutti, senz’altro da respingere.

Si rappresenta previamente quanto segue.

Le censure che gli spiegati mezzi veicolano, danno corpo, sotto un primo aspetto, ad una “questione” “ermeneutica” (“nel non dare alcun peso agli atti pubblici sopra indicati (…) la Corte di merito sassarese incorre in (…) violazione delle norme che governano la corretta interpretazione del contratto (…) le parti avevano invece inteso concordare l’attribuzione in sede di divisione, e posteriormente la vendita (…)”: così ricorso, pag. 16).

E si traducono, sotto altro aspetto, nella sostanziale censura del giudizio “di fatto” cui la corte d’appello ha atteso (la “Corte di merito (…) incorre però in errore inaccettabile nel ritenere compiutamente assolto da parte degli appellanti l’onere di dare dimostrazione del proprio preteso titolo sulla strada campestre (…) oggetto della domanda”: così ricorso, pag. 10; “poco importa, evidentemente, che la detta strada catastalmente, e solo catastalmente, possa ricadere all’interno di uno o più mappati intestati D.”: così ricorso, pagg. 16 – 17; “l’errore sta proprio qui (…) la strada contesa e la strada (OMISSIS) sono la stessa cosa”: così ricorso, pag. 21). In parte qua i motivi si qualificano essenzialmente in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 i ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia: cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Su tale scorta si rappresenta ulteriormente quanto segue.

In relazione al primo aspetto esplicano valenza, ovviamente, gli insegnamenti di questo Giudice del diritto.

Ossia l’insegnamento secondo cui l’interpretazione del contratto costituisce un’attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Ossia l’insegnamento secondo cui nè la censura ex n. 3 nè la censura art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 dell’possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde – si soggiunge – per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; Cass. 2.5.2006, n. 10131).

In questo quadro l'”interpretazione” dell’atto per notar G. del 24.8.2000, titolo di acquisto della ricorrente, patrocinata dalla corte di merito – con specifico riferimento alla omessa prefigurazione di servitù di passaggio a favore del fondo dell’appellata ed alla irrilevanza della clausola per cui il fondo era venduto nello stato di fatto e di diritto nel quale era pervenuto all’alienante – è in toto inappuntabile, giacchè non si prospetta in spregio ad alcun criterio ermeneutico legale e risulta sorretta da motivazione esaustiva e coerente.

In questo quadro, al contempo, gli assunti della ricorrente – ovvero specificamente la deduzione per cui il fondo da ella acquistato è indicato nel suo atto di acquisto come confinante su di un lato con la strada “(OMISSIS)” – si risolvono tout court nella prospettazione dell’opzione esegetica di segno antitetico.

Si badi che l’operazione ermeneutica cui la corte distrettuale ha atteso, risulta al contempo ancorata alla disamina della scrittura privata, recante promessa di vendita, intercorsa tra D.G. e C.M., coniuge – rectius – di M.C..

In particolare la corte territoriale ha tenuto conto della clausola, inserita nel testo della medesima scrittura, alla cui stregua C.M. si obbligava a spostare il cancello esistente.

In relazione al secondo aspetto (censura del giudizio “di fatto”) viene in rilievo, ovviamente, la pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

In quest’ottica si rappresenta quanto segue.

Da un canto, è da escludere certamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” – tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di Sassari ha ancorato il suo dictum.

Invero, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte sassarese ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

In particolare la corte sarda ha dato atto delle seguenti circostanze.

Ha puntualizzato che l’esame della documentazione prodotta dava riscontro dell’esistenza di “un sentiero ricadente nella proprietà indivisa degli appellanti” (così sentenza d’appello, pag. 4), non già della creazione di una “nuova strada vicinale” “(OMISSIS)”, sulla quale M.C. potesse vantare un diritto di transito in conseguenza dei diritti già spettanti al proprio dante causa (i controricorrenti hanno precisato che “il c. t. u. ha proceduto (…) alla rilevazione in loco della linea di confine, materializzata da paletti in ferro e rete metallica (…) ed ha poi sovrapposto i rilievi eseguiti con la mappa catastale rilevandone la coincidenza e quindi ha accertato che l’asse della strada ricade completamente nella proprietà D.”: così controricorso, pag. 12).

Ha puntualizzato che la “nuova strada vicinale” o “strada di nuova apertura” “(OMISSIS)”, esterna, alla stregua della documentazione prodotta, “tanto alla proprietà dell’appellata, con la quale confina, quanto alla proprietà degli appellanti” (così sentenza d’appello, pag. 3), non risulta costruita, giacchè “è circostanza incontrovertibile che, allo stato attuale, tra le confinanti proprietà non risulta la presenza di alcuna strada avente tale caratteristica” (così sentenza d’appello, pag. 3), ossia la connotazione di esser esterna alle proprietà delle parti in lite.

Per nulla si giustifica perciò la prospettazione della ricorrente, veicolata propriamente dal terzo motivo, secondo cui la strada interna alla proprietà delle controparti e la strada “(OMISSIS)” sono la medesima strada, ovvero la strada che segna il confine tra le due proprietà.

La corte sarda, inoltre, ha chiarito che era da escludere che il sentiero avesse natura di strada pubblica, attesa la sua consistenza e la sua inidoneità a soddisfare esigenze di interesse generale, ed, in pari tempo, che il sentiero fosse di proprietà dei frontisti, siccome ricadente, quanto meno per il tratto conteso, interamente nella proprietà degli appellanti.

Per nulla si giustifica perciò la prospettazione della ricorrente, veicolata propriamente, in via subordinata, dal secondo motivo, secondo cui ha diritto di utilizzare la strada quale proprietaria frontista.

D’altro canto, i rilievi premessi danno conto, univocamente, che la corte sassarese ha di certo disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa.

L’iter motivazionale che sorregge l’impugnato dictum risulta dunque ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

Talune ulteriori puntualizzazioni si impongono da ultimo.

In primo luogo, in tema di azione negatoria, poichè la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce in giudizio non ha l’onere di fornire la prova rigorosa della proprietà, come accade nell’azione di rivendica, essendo sufficiente la dimostrazione con ogni mezzo, anche in via presuntiva, del possesso del fondo in forza di un titolo valido, mentre incombe sul convenuto l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere l’attività lamentata come lesiva dall’attore (cfr. Cass. 15.10.2014, n. 21851).

A nulla vale quindi addurre che la corte d’appello ha giudicato alla stregua di presunzioni non conformi ai parametri di cui all’art. 2729 c.c.. La corte viceversa ha giudicato alla stregua delle risultanze della prodotta documentazione.

In secondo luogo, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In terzo luogo, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Infine, la ricorrente prospetta l’asserita omessa, erronea valutazione delle risultanze di causa (cfr. ricorso, pagg. 12 – 15; cfr. ricorso, pag. 21: “a nulla rilevando che ad avviso dei tecnici essa farebbe parte dell’una o dell’altra proprietà).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento degli elementi di prova non legale da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass., 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

M.C., giacchè soccombente, va condannata a rimborsare ai controricorrenti le spese – liquidate come da dispositivo – del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, M.C., a rimborsare ai controricorrenti, D.A.M.L., D.E.E., D.P. ed De.Er., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis cit..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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