Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25314 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 25/10/2017, (ud. 15/03/2017, dep.25/10/2017),  n. 25314

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10563/2013 R.G. proposto da:

B.A., rappresentato e difeso dagli avv.ti Pietro

Intilisano e Mario Intilisano, con domicilio eletto in Roma, via

Lunigiana, n. 6, presso lo studio del Dott. G. D’Agostino;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SANT’AGATA DI MILITELLO, rappresentato e difeso dall’avv.

Fabrizio Trifilò, con domicilio eletto in Roma, via L. G.

Faravelli, n. 22, presso lo studio dell’avv. Gaetano Gianni;

– controntorrente –

avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Messina,

n. 644, depositata in data 10 dicembre 2008 e la successiva sentenza

definitiva n. 81 depositata il 16 febbraio 2012;

uditala relazione svolta nella Camera di consiglio del 15 marzo 2017

dal Consigliere Dott. Pietro Campanile.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

con la sentenza non definitiva indicata in epigrafe la Corte di appello di Messina, pronunciando sul gravame proposto da B.A. ed A.M. avverso la sentenza del Tribunale di Patti, che, previa risoluzione di un atto di cessione volontaria di un terreno sottoposto a procedimento ablativo intercorso fra la dante causa dei predetti, P.A., e il Comune di Sant’Agata di Militello, aveva condannato detto ente al pagamento della somma di Euro 2.101,97, oltre interessi, dichiarandosi incompetente in merito alla determinazione dell’indennità di occupazione, ha stabilito che il ristoro del pregiudizio correlato alla perdita delle proprietà del terreno, ritenuto edificabile, fosse commisurato al valore venale del bene, determinando per ciascun anno di occupazione la relativa indennità in Euro 38,82;

con successiva sentenza definitiva n. 81 del 2012, all’esito dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio, determinava in Euro 1.480,00 la somma spettante a titolo di risarcimento del danno;

per la cassazione di tale decisione il sig. B.A. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui il Comune resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con i primi due motivi il ricorrente si duole della determinazione dell’indennità di occupazione sulla base del criterio del valore agricolo medio, non più applicabile dopo la decisone della Corte costituzionale n. 181 del 2011;

la terza e la quarta censura riguardano la determinazione del valore del fondo al fine del ristoro della perdita della proprietà, alla fine pur sempre determinato, in contraddizione con quanto affermato nella sentenza non definitiva del 2008, ricorrendo al valore agricolo medio;

il quinto mezzo attiene alla violazione del divieto di reformatio in peius, per aver la Corte attribuito, in assenza di impugnazione incidentale da parte del Comune, una somma inferiore a quella determinata nella sentenza di primo grado;

i primi quattro motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati, con conseguente assorbimento del quinto;

deve, infatti, darsi atto della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, emessa, nelle more del presente giudizio, a completamento del processo di conformazione del diritto interno ai principi posti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo;

con i motivi di ricorso in esame la parte ricorrente ha impedito la definitiva ed immodificabile determinazione dell’indennità, ponendone in discussione l’ammontare ancora dovuto, e dalla stessa ritenuto incongruo;

deve in proposito rilevarsi che il sistema indennitario è ormai svincolato dalla disciplina delle formule mediane (dichiarata incostituzionale con sentenza n. 348 del 2007) e dei parametri tabellari, di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, commi 1 e 2 e della L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 5 e 6 e risulta, invece, agganciato al valore venale del bene, e che, quindi, il serio ristoro che l’art. 42 Cost., comma 3, riconosce al sacrificio della proprietà per motivi d’interesse generale, si identifica con il giusto prezzo nella libera contrattazione di compravendita, id est col valore venale del bene, posto che la dichiarazione d’incostituzionalità dei menzionati criteri riduttivi ha fatto rivivere detto criterio base di indennizzo, posto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39, riconosciuto applicabile ai casi già soggetti al pregresso regime riduttivo (Cass. n. 11480 del 2008; n. 14939 del 2010; n. 6798 del 2013; n. 17906 del 2014), ed ora sancito dal del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90;

tanto non comporta, tuttavia, che sia venuta meno, ai fini indennitari, la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, che è imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio – anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici – e che le regole di mercato non possono travalicare;

l’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione di un unico criterio discretivo, fondato sulla edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, tuttora vigente, e recepito nel T.U. espropriazioni di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37;

in base a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass., n. 7987/2011; Cass., n. 9891/2007; Cass., n. 3838/2004; Cass., n. 10570/2003; Cass., Sez. un., nn. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; Cass., n. 2605/2010; Cass. nn. 21095 e 16537/2009);

le impugnate sentenze, tanto con riferimento all’indennità di occupazione, quanto in relazione al ristoro dell’illegittima perdita del bene, sono entrambe fondate sul valore agricolo medio del fondo (la seconda in base al recepimento delle conclusioni peritali, così come trascritte nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza), e vanno quindi cassate in relazione all’aspetto relativo allo “ius superveniens”, con rinvio alla Corte d’appello di Messina, che, in diversa composizione, provvederà a determinare l’indennità di occupazione e l’entità del risarcimento dovuto pro quota al B., considerando che, all’interno della categoria dei suoli inedificabili (in cui va ricompreso quello espropriato), rivestono valore a fini indennitari le possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.), sempre che siano assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative;

il giudice del rinvio provvederà, altresì, a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 15 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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