Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25314 del 20/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/09/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 20/09/2021), n.25314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19350-2019 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GUERRINO ORTINI;

– ricorrente –

contro

G.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2884/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 6/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA

NAZZICONE.

 

Fatto

RILEVATO

– che viene proposto dal sig. C. ricorso, fondato su sei motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona del 6 dicembre 2018, n. 2884, la quale, in parziale riforma della decisione impugnata, ha – per quanto ancora rileva in questa sede – posto a carico della moglie l’assegno di mantenimento di Euro 150,00 per ciascuno dei due figli della coppia, conviventi con il padre;

– che la parte intimata non ha svolto difese;

– che è stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

CONSIDERATO

– che il ricorso deduce:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 337-ter e 337-octies c.c., in quanto il giudice d’appello avrebbe dovuto far uso dei poteri istruttori d’ufficio, al fine di verificare i maggiori redditi della moglie;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 316-bis e 337-ter c.c., in quanto i coniugi devono mantenere i figli a seconda delle loro sostanze, ma così non è avvenuto nella specie, godendo la moglie di maggiori redditi rispetto a quelli accertati e non essendo congrua la somma determinata in Euro 150,00 mensile a figlio;

3) omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alle effettive condizioni economiche della moglie;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c., comma 2, perché, contrariamente a quanto opinato dalla corte territoriale, egli non riceve apporti aggiuntivi dalla propria convivente, con la quale ogni relazione è cessata, mentre, quanto al suo negozio di parrucchiere, egli ha ridotto i ricavi e licenziato una dipendente;

5) violazione e falsa applicazione dell’art. 337-octies c.c., non essendo stata condotta un’adeguata istruttoria in ordine ai redditi della signora, che sono di circa 2.000,00 mensili, oltre a depositi bancari di almeno Euro 100,000,00;

6) violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre a motivazione apparente, con riguardo alla decorrenza dell’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne, posto carico della moglie; ed infatti, il figlio è convivente col padre dal 2013, ma la corte del merito ha fatto decorrere l’assegno solo dalla sentenza;

– che i primi quattro motivi del ricorso sono inammissibili, in quanto pretendono tutti di ripetere un giudizio sul fatto;

– che, invero, la corte del merito – dopo avere riassunto il contenuto della decisione di primo grado ed i motivi di appello – ha ritenuto: a) esistente un deciso divario economico tra i coniugi, a favore del marito; b) indimostrati maggiori redditi della moglie rispetto a quello di Euro 1.500,00, assenti proprietà immobiliari e l’esigenza di condurre un appartamento in locazione a fini abitativi; c) inattendibili le entrate dichiarate dal marito, di professione parrucchiere, in quanto non coerenti con le varie proprietà immobiliari e con il saldo attivo di conto corrente di almeno Euro 200.000,00, dunque essendovi una comprovata capacità patrimoniale e reddituale; d) inammissibile la pretesa di introdurre fatti nuovi circa il reddito della moglie, ribadendo la sufficienza degli elementi istruttori in atti al riguardo; e) necessaria la decorrenza degli effetti dell’assegno di mantenimento, posto a carico della moglie, per il figlio minorenne dal 2016, anno in cui egli ha iniziato a convivere col padre, e per il figlio maggiorenne dalla stessa sentenza, essendovi prova, per ammissione ripetuta dello stesso genitore, che il ragazzo avesse per il precedente periodo abitato con i nonni, i quali quindi provvidero già al suo mantenimento;

– che si tratta, all’evidenza, di tutti accertamenti di fatto, non ripetibili in questa sede;

– che neppure sussiste il denunziato vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal momento che i fatti menzionati dal ricorrente sono stati ex professo esaminati; invero, ogni elemento economico e reddituale delle parti risulta pienamente considerato e valutato dalla sentenza impugnata, tanto da palesare la richiesta di un’inammissibile revisione fattuale in questa sede di legittimità;

– che il quinto motivo è manifestamente infondato, perché, quanto alla doglianza di omessa attivazione di poteri istruttori d’ufficio, l’art. 337-octies c.c., comma 6, prevede che “Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”, così chiaramente ponendo in esordio, quale condizione per tali accertamenti, l’insufficienza dei dati acquisiti: circostanza espressamente esclusa sia dal tribunale, sia dalla corte d’appello nella decisione impugnata, che dunque non si espone alla censura proposta;

– che, come è stato già condivisibilmente chiarito, “Ogni qualvolta un coniuge contesti i redditi dichiarati dall’altro, ovvero le sostanze di cui lo stesso è titolare, adducendo elementi che facciano ritenere la sussistenza di un livello economico superiore a quello apparente e, dunque, sia in discussione la prova degli elementi che assumono rilevanza ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno di mantenimento, sia in sede di separazione che in sede di divorzio, vi è l’obbligo da parte dell’autorità giudiziaria di disporre indagini di ufficio sui redditi; ove, invece, le prove dedotte e prodotte dalle parti consentano una soddisfacente ricostruzione del fatto da provarsi, il giudice non ha motivo di ricercare nuove prove esercitando i propri poteri istruttori ufficiosi” (Cass. 7 marzo 2006, n. 4872) e che “il giudice del merito, ove ritenga aliunde raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell’assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d’ufficio attraverso la polizia tributaria, atteso che l’esercizio del potere ufficioso di disporre, per il detto tramite, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella sua discrezionalità, non trattandosi di un adempimento imposto dall’istanza di parte, purché esso sia correlabile anche per implicito ad una valutazione di superfluità dell’iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti” (Cass. 28 marzo 2019, n. 8744; Cass. 6 giugno 2013, n. 14336), con principi ora richiamati;

– che, dunque, non sussiste nessuna violazione di legge per non avere il giudice del merito disposto le indagini tributarie, dal momento che si tratta di una facoltà del giudice atta a completare ed integrare le prove (cfr. Cass. 20 febbraio 2017, n. 4292; Cass. 15 novembre 2016, n. 23263; Cass. 28 gennaio 2011, n. 2098);

– che il sesto motivo è manifestamente infondato, perché la corte del merito ha perfettamente spiegato la ragione – fondata su accertamenti in fatto, libero convincimento sulle concrete circostanze e corretti principi di diritto – secondo cui la convivenza del figlio maggiorenne col padre, perciò avente diritto al contributo per conto del figlio medesimo, non sussisteva, essendo stato di fatto egli mantenuto dai nonni;

– che non occorre provvedere sulle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

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