Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25313 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. I, 11/11/2020, (ud. 20/10/2020, dep. 11/11/2020), n.25313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7619/2019 r.g. proposto da:

M.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Ivana

Calcopietro, presso il cui studio elettivamente domicilia in Reggio

Calabria, alla via Reggio Campi, Rione A.;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI MILANO depositata il

17/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 20/10/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.S. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 3457/2018, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del Tribunale della stessa città che – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto del racconto del richiedente, giudicato inattendibile (analogamente a quanto opinato dal giudice di prime cure), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento delle forme di protezione invocate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

I) “Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 11 (Sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato) e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 (Sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria). Violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.”. Si censurano le argomentazioni con cui la corte distrettuale ha ribadito la valutazione di inattendibilità dell’appellante e si ascrive alla prima di “aver effettuato una illogica ed errata ricostruzione delle circostanze poste a fondamento della richiesta di protezione”, disattendendone, poi, gli elementi decisivi;

II) “Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 111Cost., comma 6, art. 132c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e degli artt. 2 ed 8 CEDU, nonchè degli artt. 2 e 10 Cost.. Violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.. Omessa pronuncia. Nullità della sentenza”. Si contesta il mancato riconoscimento della protezione umanitaria perchè fondato sulla falsa ed illogica motivazione fornita dalla corte per giustificare la inattendibilità del M., ignorando, peraltro, la documentazione da quest’ultimo prodotta a dimostrazione del proprio inserimento lavorativo.

2. Tali censure sono scrutinabili congiuntamente perchè connesse, oltre che accomunate dalla medesima ragione di inammissibilità, fin da ora rimarcandosi, peraltro, l’assoluta inconsistenza dell’asserita violazione dell’art. 112 c.p.c., prospettata in entrambe, atteso che, come ribadito da Cass. n. 24155 del 2015: i) ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica, in particolare, quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (cfr. Cass. n. 20311 del 2011); ii) il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorchè manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre non ricorre nel caso in cui il giudice del gravame fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (cfr. Cass. n. 452 del 2015; Cass. n. 16254 del 2012; Cass. n. 11756 del 2006). Non c’è dubbio, allora, che il vizio nella specie non ricorra, dal momento che la corte territoriale ha motivatamente disatteso tutti i motivi di censura svolti dal M. in appello, adottando argomentazioni assorbenti.

2.1. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che la corte milanese, pur non dubitando, in linea generale, delle condizioni vessatorie ed umilianti cui sono sottoposti in Gambia (Paese di origine dell’appellante) gli individui omosessuali, ha ampiamente esposto – adempiendo, così, pienamente al “minimo costituzionale” impostole (cfr. Cass. n. 8053 del 2014) – le ragioni che l’hanno indotta a considerare affatto inattendibile, come già aveva opinato il tribunale, il racconto del M. quanto alla reale sussistenza di una sua simile condizione così come dedotta (cfr., amplius, pag. 6-7 della sentenza impugnata).

2.2. E’ noto che il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), postulano la credibilità della narrazione dei fatti che esporrebbero l’immigrato, in caso di ritorno in patria, al rischio della pena di morte o della tortura. Invero, quando le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 20225 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018): situazione che neppure è stata specificamente dedotta nel caso di specie.

2.2.1. Questa Corte, poi, ha recentemente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo precedentemente richiamato), come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera illogicità o insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019; Cass. 20225 del 2019).

2.2.2. Nella specie, allora, il primo motivo è inammissibile nella parte in cui le relative argomentazioni si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass. n. 7119 del 2020).

2.2.3. Il medesimo motivo, poi, benchè rechi in rubrica il richiamo anche all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, da un lato, oblitera totalmente che lo specifico vizio previsto da quest’ultimo, relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deve intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017); dall’altro, è comunque assolutamente carente quanto al rispetto delle modalità di deduzione di un siffatto vizio come precisate da Cass., SU, n. 8053 del 2014.

2.3. A tanto deve solo aggiungersi che la corte distrettuale era stata investita, attraverso i motivi di gravame innanzi ad essa formulati, della contestazione riguardante il mancato riconoscimento (oltre che dello status di rifugiato e della protezione umanitaria) della protezione sussidiaria esclusivamente in relazione ai profili disciplinati del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non anche dalla lett. c) della medesima norma: sulla relativa statuizione del giudice di primo grado, pertanto, doveva intendersi formato il giudicato interno, come, del resto, implicitamente può desumersi dal fatto che, in questa sede, il ricorrente in nessun modo denuncia un’omessa pronuncia su un eventuale, corrispondente e puntuale motivo di appello.

2.4. Con specifico riguardo, poi, alla doglianza volta a censurare il mancato riconoscimento della cd. protezione umanitaria (da scrutinarsi sulla base della relativa disciplina anteriore a quella introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018 (cfr. Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461; Cass. n. 4890 del 2019), si impongono considerazioni affatto analoghe, posto che la corte distrettuale, al di là della ritenuta inattendibilità del ricorrente sui fatti che ne fondavano la corrispondente istanza, ha comunque escluso l’esistenza di situazioni di sua vulnerabilità.

2.4.1. Il M., invece, tenta sostanzialmente di opporre alla esaustiva valutazione fattuale contenuta nella sentenza impugnata una propria alternativa interpretazione (facendo, peraltro riferimento, del tutto inammissibilmente, a documentazione di cui nemmeno riporta il concreto contenuto. Cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019), sebbene sotto la formale rubrica del vizio motivazionale o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

2.4.2. Per completezza, mette conto di rilevare che la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere comunque ancorata ad “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio”: infatti, la temuta violazione dei diritti umani deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, laddove ai fini del riconoscimento della protezione de qua, al giudice è chiesto di verificare l’esistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, altresì rimarcandosi che tra i motivi per i quali è possibile accordare la protezione umanitaria non rientrano, di per sè, l’integrazione sociale e lavorativa in Italia (cfr. Cass. n. 25075 del 2017, ribadita, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 780 del 2019 e Cass. n. 17536 del 2020).

2.5. In definitiva, il ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c., può porsi, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr. Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione).

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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