Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25312 del 11/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 25312 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA
sul ricorso 19335-2011 proposto da:
ANIBALLI

VITTORIO

C.F.

NBLVTR43L26H501A,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO
MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato ABATI
MANLIO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ANNUNZIATA CRISTIANO, giusta delega in
2013

atti;
– ricorrente –

2763

contro

BANCO POPOLARE SOC.

COOP.(GIA’

BANCA POPOLARE

ITALIANA SOC. COOP. A.R.L.) P.I. 03700430238, in

Data pubblicazione: 11/11/2013

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8,
presso lo studio dell’avvocato CICCOTTI ENRICO, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
BURRAGATO GUGLIELMO, giusta delega in atti;

non chè contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
avvocati ANTONINO, MARITATO LELIO, MITTONI ENRICO,
D’ALOISIO CARLA, giusta delega in calce alla copia
notificata del ricorso;
– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 5013/2010 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/07/2010 R.G.N.
1517/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/10/2013 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato ANNA STEFANINI per delega ABATI
MANLIO;
udito l’Avvocato CICCOTTI ENRICO;
udito l’Avvocato DE ROSE EMANUELE per delega SGROI

– controri corrente –

ANTONINO;
udito il P.M. in persona

del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GIANFRANCO

SERVELLO che ha concluso

per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

di successive vicende societarie, Banco Popolare s. coop.), agì in
giudizio per ottenere il riconoscimento della qualifica dirigenziale e il
conseguente pagamento delle differenze retributive, la declaratoria
d’illegittimità del licenziamento intimatogli e il conseguente
risarcimento del danno nella misura dell’indennità prevista dal CCNL
di categoria, la corresponsione, a vari titoli, di ulteriori spettanze
economiche.
Radicatosi il contraddittorio con le Società convenute e previa
chiamata in causa dell’Inps, Il primo Giudice riconobbe:

il diritto del ricorrente alla qualifica dirigenziale di IV livello a far

data del 1°.2.1995, con condanna al pagamento in suo favore delle
differenze retributive maturate nel periodo febbraio 1999 – marzo
2001, da quantificarsi in separata sede;

l’illegittimità del licenziamento irrogatogli il 31.3.2001, con la

conseguente condanna risarcitoria;

l’infondatezza di ogni altra domanda;

la nullità delle domande riconvenzionali delle resistenti.

Con sentenza del 28.5 – 14.7.2010, la Corte d’Appello di Roma,
premesso l’intervenuto passaggio in giudicato del riconoscimento
della qualifica dirigenziale, in parziale riforma della sentenza di prime
cure:

Aniballi Vittorio, già dipendente della ICCRI BFE spa (oggi, a seguito

- rigettò le domande di impugnazione del licenziamento e di

lavoratore alla restituzione della somma complessiva ricevuta (euro
223.800,25), oltre agli interessi legali;
– rideterminò il periodo di spettanza delle differenze retributive a far
tempo dal 24.1.1999;
– riconobbe il diritto del lavoratore al risarcimento del danno (in
ragione di euro 4.711,99) in relazione al mancato pagamento nella
misura massima del premio di rendimento maturato nell’anno 1999;
– rigettò l’appello incidentale dell’Inps.
Per ciò che ancora qui rileva, la Corte territoriale, a sostegno del
decisum, ritenne quanto segue:
– la giustificatezza del licenziamento del dirigente poteva fondarsi
sia su ragioni soggettive, che oggettive di riorganizzazione aziendale
e, nella specie, il licenziamento impugnato si era inserito nell’ambito
di un più generale ridimensionamento dell’organico dell’azienda
datrice di lavoro, la quale aveva avviato la procedura di cui all’art. 4
legge n. 223/91 e sottoscritto gli accordi sindacali del 21 luglio e del
7 dicembre 2000, i quali avevano portato ad individuare i lavoratori
da licenziare in base al possesso dei requisiti anagrafici e contributivi
per il pensionamento di anzianità o di vecchiaia, ovvero per l’accesso
all’assegno straordinario erogato dal Fondo di solidarietà per il
settore del credito, istituito con dm 28 aprile 2000; né era rilevante, ai
4

corresponsione dell’indennità supplementare, condannando il

fini de quibus, la qualifica dirigenziale riconosciuta ex post al

una condizione di maggiore garanzia per il dipendente, dovendosi
quindi escludere l’arbitrarietà e la pretestuosità del recesso datoriale
e, quindi, la sua ingiustificatezza;
– inoltre la pretesa fatta valere dall’Aniballi non era azionabile nei
casi di richiesta e conseguimento delle prestazioni assicurate dal
Fondo di Solidarietà per il settore del credito; al riguardo doveva
considerarsi che l’art. 26 del CCNL di settore, dopo aver previsto il
diritto del dirigente di richiedere la motivazione scritta del
licenziamento e di ricorrere al collegio arbitrale qualora ritenga lo
stesso non giustificato, aveva aggiunto al punto 5 che “Le Parti si
danno atto che quanto convenuto in materia di cessazione del
rapporto ha tenuto conto della previsione (art. 7, comma 4)
contenuta nel D.M. 28 aprile 2000, n. 158 – recante la disciplina del
Fondo per il sostegno del reddito e dell’occupazione – secondo la
quale alle prestazioni di cui all’art. 5, comma 1, lett. a), punto 2 e lett.
b), nell’ambito dei processi di cui all’art. 2 del medesimo decreto,
possono accedere anche i dirigenti, ferme restando le norme di
legge e di contratto applicabili alla categoria”, mentre al successivo
punto 6 era stato precisato che “Qualora il dirigente fruisca dei
trattamenti di cui sopra è escluso il ricorso al Collegio arbitrale”;
poiché, a norma dell’art. 29 CCNL, era riservata al Collegio arbitrale
5

lavoratore, atteso che tale ricomprensione aveva introdotto, semmai,

proprio la valutazione sulla sussistenza o meno della giustificatezza

supplementare, l’esclusione della procedura arbitrale nella ipotesi di
accesso del dirigente alle prestazioni del Fondo poteva che essere
interpretata come valutazione ex ante compiuta dalle parti collettive
della sussistenza di una ragione giustificatrice del recesso, tale da
escludere in radice il carattere arbitrario e pretestuoso che il
licenziamento deve avere per poter essere considerato
“ingiustificato”;
– il rigetto della impugnazione del licenziamento imponeva
l’accoglimento della domanda restitutoria delle somme versate in
esecuzione della pronuncia di prime cure;
– in ordine alla questione della prescrizione andava condiviso
l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui l’azione
promossa dal lavoratore subordinato, avente ad oggetto il
riconoscimento della qualifica superiore, si prescrive nell’ordinario
termine decennale di cui all’art. 2946 cc, mentre le azioni dirette ad
ottenere le differenze retributive derivanti dal suddetto
riconoscimento si prescrivono nel termine quinquennale previsto
dall’art. 2948 cc;
– né potevano essere accolte le considerazioni in merito al
carattere risarcitorio della pretesa, giacché nell’atto introduttivo di
primo grado non era rinvenibile alcun richiamo alla asserita natura
6

del licenziamento e sul conseguente diritto alla indennità

risarcitoria dell’azione, onde doveva ritenersi la novità e, quindi,

– ai fini della individuazione del regime di prescrizione applicabile ai
crediti retributivi, il presupposto della stabilità reale del rapporto di
lavoro doveva essere verificato in relazione al concreto atteggiarsi
del rapporto stesso nel momento in cui il dipendente poteva far
valere la pretesa, non rilevando, invece, la diversa normativa che
avrebbe dovuto regolare in astratto il rapporto contrattuale e, quindi,
la diversa disciplina che il giudice,

ex post, ritenesse di dover

applicare allo stesso; il rapporto dedotto in giudizio, durante il suo
svolgimento, era stato senz’altro assistito da stabilità reale, non
avendo, all’epoca, l’istituto di credito riconosciuto all’appellante
incidentale la qualifica dirigenziale, rivendicata solo all’esito della
risoluzione del rapporto medesimo, onde, appunto in costanza di
rapporto, l’Aniballi aveva goduto senz’altro del regime di stabilità
reale;
– quanto ai pretesi atti interruttivi anteriori alla notifica del ricorso
giudiziario doveva rilevarsi che:
a) nell’impugnare il licenziamento intimato l’Aniballi non aveva fatto
alcun cenno alle pretese differenze retributive scaturenti dal suo
diritto alla qualifica dirigenziale, sicché la missiva in parola non aveva
esteso i suoi effetti alle richieste economiche;

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l’inammissibilità della richiesta svolta in tal senso;

b) analoghe considerazioni valevano per la richiesta di tentativo di

impugnativa del licenziamento;
c) quanto alla successiva richiesta del 24 ottobre 2001, nella quale
era stato fatto per la prima volta riferimento alle differenze retributive
scaturenti anche dall’avvenuto svolgimento di mansioni di carattere
dirigenziale, doveva osservasi che non era stata fornita la prova della
avvenuta comunicazione al datore di lavoro, non essendo sufficiente
a produrre l’effetto

interruttrvo il

solo deposito della richiesta

medesima presso gli uffici della Direzione Provinciale del Lavoro; né,
a fronte della espressa contestazione della controparte datoriale,
l’avvenuta comunicazione, quantomeno in data immediatamente
antecedente il 20.9.2002, poteva desumersi dal tenore del processo
verbale di mancata conciliazione, ove non era stato indicato
l’oggetto della controversia, difettando quindi la possibilità di
comprendere se il tentativo di conciliazione si riferisse alla ritenuta
illegittimità del licenziamento (rivelandosi quindi inidoneo a spiegare
effetti interruttivi rispetto alla richiesta di differenze retributive) o alla
successiva richiesta depositata il 24.10.2001;
– la domanda relativa al calcolo del premio di rendimento era
generica, posto che il lavoratore, dopo avere richiamato l’art. 6 del
C.I.A. e lamentato l’omesso inserimento dello “speciale assegno
mensile” nella base di calcolo del premio annuale, non aveva fornito
8

conciliazione del 4 maggio 2001, avente ad oggetto la sola

alcun altro elemento utile per la valutazione della fondatezza della

controparta datoriale al pagamento della somma indicata dai
conteggi, che, contrariamente a quanto affermato, non risultavano
allegati al ricorso introduttivo.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, Aniballi Vittorio
ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e
illustrato con memoria.
La Banco Popolare s.coop. ha resistito con controricorso, illustrato
con memoria.
L’intimato Inps ha depositato procura, partecipando alla discussione
e concludendo all’udienza per il rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di
legge e di CCNL, nonché vizio di motivazione, il ricorrente si duole
che la Corte territoriale abbia ritenuto la giustificatezza del
licenziamento, diffusamente argomentando sulla necessità che le
ragioni del recesso datoriale, in relazione ai dirigenti, dovrebbero
essere rappresentate soltanto da motivi legati alla specifica
posizione lavorativa interessata e, quindi, a criteri puramente
soggettivi e non oggettivi.
Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di
legge e di CCNL, nonché vizio di motivazione, il ricorrente si duole
9

domanda, limitandosi a richiedere a detto titolo la condanna della

che la Corte territoriale abbia ritenuto la non azionabilità della

dell’art. 29 del CCNL, trascurando di considerare che esso
ricorrente, dopo avere manifestato la propria volontà di non accettare
il licenziamento, aveva restituito il modello di rinuncia inviatogli
dall’ICCRI e la domanda all’Inps facendo presente di avere
sottoscritto tali documenti al fine di limitare le conseguenze derivanti
dall’impugnativa del licenziamento, negando che la sottoscrizione del
modulo di rinuncia significasse accettazione dell’accordo sindacale
del 21.7.2000 e di quelli successivi; né poteva valere a configurare
una tacita volontà di acquiescenza al licenziamento l’accettazione
dell’assegno straordinario ex dm n. 158/2000 e la rinuncia al
preawiso contrattuale e alla relativa indennità.
Con il terzo motivo, denunciando violazione di plurime norme di
legge, nonché vizio di motivazione, il ricorrente deduce che il
rapporto di lavoro dirigenziale è soggetto alla tutela obbligatoria e al
regime della libera recedibilità, con conseguente decorrenza dei
termini prescrizionali soltanto dal momento della cessazione del
rapporto di lavoro; inoltre la Corte territoriale aveva trascurato di
considerare che il tentativo obbligatorio di conciliazione è da ritenersi
idoneo ad interrompere i termini prescrizionali; erroneamente, poi, la
Corte territoriale aveva ritenuto l’applicabilità della prescrizione
quinquennale, laddove, essendo l’azione risarcitoria connessa al
10

domanda volta ad ottenere l’indennità supplementare sulla base

mancato riconoscimento della qualifica dirigenziale, doveva ritenersi

erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto la novità e
conseguente inammissibilità della richiesta inerente al carattere
risarcitorio della pretesa azionata.
Con il quarto motivo, denunciando violazione di plurime norme di
legge, nonché vizio di motivazione, il ricorrente si duole che la Corte
territoriale abbia posto a suo carico l’onere probatorio inerente
all’ammontare del premio di rendimento annuale, a fronte
dell’erogazione di una somma inferiore a quella spettante.
2. Va osservato che, a fondamento del rigetto della domanda di
declaratoria dell’illegittimità del licenziamento (e di quella connessa
di erogazione dell’indennità supplementare) la Corte territoriale ha
posto due distinte ragioni, ciascuna delle quali idonea di per sé a
sostenere la decisione presa sul punto: a) la prima relativa alla
giustificatezza del licenziamento, ancorché lo stesso fosse stato
ricollegato a motivi di carattere oggettivo; b) la seconda relativa alla
non azionabilità dell’impugnazione del licenziamento nei casi di
richiesta e conseguimento delle prestazioni assicurate dal Fondo di
solidarietà per il settore del credito.
In via di priorità logica deve essere esaminato il secondo motivo di
ricorso, inerente alla suddetta seconda ragione di rigetto.

11

soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale; e ancora

2.1Tale motivo è tuttavia infondato, poiché il ricorrente non ha tenuto

specifica censura, del percorso motivazionale seguito dalla sentenza
impugnata, che si fonda sulla portata dell’art. 29, punti 5 e 6, del
CCNL, nei termini diffusamente già ricordati nello storico di lite e, in
particolare, del condivisibile rilievo secondo cui era stato
contrattualmente escluso, in ipotesi di fruizione da parte del dirigente
dei trattamenti previsti dal Fondo per il sostengo del reddito, il ricorso
al Collegio arbitrale, ossia all’organo deputato proprio alla
valutazione sulla sussistenza o meno della giustificatezza del
licenziamento e sul conseguente diritto alla indennità supplementare.
Peraltro, ed anche a prescindere dalla suddetta previsione
contrattuale, la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di
precisare che il dm 28 aprile 2000, n. 158, istitutivo, presso l’Inps, del
Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e
della riconversione e qualificazione professionale del personale
dipendente dalle imprese di credito, ha previsto l’erogazione, a
carico di detto Fondo, di assegni straordinari per il sostegno del
reddito, in forma rateale, unitamente al versamento della correlata
contribuzione ex art. 2, comma 28, della legge n. 662 del 1996,
riconosciuti ai lavoratori ammessi a fruirne nel quadro dei processi di
agevolazione all’esodo (art. 5), condizionando l’erogazione degli
assegni ed il versamento della contribuzione alla previa rinuncia al
12

adeguatamente conto, né ha svolto al riguardo una puntuale e

preavviso ed alla relativa indennità sostitutiva per l’anticipata

che, alla stregua di una interpretazione sistematica ed alla luce della
ratio della normativa recata dal citato dm (che è quella di contenere
al massimo l’eventuale contenzioso derivante dai processi di
ristrutturazione aziendale), la rinuncia anzidetta è intesa come
accettazione della anticipata risoluzione del rapporto di lavoro,
determinando essa l’acquiescenza al licenziamento e precludendo,
quindi, la sua successiva impugnazione (cfr, Cass., nn. 20358/2010;
2514/2012).
Privi di rilievo risultano pertanto i motivi per i quali, secondo l’assunto
del ricorrente, quest’ultimo si sarebbe determinato a sottoscrivere gli
atti relativi al conseguimento delle prestazioni del fondo e, in
particolare, alla rinuncia al preavviso, che, come tale, non può
essere considerata alla stregua di una tacita accettazione dello
scioglimento del rapporto, ma, per contro, quale dichiarazione
esplicita in tal senso.
Né la controdichiarazione del lavoratore può ritenersi rilevante al
riguardo, essendo gli effetti dell’adesione alle prestazioni del Fondo
disciplinati dalle fonti normative (generale e, nel caso specifico,
anche di contrattazione collettiva) e, come tali, non sono modificabili
a discrezione dell’interessato.

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risoluzione del rapporto (artt. 10, 11, 14-16), con la conseguenza

2.2 In conseguenza del rigetto del secondo motivo trova quindi

affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, qualora
la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni,
distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e
logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto
delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per
difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte
tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione
di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi,
giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in
nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta (cfr,

plunmis,

ex

Cass., nn. 12976/2001; 18240/2004; 20454/2005;

13956/2005).

3. Il primo profilo di doglianza svolto con il terzo motivo, relativo al
regime di libera recedibilità del rapporto dirigenziale ai fini del
decorso della prescrizione, è infondato, avendo la Corte territoriale
fatto applicazione del condiviso orientamento della giurisprudenza di
legittimità secondo cui, ai fini dell’individuazione del regime di
prescrizione applicabile ai crediti retributivi, il presupposto della
stabilità del rapporto di lavoro deve essere verificato in relazione al
concreto atteggiarsi del rapporto stesso nel corso del suo
svolgimento e non già alla stregua della qualificazione ad esso
14

applicazione, in relazione al primo motivo, il principio, reiteratamente

attribuita dal giudice all’esito del processo, con un giudizio

Cass., n. 11644/2004).

3.1 Quanto al secondo profilo di doglianza, va rilevato che, parimenti,
la Corte territoriale si è conformata al condiviso orientamento
secondo cui, stante la natura ricettizia degli atti interruttivi della
prescrizione, quest’ultima resta interrotta dalla comunicazione alla
controparte della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione
(cfr, ex pluribus, Cass., nn. 967/2004; 20153/2005); non è quindi
accoglibile il secondo profilo di censura, laddove il preteso effetto
interruttivo della prescrizione viene ricollegato alla mera
presentazione della richiesta (il precedente di questa Corte
richiamato dal ricorrente attiene infatti agli effetti della richiesta in
relazione al termine di decadenza ed ivi è altresì rimarcata la
differenza rispetto all’interruzione della prescrizione).

3.2 Devono ritenersi infondati anche gli ulteriori profili di censura,
posto che la richiesta di pagamento delle differenze retributive
connessa al riconoscimento di una qualifica superiore attiene ad un
bene della vita (la retribuzione spettante) distinta dal risarcimento del
danno da inadempimento datoriale ex art. 2103 cc, dal che discende
il diverso regime prescrizionale, e che le conclusioni assunte con il
ricorso introduttivo del giudizio, quali trascritte nello stesso ricorso
per cassazione, fanno inequivoco riferimento appunto all’ottenimento
15

necessariamente ex post (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 4942/2012;

delle differenze di retribuzione connesse al riconoscimento della

3.3 Nei distinti profili in cui si articola il terzo mezzo non può dunque
trovare accoglimento.
4. Parimenti infondato è altresì il quarto motivo di ricorso, spettando
al lavoratore, che lamenti l’insufficienza dell’erogazione ricevuta,
fornire gli elementi utili al riconoscimento della fondatezza della
domanda di pagamento di una maggior somma, laddove nella
specie, come esposto nello storico di lite, la Corte territoriale ha
rilevato la genericità della domanda, sul rilievo che i conteggi relativi
al preteso ammontare dell’emolumento non erano stati allegati al
ricorso introduttivo del giudizio.
5. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, tenendo conto della diversa
entità dell’attività defensionale, seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle
spese, che liquida, quanto alla controricorrente, in euro 5.050,00
(cinquemilacinquanta), di cui euro 5.000,00 (cinquemila) per
compenso, oltre accessori come per legge, e, quanto all’Inps, in euro
1.050,00 (millecinquanta), di cui euro 1.000,00 (mille) per compenso,
oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 2 ottobre 2013.

rivendicata qualifica dirigenziale.

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