Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25310 del 11/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 25310 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 2017-2011 proposto da:
SIELTE S.P.A.

C.F.

IT03600700870,

in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN l, presso lo
studio dell’avvocato SCARINGELLA MASSIMILIANO,
rappresentata e difesa dall’avvocato LANDI NICOLA,
20 13

giusta delega in atti;
– ricorrente –

2754
contro

SAVINI

MARIO

SVNMRA63A19C750J,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ODERISI DA GUBBIO 78, presso

Data pubblicazione: 11/11/2013

s

lo studio dell’avvocato LIBERATORE LUCIANO ELIGIO,
rappresentato e difeso dall’avvocato TEDESCHI
GABRIELE, giusta delega in atti;
– controricorrente avverso la sentenza n. 1410/2010 della CORTE D’APPELLO

572/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/10/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato SCARINGELLA MASSIMILIANO per delega
LANDI NICOLA;
udito l’Avvocato TEDESCHI GABRIELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

di L’AQUILA, depositata il 29/11/2010, R.G.N.

Udienza del 2 ottobre 2013 — Aula A
n. 11 del ruolo—RG n. 2017/11
Presidente: Stile – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello della SIELTE s.p.a. avverso la
sentenza di prime cure del Tribunale di Pescara, dichiarativa della inefficacia del licenziamento
intimato dalla suindicata società al dipendente Mario Savini, per violazione della disciplina dei
licenziamenti collettivi, consistente nell’avere la società datrice di lavoro proceduto
all’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità facendo riferimento alle esigenze tecnicoproduttive ed organizzative dei singoli centri operativi, nel caso di specie quello di Città
Sant’Angelo, anziché a quelle dell’intero complesso aziendale.
La Corte d’appello dell’Aquila, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il lavoratore ha lamentato che — in presenza di una crisi del settore di portata tale da
coinvolgere l’intero assetto aziendale — la società SIELTE ha attivato distinte procedure di mobilità
per le diverse unità produttive, così: 1) privando le 00.SS. della possibilità di avere un quadro di
insieme dei problemi economici prospettati della società e quindi di elaborare piani di intervento
generali: 2) impedendo una diversa utilizzazione dei lavoratori coinvolti nella procedura di
mobilità, per esempio, attraverso l’offerta della possibilità di trasferimento in altre sedi della
società, onde evitare la misura del licenziamento;
b) a fronte di tale situazione, i motivi di appello della SIELTE si risolvono in petizioni di
principio che non sono in grado neppure di scalfire il nucleo centrale della sentenza di primo grado
consistente nella affermata illegittimità della procedura perché applicata, volta per volta, a singole
unità produttive, ancorché la crisi riguardasse l’azienda nel suo complesso, senza differenziazioni
tra i diversi centri operativi dislocati sul territorio nazionale;
c) in realtà, la società sembra confondere tra il merito della scelte aziendali, sicuramente non
sottoponibile a sindacato giurisdizionale, e le ragioni della scelta effettuata dall’azienda, le quali
invece devono essere esplicitate, onde consentire un adeguato controllo della loro sussistenza.
2.— Il ricorso di SIELTE s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi;
resiste, con controricorso, Mario Savini.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I — Sintesi dei motivi di ricorso

1.— Il ricorso è articolato in quattro motivi.
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1.- Con il primo motivo si denuncia violazione degli arti. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991.
La società sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, nel giudizio
sarebbero emersi — come pacifici — molteplici fatti giustificativi della scelta della SIELTE di
limitare l’applicazione della procedura di mobilità al Centro operativo di Città Sant’Angelo, cui era
addetto il Savini, senza estenderla all’intero complesso aziendale

La ricorrente contesta la sentenza impugnata ove non avrebbe dato atto — motivando
specificamente al riguardo — delle ragioni per le quali, a fronte della pacifica organizzazione
aziendale in molteplici unità produttive, non fosse possibile limitare l’applicazione della procedura
di mobilità in oggetto ad una sola di tali unità, non essendo sufficiente al riguardo l’affermazione
della Corte territoriale secondo cui la crisi aveva investito tutta l’azienda.
1.3.- Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
“insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, in relazione agli artt. 4 e 5 della legge
n. 223 del 1991”.
Si contesta la base del ragionamento espresso dalla Corte aquilana, secondo cui è stata
dichiarata l’illegittimità della procedura di mobilità de qua perché limitata ad una singola unità
produttiva.
Si sostiene che la suddetta decisione sia stata giustificata esclusivamente per la rilevata
sussistenza di fattori generali di crisi, prescindendo aprioristicamente da qualunque valutazione in
ordine alle ragioni ulteriori e diverse addotte da parte della azienda ai sensi dell’art. 4, comma 3,
della legge n. 223 del 1991 per giustificare la scelta di delimitare, nell’ambito della suddetta crisi,
l’applicazione della procedura di mobilità ad una singola unità produttiva e/o realtà territoriale.
1.4.- Con il quarto motivo si denunciano: a) omessa ammissione delle prove; b) vizio di
motivazione, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
La SIELTE — pur ribadendo che nel giudizio non vi è mai stata alcuna contestazione sulla
veridicità ed esaustività delle informazioni rese sulla specificità della crisi del Centro operativo di
Città Sant’Angelo — “per mero scrupolo sottolinea anche che la Corte aquilana, non ammettendo la
prova richiesta dalla società nella memoria di costituzione non le ha consentito di dimostrare le
ragioni della scelta imprenditoriale di cui si tratta, peraltro già specificate nella lettera di apertura
della procedura del 5 luglio 2005.
II — Esame delle censure
2.- I quattro motivi del ricorso — da esaminare congiuntamente, data la loro intima
connessione — non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.

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1.2.- Con il secondo motivo si denunciano: a) omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio; b) “insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 24
della legge n. 223 del 1991”.

Sulla base di tale principio, questa Corte ha, quindi, affermato che, in caso di licenziamento
collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in
modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei
lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente
interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata
al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, nell’ambito della singola unità produttiva,
ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non sia il frutto di una
determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze
organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale (vedi, per tutte: Cass. 15 giugno
2006, n. 13783; Cass. 19 maggio 2005, n. 10590; Cass. 22 aprile 2005, n. 8474; Cass. 9 settembre
2003, n. 13182; Cass. 24 gennaio 2002, n. 809; Cass. 26 settembre 2000, n. 12711; Cass. 10 giugno
1999, n. 5718; Cass. 18 novembre 1997, n. 11465).
2.2.- Facendo applicazione di tali principi questa Corte (sentenza 26 aprile 2012, n. 6500) in
una controversia analoga alla presente — riferita alla medesima vicenda, con riguardo ad un diverso
dipendente della società SIELTE, introdotta in sede di legittimità da un ricorso in cui si
prospettavano censure simili alle attuali — è pervenuta alla medesima soluzione del rigetto del
ricorso.
A tale orientamento il Collegio intende dare continuità, precisando che le sentenze di segno
diverso, richiamate dalla ricorrente (Cass. 20 febbraio 2012, n. 2429; Cass. 21 febbraio 2012, n.
2522 e n. 2523), pur avendo come sfondo la stessa vicenda della SIELTE, hanno tuttavia esaminano
fattispecie specifiche parzialmente diverse da quella oggetto del presente giudizio, come risulta, per
esempio, dagli ampi riferimenti alla CIGS antecedente alla procedura di mobilità contenuti nelle
suddette sentenze, che sarebbero impraticabili nel presente giudizio, visto che la CIGS risulta
estranea al thema decidendum.
2.3.- Detto questo, i primi tre motivi del presente ricorso appaiono, dal punto di vista della
loro stessa impostazione, viziati per analoghe ragioni per le quali la Corte aquilana ha considerato
“petizioni di principio” i motivi di appello.
Infatti, anche nell’attuale ricorso, la SIELTE incentra tutte le censure su questioni che non
toccano il nucleo della motivazione della sentenza impugnata, rappresentato dall’avere la Corte
d’appello ritenuto di confermare la sentenza di primo grado secondo cui la comunicazione effettuata
ai sensi dell’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991 non conteneva una idonea giustificazione
3

2.1.- Deve essere, in primo luogo, ricordato che, per consolidato e condiviso orientamento di
questa Corte (inaugurato da Cass. 10 luglio 2000, n. 9169), con riguardo ai licenziamenti collettivi
per riduzione del personale “ai fini della determinazione dell’ambito dì attuazione dgl licenziaxnento
e dell’individuazione dei lavoratori rin licenziare deve tenersi conto di tutti i lavoratori dell’azienda,
sicché non può valere a ridurre il numero dei soggetti da valutare comparativamente il rnétD
ridimensionamento (o la stessa soppressione) di un reparto, potendo la riduzione del personale
essere limitata agli addetti a tale reparto solo allorquando sia costoro sia gli addetti ai restanti reparti
siano portatori di specifiche professionalità non omogenee che ne rendano impraticabile in radice
qualsiasi comparazione”.

delle ragioni per cui la procedura di mobilità era stata limitata alla sola unità produttiva di Città
Sant’Angelo, “a fronte di una crisi che riguardava l’azienda nel suo complesso, senza
differenziazioni fra i diversi centri operativi dislocati sul territorio nazionale”.
Pertanto — contrariamente a quanto si sostiene nel primo motivo di ricorso — la sentenza
impugnata non ha ritenuto che ricorresse un’ipotesi di illegittimità della comunicazione della L. n.
223 del 1991, ex art. 4, coma 3, in quanto inidonea, per la carenza delle informazioni ivi
contenute, a consentire alle OOSS l’esercizio del potere di controllo ad esse assegnato dalla legge.

La Corte d’appello, infatti, pur senza richiamare esplicitamente la relativa disposizione, ha
chiaramente individuato come profilo di illegittimità del licenziamento de quo nella violazione della
L. n. 223 del 1991, art. 5, che, nel fissare le regole concernenti i criteri di scelta dei lavoratori
interessati alla procedura di mobilità, stabilisce (comma 1) che l’individuazione di tali lavoratori
deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso
aziendale. Sul punto la sentenza impugnata ha, in particolare, affermato che la suddetta
comunicazione non era tale da esplicitare le ragioni per le quali la società datrice di lavoro ha deciso
— esercitando la propria discrezionalità imprenditoriale — di delimitare l’ambito di applicazione dei
criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità e così di consentire un adeguato controllo un
adeguato controllo sulla sussistenza delle ragioni tecnico-produttive e organizzative che si traggono
dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3,
ossia sul fatto che la limitazione dell’ambito dei lavoratori fra i quali operare la scelta sia imposta
dai motivi dell’esubero esposti e dalle ragioni per cui lo stesso non poteva essere assorbito.
D’altra parte, anche il riferimento agli accordi sindacali nei quali è stata riconosciuta la natura
di unità produttive autonome dei Centri operativi, è inammissibile sia per mancato rispetto del
principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione sia perché risulta, del pari, inconferente
rispetto alle argomentazioni poste a base della motivazione della sentenza impugnata, nelle quali
non si mette in discussione la natura del Centro operativo in questione.
2.4.- Poiché, per “diritto vivente”, la verifica della legittimità del licenziamento presuppone
anche la corretta applicazione dei criteri di scelta, relativamente alla quale grava sul datore di lavoro
l’onere probatorio; ne deriva che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti
criteri di attribuzione dell’onere probatorio, espressi da ultimo da Cass. 3 maggio 2011 n. 9711,
secondo la quale, infatti, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il
progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno
specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad
un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al
progetto di ristrutturazione aziendale, ed è onere del datore provare il fatto che determina
l’oggettiva limitazione di queste esigenze e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è
stata effettuata.
Ne deriva l’infondatezza del secondo motivo, visto che, nella descritta situazione, doveva
essere la società a dimostrare che vi erano valide ragioni giustificative della propria scelta, non
4

Il ragionamento seguito dalla Corte territoriale è del tutto diverso.

potendo tale scelta essere giustificata implicitamente per il fatto che il Centro operativo di Città
Sant’Angelo era una unità produttiva autonoma.

Tale interpretazione resiste agevolmente alle censure della società che — in particolare nel
terzo motivo — non evidenzia alcun vizio logico nel procedimento argomentativo seguito dalla Corte
ma si limita a proporre, una diversa interpretazione, basata, in parte, su circostanze di fatto (ad
esempio la concessione del trattamento CIGS al Centro Operativo di Pescara) che, anche perché
allegate in modo affatto generico, non appaiono significative ai fini dell’accoglimento della censura.
Né può ipotizzarsi alcuna violazione della L. n. 223 del 1991, art. 24 o art. 4, sotto i profili
allegati da parte ricorrente, atteso che, come si è in precedenza evidenziato, la Corte territoriale non
ha affermato l’impossibilità per l’imprenditore di limitare la procedura di mobilità alla singola unità
produttiva, ma si è limitata a verificare se, nel caso concreto, erano state allegate idonee ragioni per
giustificare tale limitazione.
2.6.- Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile perché le censure con esso prospettate
non attengono all’iter logico—argomentativo che sorregge la decisione — che, peraltro, risulta
congruo e chiaramente individuabile, come si è detto — ma si risolvono sostanzialmente nella
prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già
valutate dal Giudice del merito in senso contrario alle aspettative del medesimo ricorrente e si
traducono, quindi, nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto
inammissibile in sede di legittimità.

III — Conclusioni
4.- Il ricorso deve essere in definitiva respinto. In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le
spese del presente giudizio di cassazione — liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono
la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 3500,00
(tremilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 2 ottobre 2013.

2.5.- All’esito di una analisi del testo della comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, ex
art. 4, comma 3, — che si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e
incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, come accade nella specie — la Corte
territoriale ritenuto che la stessa fosse priva delle indicazioni idonee a giustificare la limitazione
dell’ambito di applicazione della procedura di mobilità e dei criteri di scelta dei lavoratori
interessati alla sola unità produttiva di Città Sant’Angelo.

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