Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25308 del 20/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/09/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 20/09/2021), n.25308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11290-2020 proposto da:

K.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CLEMENTINA DI ROSA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 585/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA

FIDANZIA.

 

Fatto

RILEVATO

– che viene proposto ricorso avverso il decreto della Corte d’Appello di Venezia del 21 gennaio 2020, il quale ha rigettato l’impugnazione avverso il decreto del Tribunale di Venezia del 14.02.2019 che aveva respinto la domanda di K.A., cittadino nigeriano, per il riconoscimento della protezione internazionale e, in subordine, umanitaria;

– che il Ministero intimato non ha svolto difese;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis.

Diritto

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 5,6,8 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione al mancato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, esponendo che la sua vicenda personale (aveva riferito di essersi allontanato dal suo paese d’origine per il timore di essere arrestato per un omicidio che non aveva commesso, avvenuto nel corso di una manifestazione interrotta dalla polizia) lo esponeva, in caso di ritorno in patria, al concreto ed attuale pericolo per la propria incolumità oltre che a trattamenti inumani e degradanti;

2. che il motivo è inammissibile;

– che, in particolare, quanto alla dedotta violazione dell’art. 14 legge cit. nelle fattispecie di cui alle lett. a) e b), la valutazione con cui il ricorrente è stato ritenuto non credibile da entrambi i giudici di merito (vedi articolate argomentazioni del decreto impugnato a pag. 3 e 4) costituisce apprezzamento di fatto che è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019);

– che, nel caso di specie, il ricorrente non ha neppure lamentato la grave anomalia motivazion4del decreto impugnato (nei termini sopra illustrati), non confrontandosi minimamente con gli articolati rilievi della Corte d’Appello;

– che quanto alla dedotta violazione dell’art. 14 legge cit. nelle fattispecie di cui alla lett. c), il richiedente svolge, in ordine alla sussistenza nell’Edo State di una situazione di violenza generalizzata e diffusa derivante da conflitto armato, mere censure di merito in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione in fatto rispetto a quella operata dal giudice di secondo grado – il cui accertamento si fonda su fonti qualificate ed aggiornate (rapporto EASO 2018, rapporto Amnesty International 2017/2018, Freddom in the World 2018, etc) – non confrontandosi neppure minimamente con il preciso rilievo del giudice di merito secondo cui la situazione di violenza generalizzata è localizzata nella zona del nord-est del paese a causa delle violenze perpetrate dal gruppo terroristico Boko-Haram;

3. che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in considerazione della dedotta condizione di estrema vulnerabilità, derivante dall’assenza di legami sociali attuali, dalle molteplici criticità in termini di insicurezza sociale e violazione di diritti umani;

4. che il motivo è inammissibile, non avendo il richiedente correlato la dedotta violazione dei principi fondamentali inviolabili nel paese d’origine o lo stato di insicurezza alla propria condizione personale (cfr. Cass. n. 4455 del 23/02/2018) se non con riferimento alla sua vicenda descritta al punto 1, che è stata, tuttavia, come sopra evidenziato, ritenuta non credibile dalla Corte d’Appello di Venezia con una motivazione immune da vizi logici;

5. che con il terzo motivo è stata dedotta la violazione è falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis in relazione all’omessa istruttoria d’ufficio;

6. che il motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte d’Appello, come già evidenziato al punto 2, effettuato una compiuta disamina della situazione generale della Nigeria e della regione dell’Edo State alla luce di fonti internazionali qualificate ed aggiornate, svolgendo quindi una valutazione in fatto che, come detto, non è sindacabile in sede di legittimità se non a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

7. che con il quarto motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, sul rilievo che il giudice avrebbe omesso l’esame di elementi decisivi per il riconoscimento delle protezioni, come la sua integrazione nel paese d’accoglienza (bracciante agricolo con contratto a tempo determinato);

8. che il motivo è manifestamente infondato, avendo il giudice di merito considerato la dedotta integrazione del ricorrente, non ritenendola rilevante in conformità all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il percorso di integrazione è un elemento che può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi Cass. n. 4455 del 23/02/2018);

– che la soccombenza del ricorrente non comporta la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero costituito in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2021

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