Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25305 del 09/12/2016

Cassazione civile sez. VI, 09/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 09/12/2016), n.25305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17926/2015 proposto da:

M.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 73, presso lo studio dell’avvocato NICOLA NANNI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 143/4/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA del 30/09/2014, depositata il 20/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue:

Con sentenza n. 143/4/2015, depositata il 20 gennaio 2015, non notificata, la CTR del Lazio ha rigettato l’appello proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate dalla sig.ra M.A.M. per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Roma, che aveva rigettato il ricorso della contribuente, la quale aveva chiesto l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato, notificato per Irpef, Iva ed Irap per l’anno 2005. Quest’ultimo aveva rideterminato in via induttiva il reddito d’impresa, derivante dall’attività di esercizio di un bar, successivamente ceduta a terzi, rispetto a quello oggetto di dichiarazione per l’anno in oggetto.

Avverso la pronuncia della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Il primo motivo, con il quale la ricorrente denuncia in relazione a duplice profilo violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, è inammissibile.

La ricorrente censura, infatti, in relazione al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quello che costituisce un tipico accertamento di fatto svolto dal giudice tributario di secondo grado.

La CTR, infatti, in relazione al motivo di gravame con il quale la ricorrente aveva reiterato l’eccezione di nullità dell’atto impositivo perchè non sottoscritto dal dirigente dell’ufficio, ma dal capo area controllo dell’ufficio, senza che risultasse la delega prescritta, lo ha rigettato, oltre che nel richiamare quanto già affermato dalla pronuncia di primo grado, osservando che “la delega risulta dall’ordine di servigio prodotto in primo grado”.

Pertanto il motivo si risolve nel richiedere alla Corte una diversa valutazione della prova documentale (se l’ordine di servizio prodotto potesse costituire valida delega per il capo area sottoscrittore dell’atto impositivo) rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, ciò che è precluso in sede di legittimità (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 1 aprile 2016, n. 6348; Cass. sez. 2, 4 giugno 2014, n. 12574; Cass. sez. 2, 22 marzo 2013, n. 7330).

Con il secondo motivo la contribuente denuncia la violazione del principio del contraddittorio preventivo e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, della L. n. 241 del 1990, art. 1, L. n. 4 del 1929, art. 24 e della L. n. 212 del 2000, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’Amministrazione ha eccepito la novità della relativa questione perchè dedotta per la prima volta in sede di legittimità, per cui, non risultando dal tenore della pronuncia impugnata che la questione abbia costituito oggetto del thema decidendum nel doppio grado di merito, era onere della ricorrente indicare, in ossequio del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, tempo e luogo della relativa deduzione la fine di consentire il controllo ex actis sulla veridicità della questione. Ciò non è stato fatto, sicchè il motivo è in primo luogo inammissibile (cfr., tra le altre, Cass. sez. 1, 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. sez. 3, 21 febbraio 2006, n. 3664).

Peraltro il motivo è anche manifestamente infondato, perchè dalla sentenza impugnata si evince in primo luogo che, per quanto concerne le irregolarità riscontrate nell’applicazione dello studio di settore, la contribuente è stata posta regolarmente in grado d’interloquire e che, in ogni caso, trattandosi di accertamento c.d. a tavolino, è fuori luogo il richiamo alle pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte, la n. 18184 del 29 luglio 2013, e la n. 19667 (erroneamente indicata come 19661) del 18 settembre 2014, come chiarito, più di recente, dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, secondo cui un obbligo generale di contraddittorio la cui violazione comporti la nullità dell’atto sussiste unicamente riguardo ai tributi armonizzati e purchè il contribuente enunci in concreto le ragioni che avrebbe inteso far valere al fine di valutare la natura non meramente pretestuosa dell’opposizione.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2016

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