Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25303 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. I, 11/11/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 11/11/2020), n.25303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17914/2019 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliata in Civitanova Marche, Via Fermi

3, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Lufrano, che lo rappresenta e

difende per procura in allegato al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2794/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 3.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/09/2020 dal Dott. Roberto Bellè.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da G.M. avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva disatteso la sua domanda di protezione internazionale;

G.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi;

il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione per la partecipazione all’eventuale discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, criticando la sentenza impugnata per non avere considerato la situazione della Libia, paese di transito, anche alla luce della durata della permanenza in esso;

il ricorrente, secondo la narrativa contenuta nel ricorso per cassazione e nella sentenza impugnata, ha esposto di avere subito in Gambia, paese di origine, minacce di morte dalla famiglia di una persona a cui egli, percuotendola e facendola cadere a terra, aveva procurato la perdita di un bambino di cui era in attesa;

il racconto proseguiva precisando che il ricorrente si era quindi allontanato dal proprio paese insieme al fratello fino a giungere, dopo aver transitato in altre nazioni, in Libia, per poi trasferirsi in Italia dopo la separazione dal fratello e la morte del medesimo nella guerra civile in atto in quel paese;

la Corte territoriale ha esaminato la domanda con riferimento alla situazione del Gambia;

è ovvio che la situazione di paesi diversi da quello di origine o di stabilimento vada considerata anche officiosamente, nel caso (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. 6 dicembre 2018, n. 31676), in quanto le valutazioni sulla protezione non possono non riguardare il paese ove lo straniero debba essere avviato, perchè è in quello che in tal modo i suoi diritti umani potrebbero essere pregiudicati;

è parimenti ovvio, perchè insito nella necessità di valutare in modo completo la condizione personale dell’interessato, che abbiano rilievo le violenze subite nei paesi di transito, ove tali da comportare il sorgere di una vulnerabilità soggettiva (Cass. 2 luglio 2020 n. 13565; Cass. 15 maggio 2019 n. 13096) secondo la disciplina della protezione c.d. umanitaria previgente al D.L. n. 113 del 2018 conv., con modif., in L. n. 132 del 2018;

così come è evidente la necessità di fare riferimento ad altro paese, ove la domanda di protezione sia dispiegata, sul presupposto di uno stabile radicamento in una nazione diversa da quella di origine (Cass. 3 luglio 2020, n. 13758);

in tali sensi va inteso il disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ove esso afferma la domanda di protezione va esaminata “ove occorra” alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nei Paesi in cui lo straniero è transitato;

la norma non legittima invece la pretesa ad una disamina officiosa di una qualunque risultanza processuale da cui occasionalmente emerga il transito in un dato paese terzo, in ipotesi come la Libia caratterizzato da situazioni endemiche di instabilità e violenza, al fine di ottenere il trattenimento in Italia;

va infatti ribadito l’ormai consolidato principio per cui “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione” (Cass. 6 febbraio 2018, n. 2861, cui hanno poi fatto seguito, tra le molte, Cass. 20 novembre 2018, n. 29875; Cass. 13096/2019 cit. e Cass. 13565/2020 cit.);

nel caso di specie, come detto, la Corte territoriale ha incentrato la decisione sulle condizioni del paese di origine del ricorrente e dunque, poichè quanto accaduto in Libia non è stato considerato come fatto costitutivo posto dal ricorrente a fondamento della domanda dispiegata, egli, nel proporre ricorso per cassazione avrebbe dovuto dimostrare, riportando gli opportuni passaggi dei corrispondenti atti, che viceversa la pretesa era stata impostata e poi coltivata in appello (secondo una regola sottesa a consolidati precedenti tra cui ad es. a Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675 e altre pronunce conformi) con riferimento alla Libia come paese di stabile radicamento e rispetto al quale si doveva parametrare la valutazione sulla protezione richiesta, perchè era in Libia che lo straniero prospettava altresì di dover tornare, non avendo alcun senso valutare le condizioni di un paese di transito, se non nelle situazioni sopra evidenziate e qui non ricorrenti, allorquando il rientro temuto debba riguardare altra nazione;

di ciò non vi è traccia nel ricorso per cassazione, non essendo di certo a tal fine sufficiente, al fine di giustificare un assetto della pretesa giudiziale diverso da quello inteso dalla Corte territoriale, la mera ripresa del racconto delle proprie peregrinazioni;

con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sotto il profilo dell’illegittimo diniego della protezione sussidiaria, per avere la Corte ingiustamente negato l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel paese di provenienza;

il motivo è inammissibile;

la sentenza ha fatto leva su una fonte Ansa del febbraio 2017 da cui emergeva la salita al potere di un nuovo Presidente e l’avviamento di un processo di transizione democratica, per concluderne l’impossibilità di affermare l’esistenza di un conflitto armato o di violenze indiscriminate;

d’altra parte, chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dei propri doveri istruttori, sotto il profilo del mancato esercizio dei poteri di indagine o di incompleta indicazione delle fonti ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate e dimostrative dell’esistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarle; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso;

il motivo, per quanto attinente ad una violazione di legge, riguarda infatti pur sempre l’omesso esercizio di poteri istruttori, la cui censura non può consistere nella mera allegazione della mancata ricerca di una prova purchessia e va viceversa sorretto da un ragionamento, eventualmente anche desumibile ex se dal contenuto delle COI, che dimostri l’indispensabilità degli elementi così addotti; in altre parole, la necessaria concludenza del vizio denunciato, comporta il convergere della censura in un requisito di indispensabilità del mezzo, la cui ricorrenza è già stata individuata da questa Corte, seppure in altri ambiti, allorquando esso sia idoneo ad eliminare ogni possibile incertezza od a provare quel che sia rimasto indimostrato (Cass., S.U., 4 maggio 2017, n. 10790; v. anche, in tema di mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi da parte del giudice del lavoro, Cass. 10 settembre 2019, n. 22628; fino a Cass. 16 maggio 2002, n. 7119);

tali connotazioni mancano nel caso di specie, in quanto il ricorrente si limita a descrivere una situazione da cui emergerebbe che il paese si troverebbe in una generica “situazione di incertezza”, citando una fonte da cui risulterebbe che la situazione sarebbe “in corso di normalizzazione”, il che risulta in linea più che in contrasto con le affermazioni di cui alla sentenza impugnata;

con il terzo motivo il ricorrente afferma la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in tema di protezione umanitaria, sostenendo che nella sentenza non si reperirebbe alcuna argomentazione circa le ragioni a base del rigetto della domanda e sottolineando come la vulnerabilità possa dipendere da situazioni geo-politiche o politico-economiche che la Corte era tenuta ad accertare;

il motivo è anch’esso inammissibile;

la Corte territoriale ha affermato che nello specifico non sussistevano particolari motivi di carattere soggettivo ovvero di situazioni di vulnerabilità;

a fronte di ciò quanto affermato nelle difese della ricorrente è del tutto generico, esponendo situazioni solo astrattamente possibili; nulla sulle spese, in assenza di reale attività difensiva da parte del Ministero, limitatosi alla mera costituzione tardiva in giudizio.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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