Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25300 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. I, 11/11/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 11/11/2020), n.25300

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15727/2019 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in Civitanova Marche, Via

Fermi 3, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Lufrano, che lo

rappresenta e difende per procura in allegato al ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2544/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 20.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/09/2020 dal Dott. Roberto Bellè.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da B.A. avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva disatteso la sua domanda di protezione internazionale;

B.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione per la partecipazione all’eventuale discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non avere la Corte d’Appello fatto applicazione del principio sull’onere probatorio attenuato, decidendo sulla base di proprie soggettivistiche opinioni e non considerando che la parziale reticenza sulla propria condizione omosessuale era dovuta al pudore ed alla vergogna, oltre che alla scarsa consapevolezza rispetto al tema;

il motivo è inammissibile, in quanto del tutto generico e semplicemente mirato a sottoporre una diversa valutazione del merito, sotto il profilo della credibilità del racconto, rispetto a quella svolta dalla Corte d’Appello e da essa fondata su ben precisi elementi, quali la non credibilità del fatto che, pur in un paese ove l’omosessualità è perseguita, il ricorrente si fosse lasciato andare ad approcci ed effusioni per strada e in forza dell’ulteriore considerazione, non soggettivistica ma frutto di scrupolosa attenzione, in ordine al fatto che, pur essendosi svolto un duplice colloquio amministrativo per approfondire il tema, il racconto del ricorrente non aveva descritto profili di coinvolgimento affettivo ed emotivo utili a corroborare l’effettività dell’inclinazione omosessuale puramente affermata;

la pertinenza al giudice del merito del giudizio di fatto sull’attendibilità in tema di protezione internazionale è del resto pacifica (tra le molte, Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, sotto il profilo dell’illegittimo diniego della protezione sussidiaria, per mera apparenza della motivazione, svolta senza indicazione delle fonti da cui si è desunta l’assenza di una violenza indiscriminata ed incontrollata;

in proposito di deve tuttavia ritenere che chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, sotto il profilo del mancato esercizio dei poteri di indagine o di incompleta indicazione delle fonti, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate e dimostrative dell’esistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarle; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso;

il motivo, per quanto attinente ad una violazione di legge, riguarda infatti pur sempre l’omesso esercizio di poteri istruttori, la cui censura non può consistere nella mera allegazione della mancata ricerca di una prova purchessia e va viceversa sorretto da un ragionamento, eventualmente anche desumibile ex se dal contenuto delle COI, che dimostri l’indispensabilità degli elementi così addotti; in altre parole, la necessaria concludenza del vizio denunciato, comporta il convergere della censura in un requisito di indispensabilità del mezzo, la cui ricorrenza è già stata individuata da questa Corte, seppure in altri ambiti, allorquando esso sia idoneo ad eliminare ogni possibile incertezza od a provare quel che sia rimasto indimostrato (Cass., S.U., 4 maggio 2017, n. 10790; v. anche, in tema di mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi da parte del giudice del lavoro, Cass. 10 settembre 2019, n. 22628; fino a Cass. 16 maggio 2002, n. 7119);

tali connotazioni mancano nel caso di specie, in quanto le fonti citate dal ricorrente riguardano risultanze del sito del Ministero degli esteri del tutto generiche (esse affermano un consistente rischio attentati in alcune zone del paese) e sono inoltre riportate senza alcuna datazione, risultando come tali inidonee, per le ragioni sopra dette, al fine perseguito dal motivo;

con il terzo motivo il ricorrente afferma la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in tema di protezione umanitaria, sostenendo che nella sentenza non si reperirebbe alcuna argomentazione circa le ragioni a base del rigetto della domanda e sottolineando come la vulnerabilità possa dipendere da situazioni geo-politiche o politico-economiche che la Corte era tenuta ad accertare, anche attraverso indagini officiose, onde non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose dei diritti umani, senza contare la paura di tornare in patria e di essere sottoposto ad un’ingiusta pena detentiva, a fronte di condizioni carcerarie ed ai trattamenti inumani e degradanti cui sarebbero sottoposti i detenuti nel paese;

il motivo è anch’esso inammissibile;

la Corte territoriale ha affermato che il ricorrente non avrebbe prospettato particolari condizioni di vulnerabilità e del resto essa aveva già escluso che potesse essere credibile il racconto in merito alla omosessualità, sicchè non è su questo profilo, nè sul rischio di carcerazione al medesimo in ipotesi riconnesso, che in ogni caso il ricorrente potrebbe far leva;

a fronte di ciò quanto affermato nel motivo è del tutto generico, esponendo situazioni solo astrattamente possibili e, nella parte in cui si lamenta il mancato esercizio di poteri officiosi, vale comunque quanto affermato rispetto al secondo dei motivi di ricorso;

nulla sulle spese, in assenza di reale attività difensiva da parte del Ministero, limitatosi alla mera costituzione tardiva in giudizio.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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