Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2530 del 01/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2530 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

ORDINANZA
sul ricorso 7871-2016 proposto da:
BRUNO PATRIZIA, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato BERNARDINO PASANISI;
– ricorrente contro
COLANGELO VITO, CMD S.R.L. – P.I. 00814750733, in persona del
suo amministratore e legale rappresentante

pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi
dall’avvocato ANTONIO RAFFO;
– controricorrenti avverso la sentenza n. 543/2015 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 23/12/2015;

Data pubblicazione: 01/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 27/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIMA
SCRIMA.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2144/2010 il Tribunale di Taranto rigettò la

risarcimento dei danni che la medesima sosteneva esserle stati
causati dal prelievo ematico eseguito sulla sua persona, in data 13
novembre 2002, dal dott. Vito Colangelo, direttore della C.M.D. S.r.l.,
prelievo da cui sarebbe derivata una sofferenza tendineo-muscolare e
nervosa al gomito destro.
In particolare il Tribunale ritenne che la c.t.u. avesse escluso che
la lamentata patologia potesse costituire conseguenza del prelievo,
sia per la sede della sofferenza nervosa, distante dall’accesso venoso,
sia per l’insussistenza di emergenze vascolari steno-occlusive, sicché
la genesi dei disturbi andava individuata nell’attività di estetista
espletata dall’attrice.
Avverso la sentenza di primo grado la Bruno propose gravame al
quale resistettero, con distinti atti, il Vito e la C.M.D. S.r.l..
La Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, con
sentenza depositata il 23 dicembre 2015, rigettò l’impugnazione e
condannò l’appellante alle spese di quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito Patrizia Bruno ha
proposto ricorso per cassazione basato su due motivi e illustrato da
memoria, cui hanno resistito, con un unico controricorso, Vito
Colangelo e la C.M.D. S.r.l..
La proposta del relatore è stata comunicata agli avvocati delle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE

Ric. 2016 n. 07871 sez. M3 – ud. 27-06-2017
– 2-

domanda proposta da Patrizia Bruno e volta ad ottenere il

1.

Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con

motivazione semplificata.
2. Con il primo motivo, rubricato «Nullità del procedimento ex art.
360 n. 4 in relazione all’art. 342 cpc, all’art. 111 Cost. all’art. 132 cpc
ed all’art. 118 d. att. cpc», la ricorrente sostiene che la Corte di

risponderebbe

«ai

canoni

necessari

per

l’ammissibilità

dell’impugnazione», come indicati dalla giurisprudenza di legittimità,
e i «profili di censura erano tutt’altro che astratti riferendosi in modo
specifico ed attagliato alla ratio della sentenza impugnata».
Ad avviso della Bruno, la Corte di merito avrebbe «qualificato
come inammissibile l’impugnazione affermando ciò che è palesemente
smentito dalla lettura dell’atto di appello» e la sentenza gravata
sarebbe «nulla per difetto del requisito di forma di cui all’art. 118
disp. att. c.p.c.», perché risulterebbe «completamente priva
dell’illustrazione dei motivi della decisione e, precisamente,
dell’illustrazione delle ragioni per le quali la costruzione giuridica
dell’atto di appello è stata ritenuta in violazione dell’art. 342 cpc».
2.1. Il motivo è inammissibile, non risultando con esso colte la
statuizione e la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Ed invero, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la
Corte di merito non ha statuito l’inammissibilità dell’appello proposto
ma ha rigettato lo stesso nel merito, pur evidenziandone,

ad

colorandum, un profilo di inammissibilità espressamente trascurato
(«a prescindere da questo profilo di inammissibilità»), con un
passaggio argomentativo non costituente autonoma ratio decidendi
della sentenza impugnata e privo di ogni influenza sul dispositivo
della stessa, essendo, in tal modo improduttivo di effetti giuridici, trattandosi, piuttosto, di argomentazione svolta ad abundantiam; ne
consegue che la Corte territoriale non si è “spogliata” della potestas
iudicandi in relazione al merito della controversia e, pertanto, nella
Ric. 2016 n. 07871 sez. M3 – ud. 27-06-2017
– 3-

merito avrebbe violato l’art. 342 c.p.c., in quanto l’appello proposto

specie, non è applicabile il principio affermato da questa Corte con
riferimento ai casi in cui il giudice, dopo una statuizione di
inammissibilità dell’appello, abbia proceduto comunque all’esame del
merito della domanda azionata (Cass, sez. un., 20/02/2007, n. 3840;
Cass. 20/08/2015, n. 17004). Va ribadito che, invece, nel caso

fondamento del dispositivo della sentenza impugnata in questa sede e
ne costituiscono la ratio decidendi (arg. ex Cass. 22/10/2014, n.
22380).
3.

All’inammissibilità del primo motivo di ricorso consegue

l’assorbimento del secondo motivo, proposto in via subordinata, con
cui, lamentando «Violazione di legge ex art. 360 n 3 in relazione agli
artt. 1362 c.c., 1363 c.c.», la ricorrente evidenzia la «laconicità con
cui la Corte di merito liquida l’appello decretandone l’inammissibilità
per violazione dell’art. 342 cpc» e sostiene che, «a fronte della chiara
enunciazione delle ragioni per le quali l’appellante impugnava la
sentenza … facenti perno sull’erroneità ed illogicità della ctu e sulla
mancata ammissione di prove rilevanti, la Corte di merito ha
apoditticamente affermato che l’appello sarebbe stato una
riproduzione sterile delle ragioni esposte in primo grado». La Bruno
lamenta in particolare la violazione del principio dell’interpretazione
letterale, per aver «la Corte di merito deciso – implicitamente – di
stravolgere il significato delle parole e delle frasi che compongono
l’appello», con la precisazione che il detto canone ermeneutico, ad
avviso della ricorrente, sarebbe «suscettibile di applicazione anche
per gli atti processuali».
4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo.
6.

Va dato atto della insussistenza dei presupposti per il

versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-

Ric. 2016 n. 07871 sez. M3 – ud. 27-06-2017
– 4-

all’esame, proprio le argomentazioni relative al merito sono poste a

quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma

1 bis dello stesso art. 13,

risultando la Bruno ammessa al gratuito patrocinio.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente
al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente
giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi,
oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati
in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sest
Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 27 giugno 2017.

P.Q.M.

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