Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 253 del 12/01/2021

Cassazione civile sez. un., 12/01/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 12/01/2021), n.253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29864/2019 proposto da:

ASEL DI M.R. & C. S.S., (già ASEL S.A.S. DI

M.R. & C.), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 10, presso lo

studio dell’avvocato ENRICO DANTE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LORENZO BERTAGGIA;

– ricorrente –

contro

UNIONE DI COMUNI COLLINARI DEL VERGANTE (BELGIRATE-LESA-MEINA), in

persona del Presidente pro tempore nonchè Sindaco del Comune di

Meina, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BERTOLONI 44/46,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO RAVIDA’, rappresentata e

difesa dall’avvocato FEDERICA PICCALUGA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 151/2019 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 05/07/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli avvocati Erica Dumontel, per delega dell’avvocato Lorenzo

Bertaggia e Fabrizio Ravidà per delega orale.

 

Fatto

RAGIONI DI FATTO

La ASEL sas di M.R. & C. conveniva l’Unione dei Comuni collinari del Vergante (Belgirate-Lesa-Meina) davanti al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte d’appello di Torino, chiedendo l’annullamento della intimazione di pagamento dei canoni-indennizzo per l’occupazione abusiva, avvenuta dal (OMISSIS) al 2011, di una darsena confinante su un lato con il demanio lacustre.

Il Tribunale Regionale rigettava la domanda e condannava l’ASEL al pagamento dei canoni.

Sul gravame dell’ASEL il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha pronunciato una sentenza non definitiva (n. 136 del 2018) e una definitiva (n. 151 del 2019).

Con la prima ha rigettato il (primo) motivo di gravame che deduceva la nullità dell’intimazione di pagamento per indeterminatezza dell’oggetto e omessa identificazione delle aree sottoposte ad imposizione; in relazione al (secondo) motivo riguardante la debenza dei canoni, ha disposto una integrazione istruttoria mediante richiesta di chiarimenti al c.t.u. sulla situazione di fatto della darsena nel contesto lacustre.

Con la sentenza definitiva il Tribunale Superiore, rigettando il gravame dell’ASEL, ha osservato che la darsena di forma rettangolare risultava arretrata non rispetto alla proprietà demaniale con la quale infatti confinava ma al limite originario dell’alveo del lago; che sulla darsena era stato realizzato nell’area demaniale confinante un canale di accesso al lago (di regola soggiacente allo specchio d’acqua) che aveva modificato l’andamento strutturale del lago stesso in quanto variava il suo perimetro; di conseguenza, una volta invaso dalle acque lacustri il sedime originariamente privato, sul quale la darsena era stata realizzata per escavazione, questa era diventata un tutt’uno con il lago, senza possibilità di scindere tra proprietà privata del suolo e proprietà demaniale lacustre, tale situazione di inseparabilità comportando l’accessione del suolo sottostante la darsena al bene principale costituito dal bacino lacustre; con riguardo alla determinazione dei canoni, il Tribunale Superiore ha giudicato inammissibili le censure riguardanti gli anni dal 2001 al 2004, perchè involgenti la già esaminata questione della ricomprensione della darsena tra i beni demaniali, e gli anni dal 2005 al 2011 per difetto di specificità del motivo di gravame.

Avverso entrambe le sentenze la ASEL ha proposto ricorso per cassazione, resistito dall’Unione di Comuni Collinari del Vergante. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’ASEL propone ricorso avverso la sentenza non definitiva n. 136 del 2018, rispetto alla quale aveva formulato riserva di impugnazione, denunciando violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 3 e 21 septies, non avendo il Tribunale Superiore ravvisato il difetto assoluto di motivazione e, di conseguenza, la nullità del provvedimento di ingiunzione impugnato per mancanza degli elementi essenziali.

Il motivo è inammissibile poichè, essendo meramente reiterativo delle ragioni difensive esposte nei precedenti gradi di giudizio, non coglie nè censura specificamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, con la quale il Tribunale Superiore ha osservato che l’ASEL non aveva specificamente censurato in appello la motivazione con cui il giudice di primo grado aveva ritenuto che l’ingiunzione di pagamento era riferita a beni specifici costituenti oggetto di una istanza di concessione in sanatoria e a dati rilevabili dagli elaborati tecnici, dalla situazione dei luoghi come risultanti dalle fotografie e, con riguardo al criterio di calcolo delle somme dovute, dalle tariffe stabilite dalla L.R. 17 gennaio 2008, n. 2 e relativi regolamenti regionali attuativi, e da altra documentazione.

Con il secondo motivo la ricorrente imputa alla sentenza definitiva n. 151 del 2019 violazione e falsa applicazione degli artt. 812,822,934 e 943 c.c., ARTT. 56-61 c.n., della L.R. 17 gennaio 2008, n. 2 (art. 3) e del D.P.G.R. n. 13 del 2009, per avere il Tribunale Superiore ritenuta sottoposta ai canoni concessori l’area comprendente la darsena sull’erroneo presupposto della sua demanialità, benchè non fosse ad essa riferibile alcuna modifica strutturale dell’alveo lacustre, in quanto costruita su terreni di proprietà privata, fosse fisicamente separata dalle acque del lago da un terrapieno e dalla spiaggia e collegata al lago da un canale che regola l’afflusso e il deflusso dell’acqua che, di per sè, non potrebbe comportare l’asservimento della darsena.

Il motivo è in parte inammissibile, laddove è diretto a sovvertire l’accertamento di fatto svolto dai giudici di merito, i quali hanno verificato che la darsena è collocata al confine con l’area demaniale (spiaggia e terrapieno) sulla quale si affaccia direttamente tramite un cancello d’ingresso sommerso nell’acqua in regime di piena ordinaria, dal quale si diparte un canale (costituito da due muri frangiflutti) insistente sull’area demaniale che consente il collegamento della darsena con lo specchio d’acqua; di conseguenza, l’alveo lacustre si era ampliato per effetto dell’escavazione a forma rettangolare realizzata sull’originaria proprietà privata.

Non si adatta quindi alla fattispecie il principio richiamato dalla ricorrente secondo cui è configurabile una darsena privata quando scavata su suolo privato, ciò presupponendo che non siano apportate modifiche alla conformazione strutturale (alveo) del bacino d’acqua demaniale di alimentazione (Cass., sez. II, n. 1379 del 2012), diversamente da quanto avvenuto nella specie, come incensurabilmente accertato.

Nella sentenza impugnata è correttamente richiamato il principio infondatamente criticato dalla ricorrente – secondo cui, nell’ipotesi in cui il proprietario di un suolo sito sull’alveo di un lago realizzi una darsena mediante escavazione del proprio suolo, facendo sì che l’acqua lacustre allaghi lo scavo, non è possibile scindere tra proprietà privata del suolo e proprietà demaniale dell’acqua e così ritenere che la darsena appartenga al privato. Ed infatti, posti i principi di inseparabilità tra acqua ed alveo e di inalienabilità dei beni del demanio pubblico, deve ritenersi che, per accessione alla cosa principale, il terreno, originariamente privato ma trasformato in darsena, sia divenuto anch’esso demaniale (Cass., sez. un., n. 11211 del 1998; n. 26036 del 2013).

La conclusione cui è pervenuto il Tribunale Superiore è coerente con l’ulteriore principio secondo cui gli alvei dei fiumi, dei torrenti ma anche dei laghi, costituiti da quei tratti di terreno sui quali l’acqua scorre fino al limite delle piene normali, rientrano nell’ambito del demanio idrico, per cui le sponde o rive interne, ossia quelle zone soggette ad essere sommerse dalle piene ordinarie, sono comprese nel concetto di alveo e costituiscono quindi beni demaniali, a differenza delle sponde e rive esterne che, essendo soggette alle sole piene straordinarie, appartengono, invece, ai proprietari dei fondi rivieraschi (Cass., sez. un., n. 14645 del 2017 e n. 19366 del 2019). Come osservato ancora dal Tribunale, non rileva che non sia intervenuta una manifestazione espressa di volontà della pubblica amministrazione di apprensione dell’area al demanio, venendo in rilievo un rapporto pertinenziale che sorge in via di fatto in conseguenza dell’espansione dell’alveo.

Il terzo motivo, proposto nella denegata ipotesi in cui la predetta darsena sia ritenuta oggetto di imposizione quale bene demaniale, denuncia violazione e falsa applicazione della normativa concernente la determinazione dei canoni ed indennizzi per l’utilizzo a titolo concessorio di beni demaniali, in relazione alla L.R. n. 2 del 2008 e al D.P.G.R. n. 6 del 2004, D.P.G.R. n. 16 del 2008 e D.P.G.R. n. 13 del 2009, per avere il Tribunale Superiore ritenuto inammissibile per genericità il terzo motivo di appello riguardante la mancata applicazione dei valori locativi in comune commercio per il calcolo dei diritti locativi sulla darsena.

Tuttavia, il Tribunale Superiore ha evidenziato che il giudice di primo grado aveva esplicitamente osservato che l’impugnato provvedimento impositivo dei canoni faceva applicazione del regolamento regionale 6R/2004 per gli anni dal 2001 al 2004 e, per gli anni dal 2005 al 2011, dell’art. 3, lett. “a-2”, della Delib. della Conferenza degli amministratori del 2010, assunta in forza della L.R. n. 2 del 2008 e del regolamento 13R/2009, che prevedeva l’aumento del cinquanta per cento degli indennizzi per le darsene coperte. Tale ratio decidendi enunciata dal Tribunale Regionale non è stata specificamente censurata in appello dalla ASEL che, anche in questa sede di legittimità, si limita a reiterare la generica doglianza di non corretto riferimento ai valori locativi in comune commercio, senza specificare per quale ragione si sarebbe dovuto applicare il richiamato art. 3, lett. b) o d), della menzionata Delib.. La decisione di inammissibilità del motivo di appello non è dunque scalfita nel motivo, che si risolve nel tentativo improprio di ottenere una rivisitazione di incensurabili apprezzamenti di fatto. Il motivo – che in relazione gli anni dal 2001 al 2004 si basa sul presupposto erroneo della non demanialità della darsena – è dunque inammissibile.

In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021

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